La Stampa, 13 aprile 2023
Chiara Valerio e Piergiorgio Odifreddi parlano di tecnologia
Incollati davanti alla smart tv, dipendenti dall’iPhone, inseparabili dallo smartwatch al polso: la nostra nuova forma di religione, la nuova frontiera del divino è la tecnologia? Giriamo l’interrogativo a Chiara Valerio, autrice della bella ricerca La tecnologia è religione (Einaudi), e a Piergiorgio Odifreddi, matematico, logico e saggista la cui opera più famosa, Il matematico impertinente (Longanesi), sintetizza nel titolo il temperamento e la qualità del ricercatore, volto da sempre a superare barriere e luoghi comuni. I due matematici di vaglia appartengono a due diverse generazioni: Valerio, papà fisico a Frascati, classe 1978, è nata ed è cresciuta a Scauri. Ha conseguito la laurea e il dottorato in matematica all’Università partenopea Federico II, sull’argomento del calcolo delle probabilità. Il suo pamphlet La matematica è politica ha conquistato critica e pubblico. Odifreddi, nato a Cuneo nel 1950, ha come numi tutelari Bertrand Russell, matematico e intellettuale socialista democratico, e Noam Chomsky, linguista e filosofo socialista libertario, ed è uno dei massimi esperti di divulgazione scientifica e di storia della scienza.
Tecnologia e religione sono i duellanti del mondo moderno, si fronteggiano come ambiti di conoscenza e di interpretazione della realtà?
Valerio: «Per rispondere mi sembra opportuno risalire all’esperienza fatta di recente con mio nipote. Stavo sfogliando un libro con le figure e il piccolo Francesco a un certo punto ha appoggiato pollice e indice uniti sulla pagina e poi li ha separati proprio come si fa per ampliare sullo schermo le immagini di uno smartphone o di un i-Pad. Mi ha detto: "Ma questo libro non funziona". Francesco è nato in un momento storico in cui la tecnologia ha raggiunto un grado di sviluppo così elevato che si possono confondere i fatti con le rappresentazioni e ritenerli sovrapponibili: il bambino si irrita se questo non avviene perché la tecnologia offre maggiori comodità, tra cui la ripetizione. Aggiungo un altro esempio solo in apparenza paradossale: che differenza c’è tra danzare per far piovere e schiacciare un tasto per illuminare uno schermo? In entrambi questi due casi, un nostro movimento induce un’azione che fornisce una risposta o soddisfa una richiesta. La danza della pioggia si rivolge al cielo e il dispositivo che ne attiva l’intervento è il nostro corpo. Nel secondo caso il dispositivo è un prolungamento del corpo - telefono, smartphone, telecomando - e l’invisibile a cui ci rivolgiamo è il campo elettromagnetico. In un universo in cui molte delle vicende umane sono state meccanizzate attraverso procedure algoritmiche, la tecnologia e la magia tendono a somigliarsi. Istintivamente l’uomo sostituisce l’effetto, che non sa spiegare, con la causa. Ho voluto così descrivere nel mio libro quello che oggi sta accadendo: quando si perdono i rapporti causali si tende a pensare che il mondo sia magico. La tecnologia è percepita come qualcosa di molto lontano dalla scienza e finisce che venga vissuta come una magia».
Odifreddi: «Per capire il rapporto tra tecnologia e religione possiamo ricordare il capolavoro di Arthur C. Clarke 2001: Odissea nello spazio in cui la tecnologia appare come una magia. Però, attenzione, sembrare non significa essere. La tecnologia, dice Chiara, è come fare la danza per la pioggia. I riti sono gli stessi ma i risultati sono diversi. Se uno fa la danza per la pioggia non è detto che necessariamente piova o comunque non piove perché c’è stata la danza. Dietro la tecnologia invece si nasconde la scienza. La magia poi si può intendere in due sensi: quella dei prestigiatori che non negano di stupire e affascinare attraverso dei trucchi. E poi c’è la magia dei ciarlatani i quali vorrebbero farti credere che i loro esperimenti sono effettivamente dei miracoli. La tecnologia è la magia di cui si sa che dietro c’è il trucco.
Valerio: «Voglio precisare un concetto a cui tengo: in un mondo in cui i dispositivi si dematerializzano - non ci sono più per esempio gli hard disk che sono stati sostituiti dagli iCloud - si potrebbe arrivare a pensare che i movimenti del corpo, che sono relativi all’accensione di dispositivi dematerializzati, siano movimenti rituali come quelli per la danza della pioggia».
Quali sono gli altri punti di contatto tra tecnologia e religione?
Odifreddi: «Era molto diversa la visione del cristianesimo che avevano i due apostoli Pietro e Paolo. Pietro pensava che il verbo di Gesù dovesse essere diffuso soprattutto tra gli ebrei che si sarebbero convertiti alla nuova religione. Paolo era l’apostolo dei gentili e sosteneva che il cristianesimo avrebbe dovuto essere una religione per tutti, cosa che poi è diventato. Visioni analoghe le ritroviamo nell’operato di Bill Gates e di Steve Jobs. Il fondatore di Microsoft è come Pietro: quando l’azienda multinazionale statunitense d’informatica prese avvio era concepita come un’impresa dedicata agli informatici. Se avesse vinto la visione di Gates oggi l’informatica sarebbe esclusivamente nelle mani degli specialisti. Il progetto del cofondatore di Apple ha analogie con l’impostazione dell’apostolo Paolo: far diventare il computer qualcosa per tutti. Noi tutti usiamo il computer ma non tutti sappiamo programmare. Questo nostro limite ovviamente mette un filtro tra la macchina e il consumatore. L’informatico sa cosa c’è dietro e conosce il linguaggio della macchina, il fruitore dei social o dei computer non ne sa assolutamente nulla, usa le macchine come i selvaggi usavano gli orologi appendendoseli al collo».
Valerio: «Possiamo però difenderci dalla percezione della tecnologia come magia. Studiare aiuta a fare distinzioni nelle cose invisibili, a non confondere l’intervento divino o magico con l’avanzamento tecnologico. Studiare scienze, piú specificamente, consente di percepire la tecnologia come la risultante di un avanzamento delle nostre conoscenze che sono passibili di evoluzione e di miglioramento».
Quali sono le vostre previsioni per il futuro, l’intelligenza artificiale ci distruggerà?
Valerio: «È un’occasione straordinaria. Sono troppo curiosa per essere preoccupata. L’unico limite di Chat Gpt è l’essere logorroico. È sovrabbondante rispetto alla domanda e per questo non porta veramente un’informazione. Vorrei poi aggiungere che in una società completamente automatizzata il problema che ci si porrebbe non sarebbe quello del libero arbitrio bensì il fatto che la memoria venga consegnata alle macchine. Possiamo vedere ridursi la nostra capacità di risolvere problemi e dunque la nostra massa cerebrale. Siamo le prime generazioni ad obsolescenza programmata per non dire ad Alzheimer programmato».
Odifreddi: «Ho letto due riflessioni di Bill Gates e di Elon Mask i quali ci mettono entrambi in guardia dal pericolo che l’umanità possa essere distrutta non tanto dall’atomica o dal disastro climatico quanto dall’intelligenza artificiale. Intanto il rapido sviluppo tecnologico favorisce processi analoghi a quelli che si sono verificati nell’epoca della ottocentesca rivoluzione industriale quando il lavoro umano, quello più usurante, faticoso e stressante, fu sostituito dalle macchine. Oggi però potrebbe essere sostituita l’attività del pensiero umano. Golem XIV di Stanis?aw Lem è un romanzo di fantascienza con un retroterra di speculazione filosofica in cui una superintelligenza ha raggiunto un tale livello di elaborazione che decide di non comunicare più con gli umani. Le macchine nascono come mezzi e poi diventano fini. L’idolatria delle macchine è un drammatico rischio che corriamo».
La vostra visione del rapporto tra tecnologia e religione è influenzata dalla differenza generazionale?
Valerio: «Da quando mio nipote è nato ho capito che la sua idea di futuro è radicalmente diversa dalla mia. Tra noi ci sono oltre quarant’anni di differenza. Nel 2050 avrà dei problemi per noi oggi inconcepibili».
Odifreddi: «È il presente, cara Chiara, non solo il futuro che ci rende diversi. Sono sempre stato refrattario alla tecnologia. Quando sono nato non c’era la televisione, non uso i social, mi sono abituato a malapena a comunicare tramite sms. Io percepisco l’abuso della tecnologia come deleterio. Pensiamo al fenomeno degli hikikomori. Sono ragazzi che decidono di isolarsi sviluppando una dipendenza da internet. Per loro la tecnologia somiglia alla religione, si ritirano in solitudine, come nei conventi, per sfuggire al mondo. Oggi una pericolosa, invadente presenza tecnologica può condizionare il presente dei più giovani».