Avvenire, 12 aprile 2023
I furori di Papini
Il quinquennio tra il 1920 e il 1925 è stato particolarmente ricco di fermenti religiosi, letterari e culturali le cui elaborazioni e suggestioni poetiche fanno parte ormai della nostra cultura contemporanea. Basti pensare che in quegli anni nacquero Leonardo Sciascia, Pier Paolo Pasolini, Italo Calvino, Don Lorenzo Milani, Padre Ernesto Balducci, venne fondata l’Università cattolica del Sacro Cuore, venne fondato il Partito comunista italiano, Giorgio La Pira iniziò la sua “vita nova” a Firenze. Fermenti culturali in cui il capoluogo toscano ebbe un ruolo molto importante come “salotto” di riferimento di tanti scrittori e poeti che in quei decenni entrarono a far parte degli incontri all’ombra della cupola del Brunelleschi o delle “Giubbe Rosse”, o di Ponte Vecchio o di San Marco.
Prendiamo a riferimento il 1923, allorquando Giovani Papini e Domenico Giuliotti (che già avevano un nome di tutto rispetto e autorità) diedero vita al Dizionario dell’Omo Salvatico. Ambedue venivano da una conversione religiosa radicale, assoluta e fieri di tale scelta si diedero a progettare il libro che doveva arrivare a tutte le lettere dell’alfabeto (rimase fermo invece al primo volume e alle lettere A-B ) Chiaramente il libro non nacque all’improvviso, ma costituiva il frutto di letture, amicizie, corrispondenze con scrittori o “cattolici belve” italiani e stranieri nei quali Papini e Giuliotti si rispecchiavano. Lo stile, e più ancora il contenuto, è quello retorico, aggressivo, che denota un giudizio netto: «Gesuita (Bresciani Antonio ) scrittore di romanzi, combattitore di tutte le sciocchezze e ridicolezze della liberaleria quarantottiana - oggi sfatata, sfiatata e fallita; ebbe il merito grande, quasi solo, di opporsi alle più bestiali utopie e malattie del suo secolo». E a chi gli rivolgeva critiche, Papini non si tirava indietro, anzi rincarava la dose, come un combattente che non si dà per vinto. «Siamo medievali e non abbiamo troppa simpatia per quel cattolicesimo che si dice “moderno”, fatto di concessioni e di compromessi, di tiepidezze e di viltà».
Papini e Giuliotti sono rimasti, nella letteratura italiana del Novecento, come due combattenti, come due “belve” letterarie, amanti delle polemiche e dei furori, che vanno diritto senza rendersi conto però che l’adattabilità storica rientra in una «progressività della verità» di cui erano già coscienti alcuni Padri della Chiesa. Il Dizionario rimase un fenomeno letterario che in tutta la grande produzione papiniana costituiva una sintesi, ma sia lui come Giuliotti, furono in grado di darci altre pagine molto poetiche e suggestive.
A prova della vivacità culturale di Firenze, nello stesso anno 1923 nasceva la rivista Calendario dei pensieri e delle pratiche solari, dove gli attori erano letterati di altra pasta: Piero Bargellini, Carlo Betocchi, Nicola Lisi e Pietro Parigi. E Papini, si può immaginare, tollerò tale iniziativa sotto un sorriso sarcastico e non vedeva quasi l’ora che scomparisse dall’orizzonte letterario perché non aveva «la virulenza della polemica lacerbiana e vociana; voleva semmai ribadire fermamente il primato di una letteratura fiorentina e cattolica». Era insomma tutto all’opposto del Dizionario. E così avvenne in effetti, poiché nel giro di un anno il Calendario cessò di vivere. «Quei fogli di carta grezza, ora bianchi, ora gialli, ora viola, pieni di apologhi, proverbi e storielline di santi che facevano riferimento quali unici maestri accettati al Sesto Gaio Baccelli e al catechismo, non erano stati presi sul serio da nessuno». Anche se non era stata inutile, poiché tale esperienza aveva messo le fondamenta, su cui via via venne eretta una casa letteraria, quella di Lisi, Betocchi e dello stesso Bargellini.