la Repubblica, 12 aprile 2023
L’enciclica del Concilio
Testo che segna una svolta del magistero sulla dottrina della “guerra giusta”, laPacem in Terris, firmata da Giovanni XXIII sessanta anni fa davanti alle telecamere della Rai (11 aprile 1963), è al contempo frutto e radice di un’altra svolta, quella nei confronti delle altre religioni. «La differenza tra quell’enciclica e tutte le precedenti è che non è rivolta esclusivamente al clero o ai cristiani, ma a tutti gli uomini di buona volontà», sottolinea il rabbino Scialom Mino Bahbout: «Il tema della pace non può essere risolto se i fratelli litigano».La genesi della lettera giovannea interseca i fermenti, politici e religiosi, di quel frangente storico. Angelo Roncalli, Papa dal 1958 al 1963, ha da poco aperto il Concilio vaticano II (1962-1965). Anni di grandi speranze e grandi timori. È di quell’anno la crisi dei missili di Cuba. L’appello a scongiurare l’ecatombe nucleare pronunciato da Giovanni XXIII alla Radio vaticana, il 25 ottobre 1962, lascia il segno: il radiomessaggio, confiderà il cardinale segretario di Stato Amleto Cicognani all’allora direttore della Civiltà cattolica, padre Roberto Tucci, «fu accolto con grande piacere sia da Kennedy sia da Krusciov, che così poterono salvare la faccia».Pochi mesi dopo, papa Giovanni pubblica laPacem in Terris.È una svolta: il documento pontificio, spiega lo storico Daniele Menozzi nel recente libro Il papato di Francesco in prospettiva storica (Morcelliana), «proclamava che nell’età del conflitto nucleare era irrazionale ritenere che il ricorso alla violenza bellica rappresentasse uno strumento idoneo a ripristinare la giustizia nelle relazioni tra gli Stati». La minaccia atomica fa scolorire, nel magistero, la dottrina della “guerra giusta”. La Pravda elogia il documento papale, Kennedy si affretta a chiede un’udienza a Giovanni XXIII, che però muore prima, a giugno di quell’anno.Al testo si accompagnano molteplici sottotesti. La genesi, ricostruita dallo storico Alberto Melloni, fa tra l’altro emergere – primo sottotesto – la dialettica tra il Papa e la Curia romana. Roncalli evita di far rivedere il testo dal Santo Uffizio, accoglie solo in parte i rilievi del teologo del Sacro Palazzo. Giovanni XXIII, ha scritto lo storico gesuita Giovanni Sale, sapeva – secondo sottotesto – che l’enciclica «avrebbe influito in modo determinate sul Concilio, che aveva appena terminato la sua prima sessione con un nulla di fatto e con tante questioni ancora aperte». La Pacem in Terris infine – terzo sottotesto – fa propria l’apertura del Papa e del Concilio alle altre confessioni e religioni. «L’enciclica con il suo volto e i caratteri ecumenici», afferma Giovanni XXIII alle telecamere dellaRai quel giovedì santo del 1963, «è capace di essere universalmente intesa da tutti».«Non è possibile la vera pace senza il dialogo», chiosa padre Norbert Hoffman, segretario della commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, «il dialogo con le altre religioni inizia con il Concilio». Per quanto laPacem in Terris non tocchi esplicitamente il tema del dialogo interreligioso, essa è intrisa di quello spirito. Nei confronti dell’ebraismo, in particolare, Angelo Roncalli ha una spiccata sensibilità: quando è nunzio apostolico a Istanbul e in Bulgaria aiuta molti ebrei a mettersi in salvo. «La proposta di nominarlo giusto delle nazioni allo Yad Vashem non fu approvata solo perché uno dei requisiti è di essere andati incontro a rischi personali», ricorda il rabbino Bahbout: «Ma l’attuale presidente di Israele, Isaac Herzog, all’epoca capo del partito laburista, era favorevole». Da Papa, Roncalli ricevette Jules Isaac, storico francese la cui famiglia era stata sterminata ad Auschwitz, che lo sensibilizzò sulla necessità di un nuovo atteggiamento della Chiesa cattolica. «Posso avere almeno un briciolo di speranza?», gli domandò alla fine dell’udienza. «Molto più che una speranza, lei ha il diritto di avere», gli rispose il Papa.Padre Hoffman racconta che l’idea iniziale di Roncalli era che il Concilio approvasse uno specifico Tractatus de iudaeis :«Per motivi diplomatici e politici alla fine non si fece», spiega il salesiano tedesco, «i vescovi dei paesi a maggioranza musulmana, ad esempio, si opponevano ad un testo in favore dei soli ebrei». Nacque così la Nostra Aetate, la dichiarazione del Concilio sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane. Roncalli era coadiuvato dal gesuita Agostino Bea, che «da biblista conosceva il mondo ebraico: anche a lui stava a cuore una nuova relazione con l’ebraismo».Una nuova epoca ormai assodata: «Papa Francesco è un figlio del Concilio e della Nostra Aetate», nota padre Hoffman, che ricorda come Jorge Mario Bergoglio già a Buenos Aires avesse diversi amici ebrei, a partire dal rabbino Abraham Skorka. Ma sulla stessa linea della Pacem in Terris, tiene a sottolineare il segretario della commissione per i rapporti con l’ebraismo, «si muove anche il documento sulla fraternità umana firmato dal Papa ad Abu Dhabi con il grande imam di al-Azhar». Quel documento «è in continuità con laPacem in Terris e il Concilio vaticano II», conferma l’imam Nader Akkad della grande moschea di Roma, «ed è attuale specialmente oggi che c’è una guerra vicino a noi e torna la minaccia dell’uso di armi non convenzionali». L’imam, che ieri ha accolto il sindaco di Roma Roberto Gualtieri al momento dell’interruzionedel digiuno del ramadan, al tramonto, ricorda i numerosi viaggi di Francesco «nelle terre dell’islam», dall’Egitto al Marocco, dalla Turchia all’Azerbaijan, dall’Iraq, «dove ha voluto promuovere il dialogo tra sunniti e sciiti», al Bahrein, «dove ha dato un messaggio a tutta l’area del Golfo». Il dialogo interreligioso, sottolinea, «non può dare frutti se non diventa dialogo fraterno». Una lezione che si riallaccia alla Pacem in terris. «Il primo omicidio», nota il rabbino Bahbout, «è stato Caino che ha ucciso il fratello Abele: la Bibbia lo racconta perché impariamo che non è così che si risolvono i problemi».