il Fatto Quotidiano, 13 aprile 2023
Vitalizi: versi uno e prendi 14
Cari, carissimi vitalizi! Solo negli ultimi quarant’anni sono costati alla Camera un occhio della testa e non è un’iperbole: in totale oltre 4 miliardi e mezzo di euro se si sommano, a valori attualizzati, tutti gli importi corrisposti agli ex deputati dall’amministrazione di Montecitorio dal 1981 ad oggi. Un salasso micidiale specie se confrontato con le trattenute subite nello stesso arco temporale dai deputati, a titolo di contributo previdenziale: poco più di 320 milioni di euro, roba da far saltare per aria il bilancio di qualunque istituto previdenziale. È un conto su cui si è cimentato il Fatto Quotidiano prendendo spunto dall’ultima sentenza sui vitalizi. Sfornata dal Collegio di appello di Montecitorio presieduto dall’avvocato Andrea Colletti (espulso dal Movimento 5 Stelle per essersi rifiutato di dare la fiducia al governo Draghi) che, nel bocciare il ricorso degli ex deputati che si lamentavano del taglio dell’assegno mensile disposto a partire da gennaio 2019, ha constatato la seguente verità: “Dalla documentazione depositata in atti emerge inequivocabilmente come il totale dei vitalizi erogati fino al 2018 sia nettamente superiore rispetto al montante contributivo. Ciò dimostra ancor di più l’irragionevolezza del sistema in termini di costi e come esso fosse giunto a un punto di non ritorno”. Ergo il taglio dei vitalizi è stato non solo legittimo ma pure doveroso: l’alternativa insomma era il default del sistema pensionistico della Camera. Il perché è presto detto.
Ma facciamo un passo indietro. Da quando quattro anni fa era stato decisa l’inversione di rotta con l’imposizione di una limatura agli assegni che sono calcolati ormai con il sistema contributivo, si è scatenata una bufera di ricorsi. Circa in 1.400 ex deputati si sono fatti avanti per lamentare l’ingiustizia subita: insomma la sforbiciata avrebbe leso i loro diritti, ossia di continuare a percepire a vita l’assegno maturato dopo solo 4 anni sei mesi e un giorno di onorato servizio al Paese. C’è chi e sono una pattuglia di circa 500 persone a vario titolo ha denunciato di temere l’indigenza e/o le precarissime condizioni di salute lamentando di non riuscire più a sbarcare il lunario: ridotti insomma all’elemosina o esposti alla necessità di dover licenziare badanti e maggiordomi. Anche quelli, anzi soprattutto loro, che più a lungo hanno goduto del privilegio com’era una volta quando l’assegno veniva totalmente calcolato con un sistema ben più favorevole rispetto a quello attuale. Proprio pronunciandosi su alcuni dei ricorsi di questi ex parlamentari, il collegio di appello ha trovato conforto nei bilanci della Camera. Cosa ne è venuto fuori? Andando fior da fiore ne è venuta fuori una fotografia eloquente.
Nel 1981 le entrate relative ai contributi previdenziali trattenuti ai deputati in carica erano pari a 1,5 miliardi di lire: a fronte di questi contributi, le uscite per il pagamento dei vitalizi degli ex eletti erano invece pari a 18,6 miliardi di lire. Nel 1987 a fronte di trattenute per contributi previdenziali pari a poco più di 5 miliardi, i vitalizi corrisposti ammontavano a 56,5 miliardi. E ancora. 1994: trattenute per 10,4 miliardi, assegni corrisposti agli ex deputati per 126,7 miliardi di lire. E via discorrendo fino al 2018 quando le trattenute previdenziali erano pari a 6,9 milioni di euro e la Camera staccava invece vitalizi per 153 milioni di euro. “Quindi nel 1981 il rapporto tra spesa previdenziale ed entrate contributive era pari a 3,57. Nel 1987 dell’11,15, nel 1988 dell’11,6, nel 1994 del 12,11, nel 2018 del 22,07, mentre nel 2019 tale rapporto scende a 12,7 e nel 2021 si attesta a 12,4. Da tale brevissima disanima pertanto emerge come la spesa nel corso degli anni e nonostante le varie delibere di aggiustamento con le quali si limitava il trattamento di favore e si aumentavano i contributi a carico dei deputati in carica, sia aumentato a livelli considerevoli ed allarmanti mettendo a rischio l’intera stabilità del sistema previdenziale interno”. Ma c’è di più. Il taglio deciso nel 2018 è stato ragionevole non solo per mettere in sicurezza il bilancio di Montecitorio ma anche per un altro aspetto. “La ragionevolezza – ha sentenziato il collegio di appello – sta anche nel valutare il sacrificio imposto a coloro che hanno già beneficiato di un tasso di rendimento molto alto rispetto ai sacrifici che gli attuali deputati devono sopportare per finanziare il sistema pensionistico (…). Un esempio è quello di alcuni degli odierni appellati per i quali il totale dei vitalizi corrisposti è superiore di 20 volte il proprio montante contributivo”. Taluni di loro infatti a fronte di 85 mila euro di contributi versati (sempre a valori attualizzati) hanno ricevuto sin qui la bellezza di due milioni di euro. Cosa che fa dire al collegio di Montecitorio che “corollario necessario della solidarietà sociale nell’ottica dell’uguaglianza sostanziale è quello di equità e solidarietà intergenerazionale. Un sistema pensionistico deve essere valutato non solo in base ai diritto degli attuali pensionati ma anche ai diritti di coloro che finanziano lo stesso sistema e hanno diritto a vedere tutelate in futuro le proprie posizioni previdenziali da un possibile fallimento dello stesso sistema”. Di conseguenza il collegio in questione ha annullato le decisioni prese in loro favore dal collegio di prima istanza di Montecitorio: in primo grado infatti erano state accolte le doglianze di lorsignori che avevano invocato addirittura la Costituzione per perorare il diritto a godere in eterno dello stesso importo del privilegio originariamente accordato. In particolare invocando l’articolo 38, quello in base al quale i lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Povera patria.