il Giornale, 12 aprile 2023
Migranti, seguire la via francese
Stato d’emergenza per sei mesi: questo ha deciso ieri il governo, provvedimento che sarebbe una sorta di allarme rosso destinato prevalentemente a mandare un segnale forte alla sorda Europa che infatti, come si deduce leggendo le reazioni sulle agenzie di stampa, se ne infischia totalmente malgrado le generose espressioni di comprensione che valgono tanto quanto le doverose condoglianze per uno sconosciuto. E allora? Che fare? Un sacco di cose di cui la più importante è farsi un quadro realistico di questo progressivo trasferimento dell’Africa povera in Europa, anche rischiando la vita. Abbiamo già visto che non si possono né si devono impedire gli sbarchi perché la vita umana ha la precedenza su tutto, ma poi non si sa più che fare di preciso. Eppure, un modello ce l’abbiamo ed è la Francia. Ricordate quando Emmanuel Macron dopo un vivace scontro con Giorgia Meloni fu costretto ad accogliere una nave di migranti? La nave fu fatta attraccare a Tolone in una zona militare blindata. Lì, i migranti furono identificati, interrogati e divisi in tre gruppi: quelli che avevano diritto di asilo in Francia (pochissimi), quelli che avevano diritto a chiederlo in Europa e quelli che non avevano alcun diritto e che furono rimpatriati immediatamente nei loro paesi di origine. Qualcuno ha protestato? No, perché la Francia è molto rigida e spesso crudele ma fa rispettare le regole e le leggi e nessuno obietta. D’altra parte, la stragrande maggioranza degli immigrati che arrivano in Italia non ha alcuna intenzione di restare qui, ma vuole andare nei paesi europei dove vivono spesso i loro parenti. Da noi ne resta in genere il dieci per cento, che comunque è una grossa cifra. Lo stato di emergenza è un segnale giusto e drammatico, ma purtroppo non è la soluzione. E una soluzione radicale non ci sarà mai, perché sta avvenendo un fatto epocale per cui il sud povero tende a trasferirsi al nord più ricco, così come avviene in America dove il flusso migratorio arriva fino al Messico, che è un po’ una loro Libia, e di lì cercano un varco per gli Stati Uniti, che è un paese peraltro fatto solo di emigranti. Sono anni ormai che sentiamo dire che l’hotspot di Lampedusa stracolma non ce la fa e quando vediamo i suoi bagni e i suoi alloggi viene da vergognarsi. La soluzione non è l’emergenza. E neppure gridare al lupo. La soluzione è avere un piano che combaci con i dati reali e che faccia funzionare perfettamente le procedure di rimpatrio come in Francia, né più e né meno. Poi è giusto lavorare e spendere molti soldi per mantenere in piedi paesi come l’Egitto e la Tunisia e quella non può che essere un’azione collettiva europea, peraltro difficilissima per gli alti livelli di corruzione. L’Europa ne parla, ma solo all’ora del tè, tanto per fare due chiacchiere. La verità è che siamo soli e dobbiamo sbrigarcela da soli, agendo in modo umano ma secondo le leggi e investendo il denaro che occorre senza gettarlo a pioggia qua e là.