Il Messaggero, 11 aprile 2023
Intervista a Daniela Santanchè
Il turismo vola, ma manca il personale. Da Roma alla Romagna gli operatori denunciano l’importanza di questo freno. «Lavorare negli hotel e nei ristoranti deve diventare più appetibile, devono essere più alti i compensi per chi è impegnato di notte o nei festivi. Non possiamo però mettere in difficoltà le imprese, la strada è quella della detassazione» dice la ministra del Turismo, Daniela Santanchè. All’orizzonte, con i numeri degli arrivi che stanno superando quelli del 2019 (epoca del pre Covid), però c’è anche un effetto collaterale: l’overtourism. Disagi e degrado causati dal numero eccessivo di presenze, soprattutto in alcune città d’arte. E spesso abbiamo interi quartieri presi in ostaggio dalla diffusone dei b&b, degli affitti brevi. «Io non credo nel numero chiuso per l’accesso ai centri storici – precisa Daniela Santanché – mentre sul tema degli affitti brevi servono nuove regole. Il far west deve finire».
Perché non si trova sufficiente personale negli hotel e nei ristoranti?
«Il problema ha due origini. Quando c’è stato il Covid moltissime persone hanno trovato posto in altri settori dove magari non c’è il peso di dovere lavorare di notte, il sabato, la domenica, nei festivi. E ora non tornano più indietro. Inoltre, ha influito molto il reddito di cittadinanza. C’è chi magari si presenta per il posto da cameriere, ma non vuole perdere il reddito di cittadinanza e chiede di lavorare in nero».
Non c’è anche una motivazione culturale? Molti giovani ritengono che il lavoro non debba essere più al primo posto nella vita. E i salari nel settore non sono alti.
«L’anno scorso sono mancati 250mila addetti. Quest’anno, ci dicono le categorie, ne mancano già 50mila. Sul fronte dei salari, insieme alla ministra del Lavoro Marina Calderone, stiamo cercando il modo di intervenire con un provvedimento di detassazione che riguardi notturni e festivi. Non peseremo sulle aziende, ma aumenteranno i salari. E questo potrebbe convincere molti giovani. Poi certo ad oggi gli stipendi sono bassi anche perché alcuni, nel settore, non sono imprenditori, ma “prenditori”, non comprendono il valore della squadra. Inoltre, dobbiamo dare uno status a questi lavoratori. Pensi ai cuochi: se 20 anni fa un ragazzo diceva in famiglia che puntava a quel tipo di professione, la madre non era contenta. Oggi, dopo Master Chef e trasmissioni simili, i cuochi sono delle rockstar. Dobbiamo dare uno status anche a chi lavora in altre posizioni del settore turistico. Fare il cameriere oggi è differente rispetto al passato, devi conoscere le lingue, spesso è un passaggio per scalare posizioni. Il turismo è il settore dove è possibile realizzare l’ascensore sociale».
Come stanno cambiando i turisti?
«Sta crescendo un turismo sostenibile, anche lento, rispettoso dell’ambiente, che visita i borghi, che si sposta in bicicletta. Sta aumentando il turismo del benessere, termale, della cura della persona. Il target si sta alzando, per questo abbiamo messo a disposizione 1 miliardo e 380 milioni di euro per le strutture ricettive per ammodernare, l’efficientamento energetico, per il cambio di arredamento. Servono standard più alti».
L’overtourism, l’impatto dei grandi numeri del turismo, è tornato dopo la pausa del Covid.
«È un problema globale, le persone che si muovono stanno aumentando in maniera esponenziale. E le località da visitare in Europa sono più o meno sempre le stesse. Penso alle città d’arte, ad esempio, a Roma, Venezia, Firenze, ma non solo. Si è sempre pensato al numero di teste per dare i dati del turismo, oggi dobbiamo pensare invece alla spesa media di ogni visitatore. E su questo i nostri numeri sono più bassi di altri paesi europei. Ecco perché dico che bisogna alzare l’asticella, lo standard dei servizi. Personalmente non trovo che il numero chiuso possa essere una soluzione per salvaguardare le città d’arte».
C’è un’altra formula: fare pagare i biglietti in alcune aree che un tempo erano gratuite.
«Il ministro Sangiuliano, giustamente, sta alzando i prezzi per alcuni beni culturali e musei. Non può essere che la Torre di Pisa costi meno della Tour Eiffel o che gli Uffizi costino meno del Louvre, vista anche la voglia che c’è di Italia».
Altro effetto collaterale del benedetto aumento del turismo: la diffusione degli affitti brevi. Sono importanti e utili, ma non quando sono fuori controllo. All’estero sono intervenuti con regole anche severe.
«Questo è un reale problema, c’è un far west. Le poche regole esistenti non vengono applicate. Serve una regolamentazione vera e stiamo anche aspettando ciò che elaborerà l’Europa. Ho attivato un tavolo con tutte le associazioni di categoria, ascoltando le varie istanze, e andremo a definire nuove regole. Tenendo però conto di alcune peculiarità, ad esempio nei piccoli borghi, dove non ci sono strutture ricettive e l’affitto breve è l’unica soluzione. Inoltre per noi la proprietà privata è sacra, dunque se una famiglia decide di affittare una stanza non è giusto impedirlo. Discorso diverso invece se tu affitti con questa formula 20 appartamenti. Servono regole, quello che ho in mente io scontenterà qualcuno. E questo mi confermerà che sarà una regolamentazione giusta».
A quale limitazioni pensa?
«Intanto, dobbiamo capire quanti sono gli affitti brevi e dove sono. Dobbiamo fare una mappatura, perché ad oggi non esiste. Altrimenti parliamo del nulla. Dopo che avremo una fotografia completa, interverremo».
Giubileo 2025, Olimpiadi invernali 2026 e candidatura di Roma Expo 2030. Sono occasioni straordinarie. Che tipo di investimenti sono necessari per farsi trovare pronti?
«Per il Giubileo stiamo realizzando molte opere. Si prevede l’arrivo di 30 milioni di visitatori. Stiamo lavorando tantissimo con il commissario Gualtieri. Questi eventi aiutano a realizzare opere che poi restano al servizio della città e a destagionalizzare il turismo, che è anche un modo per stabilizzare i lavoratori. Sulle Olimpiadi di Milano-Cortina vale lo stesso discorso. Per la candidatura a Expo 2030 bisogna lavorare con pazienza. Lo sta facendo il ministro Tajani, lo sto facendo io. Sono ottimista».
Perché avete trasformato Enit in Spa?
«Perché sia più agile e snello. E spero che salgano a bordo anche le regioni. L’Italia ha una brand reputation altissima».
Anche se a volte ci penalizza qualche stereotipo negativo. Ad esempio nell’immaginario delle serie tv. Parigi ha avuto “Emily in Paris”. Dell’Italia a volte non si dà una immagine altrettanto luminosa.
«Stiamo lavorando molto con le produzioni internazionali cinematografiche, in molti casi film e serie ci hanno aiutato a rendere popolari varie destinazioni. Alcuni luoghi sono diventati iconici. Certo, a livello reputazionale non ci aiutano altri tipi di immagini non legate alla fiction, ma alla realtà, penso ai video delle borseggiatrici rom a Milano. Quello è un danno di reputazione enorme a livello internazionale».