La Stampa, 13 aprile 2023
Eva Kaili esce dal carcere dopo 4 mesi
Dopo più di quattro mesi in cella, Eva Kaili torna a casa. Il volto più noto del Qatargate avrà l’obbligo di indossare il braccialetto elettronico, ma potrà tornare a vivere con la figlia di due anni nell’appartamento di Bruxelles che si trova a 350 metri dal Parlamento europeo. Dove i suoi colleghi, senza porsi troppe domande, l’hanno destituita dall’incarico di vice-presidente in tempi record. In casa con loro non ci sarà il compagno Francesco Giorgi, padre della bambina: l’ex assistente parlamentare è ai domiciliari da febbraio, ma starà in un’abitazione diversa da quella che i tre condividevano prima che scattassero gli arresti il 9 dicembre scorso.
Giorgi ha ammesso le sue responsabilità, ma ha sempre scagionato l’eurodeputata socialista. Che sin dal primo giorno si è dichiarata estranea al presunto giro di corruzione internazionale partito dal Marocco e poi estesosi al Qatar. La sua detenzione preventiva ha scatenato aspre critiche perché durante il primo mese di detenzione non ha mai potuto incontrare la figlia. A Deborah Bergamini, la deputata di Forza Italia che le ha fatto visita in carcere, ha confessato di aver pensato al suicidio. Poi, a gennaio, l’umiliazione: per tre giorni è stata messa in isolamento e per sedici ore è stata tenuta in una cella della polizia per costringerla a parlare. «Una tortura – avevano denunciato i suoi legali –. Al freddo, senza giacca e sempre con la luce accesa per impedirle di dormire». Durante quei giorni Eva Kaili «aveva le mestruazioni, ma nonostante perdesse molto sangue non le è stato consentito di lavarsi». Ora vede la luce in fondo al tunnel, ma per riassaporare la libertà – seppur vigilata – dovrà attendere ancora un po’. L’ordinanza che prevede la scarcerazione è stata firmata ieri, ma lei si trova ancora nella prigione di Haren perché ci sarebbe una carenza di braccialetti elettronici. Il suo potrebbe essere attivato entro venerdì, ma c’è il rischio che il tutto slitti a lunedì. Un ritardo che le impedirebbe di trascorrere a casa la Pasqua ortodossa, che si celebra domenica.
Con la liberazione dell’eurodeputata greca, in carcere non rimane più nessuno dei protagonisti del Qatargate. Un ulteriore segnale che l’indagine condotta dalle autorità belghe non è destinata a fare il tanto paventato “salto di qualità”, ma anzi rischia di sgonfiarsi e di non essere in grado di sostanziare tutte le accuse agli indagati.
Proprio oggi era prevista una nuova udienza per Kaili davanti ai giudici della Camera di Consiglio per decidere sull’eventuale prolungamento della carcerazione, ma il giudice istruttore Michel Claise ha firmato ieri l’ordinanza che dispone la «modifica della modalità d’esecuzione» della detenzione preventiva attraverso la misura della sorveglianza elettronica. Nel documento visionato da La Stampa si legge che Kaili rimane formalmente indagata «come autrice o in concorso» per i reati di «corruzione e riciclaggio», ma il suo avvocato greco Michalis Dimitrakopoulos ha sottolineato che lei «esce dal carcere a testa alta e con dignità» perché «non ha confessato reati che non ha commesso e lotterà per la sua innocenza fino alla fine». L’unico elemento concreto a suo carico resta quella telefonata fatta al padre il 9 dicembre scorso per chiedergli di far sparire una valigia contenente 600 mila euro in contanti, effettuata subito l’arresto di Francesco Giorgi.
La svolta che l’ha portata fuori dal carcere potrebbe essere arrivata grazie alla strategia difensiva del suo nuovo avvocato belga Sven Mary, uno dei penalisti più famosi del Paese, noto per aver difeso Salah Abdeslam, il terrorista responsabile degli attacchi del Bataclan. Martedì aveva detto in un’intervista a Euronews che «non ci sono più ragioni per detenere Eva Kaili in carcere» e aveva denunciato il fatto che la sua assistita fosse stata trattata «come un trofeo». L’avvocato ha cercato di smontare le accuse di Antonio Panzeri, anche lui scarcerato la scorsa settimana: l’ex eurodeputato, considerato il vero centro di gravità del presunto sistema corruttivo, ha ammesso le sue responsabilità e a gennaio ha negoziato con la procura belga lo status di pentito, che gli consentirà di scontare un solo anno di carcere in cambio della massima collaborazione con gli inquirenti. «Dubito che Panzeri stia dicendo la verità – ha sottolineato l’avvocato di Kaili –. Probabilmente dice la sua verità».
E proprio “le verità” di Panzeri sarebbero gli unici elementi a carico degli altri due eurodeputati finiti nell’inchiesta: il belga Marc Tarabella – al quale Panzeri sostiene di aver dato tra i 120 e i 140 mila euro – e l’italiano Andrea Cozzolino, che respingono le accuse. Dopo la revoca dell’immunità, il primo è finito in carcere, ma anche lui è stato liberato con il braccialetto elettronico due giorni fa. Il secondo è ai domiciliari in Italia e su di lui pende una richiesta di estradizione che le autorità giudiziarie italiane non hanno ancora accolto.