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 2023  aprile 11 Martedì calendario

L’antifascismo “differente” di Gadda e Montale


Con la fondazione di enti, accademie e istituti, attraverso cui offrire incarichi e prebende, il regime fascista tentò di assegnare agli uomini di cultura visibilità e centralità nell’assetto dello Stato, restituendo loro un rapporto privilegiato con il pubblico e con la società. In tal modo molti scrittori e intellettuali – da Marinetti a D’Annunzio, da Ungaretti a Pirandello – accettarono di sostenere apertamente Mussolini, vuoi per opportunismo, vuoi per reale convinzione ideologica. Non tutti i letterati, però, accondiscesero al compromesso. Alcuni scelsero la linea, per così dire, dell’assenza o del disimpegno. Teorizzando una sorta di limitazione dell’orizzonte dell’arte, essi intesero separarla dalle contaminazioni della politica. Preferirono, insomma, non partecipare, ignorando le sirene del fascismo e rifiutando di essere integrati nei suoi apparati, pur senza fare aperta professione di antifascismo. Quest’ultima opzione sarebbe stata molto pericolosa, sfociando inevitabilmente nel carcere o nell’esilio.
Nel variegato ventaglio di atteggiamenti che gli uomini di lettere assunsero nel ventennio, appaiono particolarmente emblematici i casi, diversi ma in qualche misura convergenti (almeno da un certo momento in poi), di Carlo Emilio Gadda ed Eugenio Montale. Ad essi è dedicato un approfondito studio di Pier Giorgio Zunino, già docente di Storia contemporanea nell’Ateneo torinese: Gadda, Montale e il fascismo (Laterza, pagine 402, euro 28,00). La ricerca mette a confronto i percorsi ideologici dei due autori, evidenziando le iniziali ambiguità nei confronti del fascismo, ma anche il progressivo collocarsi in una zona tra il distacco e l’antifascismo vero e proprio, sempre più netto, per entrambi, nel corso degli anni ’30. Trasferitosi nel 1925 a Roma in virtù della sua professione di ingegnere, Gadda assiste con crescente disgusto, negli anni successivi, alle cerimonie e ai riti del fascismo trionfante, che pure all’inizio aveva sostenuto in funzione antibolscevica, esaltando in alcuni articoli l’operosità del regime in vari campi.
Caduto il fascismo, scrive, tra il 1944 e il 1945, uno dei libelli più visceralmente antimussoliniani.
Respinto come «intollerabilmente osceno» da prestigiose riviste (con l’eccezione di “Officina”, che ne accoglie una sezione fra il 1955 e il 1956) e pubblicato integralmente solo nel 1967 dopo un drastico lavoro di revisione con il titolo Eros e Priapo, è un testo difficile da classificare. Al confine tra satira e saggio psicanalitico, Gadda fa i conti, dal punto di vista storico e personale, con Mussolini e con il fascismo, esprimendo finalmente tutta la propria avversione nei confronti di quell’ideologia. Insomma, Gadda si era messo al riparo durante gli anni della dittatura e, ora che essa è stata sconfitta, può sfogare tutto il fiele accumulato in silenzio. Da subito meno cauto è stato invece l’atteggiamento di Montale. Negli anni in cui il fascismo è al potere, egli non teme di porsi pubblicamente all’opposizione. Mentre Ungaretti ottiene da Mussolini una prefazione alla ristampa del suo Porto sepolto, Montale firma il manifesto promosso da Benedetto Croce per la libertà della cultura, fa pubblicare gli Ossi di seppia a Piero Gobetti, uno dei più fieri avversari del regime, e non prenderà mai la tessera del Partito fascista, a costo di perdere la direzione del Gabinetto Vieusseux, cosa che accade nel 1938. Nelle Occasioni, uscite l’anno successivo, il doloroso ripiegamento sul privato è dovuto anche a questo contesto, che per evidenti ragioni di opportunità non può essere nominato se non in alcune allusioni cifrate (per esempio alla «fede feroce», nazista, nella lirica Dora Markus). Le stesse motivazioni inducono Montale, nel 1943, a pubblicare la raccolta Finisterre in Svizzera, dove l’epigrafe tratta dal poeta barocco francese Théodore-Agrippa d’Aubigné, che sfida i governanti («le loro mani servono soltanto a perseguitarci»), non avrebbe creato problemi. Rimasta così a lungo sotto la superficie, la grande Storia potrà finalmente emergere nella raccolta La bufera e altro (1956), in cui è compresa una delle poesie più belle e dolorose di Montale,
La primavera hitleriana, ultimata e pubblicata in rivista subito dopo la fine della guerra e ispirata dalla visita di Hitler a Firenze avvenuta nella primavera del 1938, quando il dittatore tedesco fu accolto con tutti gli onori dall’alleato Mussolini. Un testo in cui la condanna di fascismo e nazismo è dura e diretta. Quale nel ’38 non avrebbe potuto essere.