Il Messaggero, 11 aprile 2023
Il 54% dei malati del Centro Sud va al Centro Nord per guarire
ROMA Curarsi nella propria regione può essere un lusso. Soprattutto se si vive al Sud o nelle isole. E se è vero che spostarsi per ottenere una terapia innovativa non è una novità, negli ultimi anni la carenza dei medici, la chiusura o l’accorpamento di alcune strutture ospedaliere hanno peggiorato il fenomeno della migrazione sanitaria. I dati del recente rapporto della Fondazione Gimbe mostrano in modo chiaro, in soldoni, a quanto ammonta il flusso di risorse economiche e quindi di conseguenza di persone, che ogni anno attraversa le nostre regioni, anche se la pandemia ha per forza di cose rallentato gli spostamenti dei pazienti italiani. Nel 2020 il valore della mobilità sanitaria arriva a 3.330,47 milioni di euro. E non è un caso che gli ospedali e i centri di eccellenza che riescono ad offrire prestazioni adeguate siano tutte al centro Nord. Sono infatti 6 le Regioni che vantano crediti superiori a 150 milioni di euro: in cima troviamo la Lombardia (20,2%), poi l’Emilia-Romagna (16,5%) e il Veneto (12,7%). Secondo i dati elaborati, un ulteriore 20,7% viene attratto da Lazio (8,4%), Piemonte (6,9%) e poi Toscana (5,4%). Il rimanente 29,9% della mobilità attiva si distribuisce nelle altre 14 Regioni e Province autonome. In sostanza, il Nord Italia macina prestazioni che le regioni del Sud non riescono a garantire, nonostante la situazione non sia certo legata alla crisi degli ultimi anni.
IL CASO DI CASARANO
Francesco Morgante, ora in pensione, era responsabile di nefrologia dell’ospedale di Casarano in provincia di Lecce. “Era la struttura di gran lunga più importante per numeri ricorda – Garantiva il 40-50 per cento dei drg (ossia i diagnosis related group) della provincia. Aveva reparti di Chirurgia pediatrica, di neurochirurgia, rianimazione. Da 50 anni era sede di un reparto di dialisi, il primo in Puglia. Spesso i pazienti venivano anche dalla Sicilia”. Eppure, nonostante le richieste di prestazioni sul territorio siano ancora sempre elevate, i cittadini devono rivolgersi ad altre strutture. «L’ospedale di Casarano è stato declassato all’ultimo livello spiega Morgante – Hanno portato a ospedale di primo livello due altre sedi, con una viabilità migliore. Ma in realtà, a Lecce, non esistono colline, quindi sembra più una scelta politica che di sicurezza stradale». Il caso di Lecce in realtà non è affatto isolato. Lo sanno bene tutti i pazienti che vivono al sud e spesso hanno difficoltà persino a raggiungere il pronto soccorso più vicino, con il rischio di non riuscire a ricevere le cure prima che sia troppo tardi. «La differenza dal punto di vista dello stato di salute è il primo elemento che caratterizza nord e sud conferma Americo Cicchetti, direttore di Altems (l’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari dell’Università Cattolica) E questo si ripercuote anche sulla speranza di vita: sappiamo che dopo i 65 un calabrese vive in buona salute in media 6 anni, un abitante della regione Toscana ne vive 11. Non dobbiamo dimenticare che la maggior parte degli ospedali di terzo livello si trovano da Roma in su. Il presidio è significativamente diverso». Ma poi servono servizi di prossimità e territoriali. «Spesso se mancano i servizi dipende anche dal tipo di organizzazione sottolinea Cicchetti – Il fatto che ci siano meno risorse, per esempio, dipende spesso anche dalla capacità di farle arrivare, oltre che da come vengono utilizzate».Stando ad una ricerca del Censis, il 54% dei malati migra in direzione dei poli ospedalieri altamente specializzati, il 21% a causa dell’impossibilità di fruire delle prestazioni di cui ha bisogno nella propria regione, o perché le liste d’attesa sono lunghissime. Nel caso, per esempio, dei pazienti oncologici e dei loro accompagnatori, le spese annuali sostenute sono circa 7mila euro l’anno per “costi diretti”, ossia visite mediche, farmaci, infermieri privati e viaggi. Mediamente, un malato perde da mancati guadagni circa 10mila euro l’anno, altri 6mila li perde il familiare che l’accompagna. I problemi poi si allargano anche ad altre sfere. L’accompagnatore, infatti, riconosce che nel 70% dei casi ha avuto problemi lavorativi, qualcuno si è dovuto persino licenziare (2%).
LA MIGRAZIONE DEI BAMBINI
A farne le spese sono soprattutto le famiglie con bimbi piccoli. La Società italiana di pediatria ha calcolato che i ragazzi che vivono al Sud rispetto a quelli residenti nel Centro-Nord sono stati curati più frequentemente in altre regioni (11,9% contro 6,9%); il dato aumenta soprattutto quando si considerano i ricoveri ad alta complessità (21,3% vs 10,5% del Centro-Nord). Un terzo dei bambini e adolescenti si mette in viaggio dal Sud per ricevere cure per disturbi mentali (il 10% dei casi) o neurologici, della nutrizione o del metabolismo nei centri specialistici convergendo principalmente a Roma, Genova e Firenze, sedi di Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) pediatrici.
Il costo della migrazione sanitaria dal Mezzogiorno, dove risiede circa il 35% dei pazienti più piccoli, verso altre regioni è stato di 103,9 milioni di euro pari al 15,1% della spesa totale dei ricoveri e l’87,1% di questo costo (90,5 milioni di euro) ha riguardato la mobilità verso gli ospedali del Centro-Nord.