il Giornale, 11 aprile 2023
Ritratto di Gianni Rivera
Una domenica pomeriggio a Milano di pieno inverno, si gira pesanti e c’è una nebbia fittissima, non si vede neppure il marciapiede su cui si cammina ma la gente va di fretta, a San Siro gioca il Milan. Alla radio danno la diretta, il cronista chiede pietà: Non si vede niente, solo ombre e non riesco a distinguere quando prende la palla Schiaffino o quando ce l’ha Rivera, scusate me li confondo L’uruguaiano è un’icona gonfia di medaglie e ha superato i trenta da un po’, il signorino non è ancora maggiorenne. Siamo solo all’inizio. Tempo fa gli hanno chiesto del Napoli e lui ha risposto di getto: Beh, prima o poi qualcuno supererà il mio record, lo raggiunge e poi lo migliora. Il giornalista resta un attimo in silenzio, non capisce: Cioè? Cioè il Gianni è il calciatore che ha segnato il maggior numero di reti negli scontri fra Napoli e Milan, otto, niente di clamoroso ma il record è suo. E Napoli in qualche modo lo ha scoperto il 24 aprile del 1960. Gianni Rivera ha la maglia grigia dell’Alessandria che gioca al San Paolo, il bambino ancora è uno fra i tanti e quando segna il gol dell’1-0 i tifosi si guardano perplessi, ma chi è? È una rete bellissima, di classe, semplice e pulita, la gente si è alzata e l’ha applaudita, qui si battono le mani anche agli avversari quando fanno cose meravigliose. Quel nome forse l’hanno già sentito ma il lunedì mattina è il primo che vanno a cercare sulle pagine dei quotidiani, si chiama Gianni Rivera, la didascalia dice che è nato proprio ad Alessandria e si annuncia un futuro campione, il Milan lo vuole: Quel gol un po’ me lo ricordo ma non è servito a niente, siamo retrocessi ugualmente, cosa avevo? Un buon controllo di palla, una buona visione di gioco, altro non serviva ma non sono mai stato un calciatore però giocavo a pallone. Sì, l’ha preso il Milan, le voci dicevano che Juventus e Inter lo avevano scartato e lui a 16 anni debutta in rossonero in una amichevole contro il Fulham, non uscirà mai più, tutta una riga con quel suo carattere, avrebbero volentieri fatto a meno di consegnargli il Pallone d’Oro nel 1968 ma era largamente il miglior giocatore in circolazione, non c’era partita. Abitava in piazza Velasquez e da Alessandria si era portato papà Terenzio e mamma Edera, quando usciva di casa c’erano fuori i ragazzi più grandi che volevano vederlo da vicino e i milanesi chiudevano la settimana in bellezza con un suo gol. Capace di mettere un pallone qualunque, sgonfio e confuso, in piena area sui piedi del compagno in un vortice di gambe nervose. Quel pallone sulla testa di Pierino Prati nella finale con l’Ajax, quel piatto destro dietro le braccia di Sepp Maier con Beckenbauer col braccio al collo, Albertosi senza guanti e i raccattapalle con l’impermeabile a bordo campo dell’Azteca. Se oggi c’è una targa che lo ricorda, è grazie a lui. Tanti pregi, pensava veloce e diceva ciò che pensava: La Juventus? Non si può giocare contro di loro, se ce lo dicevano prima non ci saremmo neppure iscritti al campionato, se dico quello che penso o la sbattono fuori o mi squalificano a vita. E penso che finirebbe così. Un giorno ha smesso: Solo giocando a pallone mi sono sentito realizzato, solo con un pallone fra i piedi ero me stesso, auguro a ogni uomo di vivere un’esperienza così. I suoi ex compagni andavano in giro a giocare partite di beneficenza, revival, incontri fra vecchie glorie, lui niente, non ne ha più voluto sapere, così come era stato trattato ha voluto ripagare, tutto o niente, non poteva finire nel gregge dei nostalgici e ha lasciato di sé il miglior ricordo. I tifosi non volevano crederci, dicevano che non era vero e il Gianni a pallone ci giocava ancora ma di nascosto, in qualche campetto di periferia, fuori mano, fra amici fidati, magari con baffi finti e parrucca. Se capitavano in gita fuori porta davanti a quattro scalmanati che tiravano calci a un pallone si fermavano: Ma quello non è il Gianni? Poi scuotevano il capo e se ne andavano. Quando gli hanno chiesto di quel record di gol in Milan-Napoli era la scorsa stagione e c’era ancora Lorenzo Insigne, il secondo in quella graduatoria con sei reti: Le ricordo confusamente, qualcuno prima o poi ne segnerà di più, io ho chiuso il 6 maggio del ’79 all’Olimpico contro la Lazio. Non sapevo che quella sarebbe stata la mia ultima partita, a tutto pensavo tranne che al mio ritiro ma non sono certo il tipo che dice scusate, ho sbagliato, adesso ricomincio. Però a pallone ci giocherei ancora, anche oggi.