il Fatto Quotidiano, 12 aprile 2023
L’eterno ritorno di Paolo Scaroni
Se il commissario Ingravallo di Gadda era “ubiquo ai casi”, Paolo Scaroni dev’essere ubiquo alle poltrone. Lo si dice perché, da un ventennio, dove c’è un posto libero prima o poi qualcuno fa il suo nome: anche il suo ottimo amico Mario Draghi voleva piazzarlo qui e lì, persino alle Olimpiadi di Milano-Cortina, ma ora il manager vicentino classe 1946 può tornare nelle partecipate pubbliche – candidato presidente dell’Enel (forse finirà in Poste) – dopo essere stato defenestrato dall’Eni nel 2014 (non gradì affatto).
Laurea in economia alla Bocconi, specializzazione alla Columbia, Scaroni – oggi presidente del Milan, vicepresidente della banca d’investimento Rothschild, etc. – inizia la sua carriera con incarichi in Chevron, McKinsey e nel Gruppo Saint-Gobin, prima di arrivare alla Techint della famiglia Rocca, dove resta dal 1985 al 1996 diventandone amministratore delegato. È qui che, raccontò anni dopo al Financial Times, “mi sono trovato davanti questo enorme problema, che mi ha reso più fiducioso in me stesso”. Il problema fu che nell’estate 1992 si fece un giorno di carcere con l’accusa di aver pagato tangenti per ottenere appalti dall’Enel: il nostro ammise di aver dato due miliardi e mezzo al tesoriere del Psi Vincenzo Balzamo, “a volte in contanti e a volte su conti esteri”. D’altronde – si giustificò – pagare era obbligatorio.
Nonostante l’auto-assoluzione, coi giudici patteggerà un anno e quattro mesi e prima di lasciare Techint riuscirà a partecipare pure alla festa delle privatizzazioni (portò a casa, a prezzo non proprio pieno, un’azienda di vetri per automobili), poi lavorerà qualche anno a Londra e tornerà in Italia poco prima – siamo nel 2002 – che il suo amico Silvio Berlusconi lo nomini (grazie ai buoni uffici dell’altro suo amico Gianni Letta) presidente di Enel, cioè l’azienda per i cui appalti aveva pagato mazzette. Non è escluso che l’ex premier l’abbia considerato un elemento a favore della scelta: oggi avrebbe un che di poetico il suo secondo ritorno sul luogo del delitto…
Nel 2005 Silvio lo sposta in Eni, azienda dal peso politico ben superiore, che governerà per tre mandati fino al 2014. Sono gli anni in cui il Cane a sei zampe approfondisce la sua liaison dangereuse con la Russia di Vladimir Putin: Scaroni, con qualche scarto, porta a termine il processo di avvicinamento con Gazprom già iniziato da Vittorio Mincato. Nel novembre 2006 – a Palazzo Chigi ormai c’è Prodi – il nostro firma un accordo coi russi per forniture fino al 2035 (poi prolungato) e che concede a Gazprom di vendere il suo gas direttamente in Italia ed Europa. Col ritorno di Berlusconi al governo, l’intesa si spinge all’assenso sulla costruzione del gasdotto SouthStream, idea inaccettabile per gli Stati Uniti. “L’Eni è parte di un complotto del Cremlino?”, si chiedono i diplomatici Usa in uno dei cablo rivelati da Wikileaks. In un altro addirittura si domandano se non sia il caso di inviare “duri messaggi all’ad dell’Eni Scaroni”. Come che sia andata, il nostro – dopo il cavalierato in Italia e la Legion d’onore in Francia – nel 2012 fu insignito dell’Ordine dell’Amicizia in Russia: e chi trova un amico, si sa, trova un giacimento.