il Fatto Quotidiano, 12 aprile 2023
Vitalizi, li incassano tutti: pure i condannati
Non vedeva l’ora e infine è giunto anche il suo momento. Irene Pivetti a processo per evasione e autoriciclaggio nell’inchiesta sulla compravendita delle Ferrari, può tirare un sospiro di sollievo. Non sarà finalmente più costretta a vivere con i mille euro che gli frutta lavorare per una mensa sociale: è scatta l’ora X meglio, l’età minima, per ricevere finalmente pure lei il vitalizio della Camera. Minacciato dal taglio contro cui aveva anzitempo tuonato nel 2018: “Il taglio è una questione da morti di fame: il tema vero non sono i quattro spicci che si risparmiano, ma a cosa serve la politica. Quanto a me, sarei addirittura disponibile a rinunciare all’assegno della Camera. Ma a una condizione: che mi si restituiscano cash i contributi che ho versato”.
E invece non dovrà fare neppure il gesto perché l’assegno le spetta, basta che conservi la fedina penale pulita dato che a Montecitorio i condannati non hanno diritto all’assegno, mica come al Senato. Che ha ridato tutto a tutti, compreso a Antonio D’Alì che continua a vedersi accreditare in banca ogni mese la bellezza di 9 mila euro con buona pace della sentenza per concorso esterno in associazione mafiosa che l’ha portato direttamente in carcere. O il Celeste Roberto Formigoni che riceve 7 mila euro (sempre lordi) al comodo di casa sua dopo i servizi sociali e una breve “penitenza” in carcere per la condanna a 5 anni e 10 mesi per corruzione.
Ma anche alla Camera in altri tempi non si son fatti mancare nulla. A volte è bestato un giorno di lavoro per guadagnarsi 2.000 euro al mese a vita. Se oggi infatti ci vogliono almeno 4 anni e 6 mesi per maturare il vitalizio, nella Prima Repubblica si poteva staccare il dividendo anche solo con un mezzo pomeriggio a Montecitorio o Palazzo Madama.
O senza esserci mai stato, come nel caso di Piero Craveri. Storico torinese, consigliere regionale in Campania per volere di Marco Pannella, il 9 luglio 1987 entra in Senato coi Radicali e dopo poche ore consegna le dimissioni: “Non ho mai messo piede in Parlamento – il suo sfogo anni fa alla Zanzara – ma prendo il vitalizio e non mi vergogno. Ho sempre fatto politica”. Quell’assolata proclamazione estiva gli frutta 2.159 euro al mese (poi ridotti e poi nuovamente aumentati, a causa del continuo balletto di sentenze a Palazzo Madama). “Pannella mi chiese di dimettermi e mi dimisi – è ancora la versione di Craveri – Poi è arrivata una lettera a casa in cui mi chiedevano se volevo versare i contributi come i senatori in carica. Li versai e mi è arrivato il vitalizio”.
Un caso simile è quello di Angelo Pezzana, anch’egli Radicale. Deputato per una settimana a cavallo di San Valentino 1979, Pezzana si dimette “per motivi personali” che gli “impediscono di lasciare Torino” per Roma. Pazienza: la Camera apprezza e dal 2000 (al compimento dei 60 anni) assicura un assegno che – al valore attuale – sarebbe pari a 3.100 euro, poi ridotto a 1.200 col ricalcolo voluto da Roberto Fico cinque anni fa. Nell’almanacco delle bizzarrie del vitalizio c’è poi un volto pop. Si tratta di Gerry Scotti, popolare conduttore Mediaset: nel 1987 entra alla Camera col Partito Socialista e per un anno partecipa attivamente ai lavori parlamentari, prima di accorgersi che le sue proposte restano “tutte inascoltate, lettera morta”. La vocazione svanisce, Scotti si eclissa e torna allo spettacolo, pur restando in carica fino al 1992. In quell’anno la Camera fa i conti e si accorge che a Scotti spetta l’equivalente di 1.400 euro al mese, cifra a cui il conduttore prova a rinunciare scrivendo a Montecitorio e poi, negli anni, anche all’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi. Nulla da fare, il vitalizio è per sempre e l’unica cosa che può fare Scotti è promettere di devolvere il denaro in beneficenza.