la Repubblica, 11 aprile 2023
I nuovi rampolli del Made in Italy
MILANO – C’è una nuova leva di giovani imprenditori tra i trenta e i quarant’anni che muovono i primi passi ai vertici delle aziende di famiglia in vista del passaggio generazionale. Qualcuno come Roberto Pesenti, che a giorni entrerà nel consiglio di Italmobiliare, rappresenta la sesta generazione, la maggior parte sono alla seconda, e sono i figli dei fondatori di gruppi come Cucinelli, Geox, Piaggio, Prada, Technogym e così via.
«Se è normale e naturale che il fondatore dell’azienda sia anche il manager alla guida, con lo sviluppo e la crescita del business le aziende dovrebbero dotarsi di una struttura manageriale – spiega Mara Caverni, managing director di New Deal Advisors –. A maggior ragione nel delicato momento della successione. Se non è avvenuto prima, forse questo è il momento di scindere i due ruoli: essere azionista o fare il manager non è la stessa cosa».
Non a caso Patrizio Bertelli ha appena chiamato Andrea Guerra a gestire il passaggio delle redini a Lorenzo Bertelli. Nella Moncler di Remo Ruffini il figlio Romeo si sta facendo le ossa in Stone Island, mentre il primogenito Pietro, che in passato aveva partecipato al cda di Moncler, è a capo della holding di famiglia, epresto sarà candidato anche lui nel cda di Italmobiliare.
«Per favorire il passaggio generazionale, la prima cosa che deve fare un imprenditore è managerializzare l’azienda, rendendola autonoma e “autosufficiente” – ribadisce Gianpiero Succi, partner dello studio BonelliErede, che ha assistito tante dynasty, dagli Angelini ai Caprotti passando per i Del Vecchio –. La seconda cosa è instillare nei discendenti il principio della separazione dei ruoli fra proprietà e gestione: il figlio di un bravo imprenditore non è necessariamente un bravo imprenditore a sua volta: solo così si assicura una linea manageriale adeguata e al contempo una sostanziale impermeabilità a eventuali vicende, anche litigiose, che possono coinvolgere gli eredi rispetto alla continuità aziendale, che è un bene primario». Enrico Moretti Polegato, ad esempio, ha mosso i primi passi in Geox, ma poi ha preso in mano Diadora, rilanciandola tanto che ormai il gruppo vende più sneaker nella patria di Nike che nel Vecchio continente. «L’azionista deve stabilire la giusta governance, individuare i manager e indirizzare le strategie e le visioni di medio e lungo periodo, siede o presiede il cda ma con poche deleghe – prosegue Mara Caverni – mentre il manager deve avere tutte le competenze per portare avanti il business e la gestione. Quindi in un passaggio generazionale bisognerebbe saper scegliere quale è il ruolo migliore da assumere nell’interesse dell’azienda e degli stakeholder, ma anche in base alle caratteristiche degli individui». In casa Boroli Drago, prima di passare le deleghe operative in mano a Enrico e Nicola Drago, i figli di Marco Drago hanno maturato esperienze all’esterno del gruppo, ricevuto un’istruzione adeguata e camminato con le proprie gambe. Roberto Colaninno ha fatto fare una lunga palestra al figlio Michele in Immsi di cui è ad e dg, prima di nominarlo a capo dell’innovazione e del marketing di Piaggio. Carolina Cucinelli, Erika Alessandri ed Edoardo Zegna, si stanno occupando del marketing delle rispettive aziende di famiglia, mentre fratelli e sorelle ovvero Camilla Cucinelli, Edoardo Alessandri e Angelo Zegna, ricoprono altri incarichi nei rispettivi gruppi.
Giovanni Tronchetti Provera, dopo una lunga palestra in Pirelli, siede in consiglio di amministrazione accanto al padre Marco, ma al timone è stato scelto Giorgio Bruno. «Non è d’altro canto neanche corretto escludere dalla vita aziendale discendenti meritevoli e capaci: sarebbe una inaccettabile reverse discrimination – ammette Succi –. Ma questi prima di entrare devono aver fatto un adeguato percorso di studi e aver acquisito la necessaria professionalità. Infine, l’imprenditore dovrebbe essere stato bravo a diversificare i suoi interessi dall’impresa, in modo da dedicarsi ad altro, ritagliandosi un ruolo non operativo per fare un vero passo indietro a favore delle nuove generazioni». Ma gli imprenditori italiani raramente riescono ad abbandonare l’impresa che hanno fondato, anche perché diventa un po’ una seconda famiglia a cui è difficile dire addio.