la Repubblica, 11 aprile 2023
Intervista a Altin Dumani. Parla del patto di sangue tra la mafia albanese e Cosa nostra
Altin Dumani, lei in Albania è il capo della procura speciale contro la criminalità organizzata e la corruzione (Spak), è uno dei magistrati più esposti nel suo Paese nella lotta ai clan che si sono diffusi in Europa e in particolare in Italia.
Qui sono diventati partner di varie organizzazioni criminali.
Cosa li unisce e quali sono i loro affari?
«Come ogni organizzazione criminale, l’obiettivo di questi gruppi guidati da cittadini albanesi è l’arricchimento attraverso attività illegali. In questo contesto i loro scopi e obiettivi, anche nell’ambito della cooperazione con i clan italiani, non cambiano, ma mirano ad accumulare denaro in violazione della legge».
In quali città italiane risulta dalle vostre indagini la presenza di forti clan albanesi?
«Le attività investigative congiunte con le autorità giudiziarie italiane rilevano che nel vostro Paese ci sono cittadini albanesi coinvolti in fatti criminali che riguardano principalmente il traffico di droga, il riciclaggio di denaro, il traffico di esseri umani, l’immigrazione illegale e le frodi informatiche. Si sospetta che queste attività criminali siano state svolte in diverse città come Roma, Milano, Firenze, Venezia, Ancona, Torino, Bari, Brescia, Bergamo, Pordenone, Pisa e Lecce. Un’inchiesta parallela svolta con i magistrati della procura di Catania ha rivelato che un clan albanese collaborava con persone legate a Cosa nostra per riciclare una grossa somma di denaro. Abbiamo indicazioni e dati, che condividiamo con le autorità giudiziarie del vostro Paese, da cui emergono come i gruppi albanesi collaborino con i clan o le mafie italiane».
Si può parlare dell’esistenza di una “mafia albanese”?
«Il termine “mafia albanese” è usato dai media e dai circoli accademici, poiché non è un termine legale nella legislazione penale albanese. Non si può dire che oggi abbiamo strutture criminali che assomiglino alle organizzazioni mafiose italiane tipo Cosa nostra, ’ndrangheta, camorra o Sacra corona unita. I gruppi criminali albanesi sono caratterizzati da stretti legami familiari e sociali, ma senza una chiara gerarchia. Operano principalmente in piccoli gruppi e in collaborazione con organizzazioni locali o con altri gruppi criminali strutturati albanesi».
La corruzione in Albania può essere considerata un’arma a favore dei clan, con la quale ottenere benefici “istituzionali”?
«I clan albanesi, come qualsiasi altro gruppo criminale, cercano di indebolire la forza della legge e a tal fine cercano costantemente di stabilire legami con le istituzioni attraverso la corruzione o il ricatto. In Albania ci troviamo di fronte a questo fenomeno sicuramente inquietante, ed è una delle priorità del lavoro della Spak (la procura speciale anticorruzione e anticriminalità,ndr ).Durante le indagini che abbiamo condotto sono stati riscontrati diversi casi in cui appartenenti alla criminalità organizzata hanno reclutato o corrotto agenti di polizia di vario grado».
A quali livelli è arrivata la corruzione?
«La corruzione è un fenomenopreoccupante per i Paesi in transizione e l’Albania non può evitare questo problema.
La Spak considera la lotta alla corruzione degli alti funzionari statali essenziale per il funzionamento dello Stato di diritto e una delle principali priorità del suo lavoro. Dalla sua costituzione,la Spak ha sanzionato per reati di corruzione o abuso d’ufficio alcuni magistrati, pubblici ministeri, agenti di polizia, sindaci ed ex sindaci, un viceministro, un ex procuratore generale, un ex ministro dell’Interno e attualmente ha arrestato un ex ministro e un deputato dell’Assemblea d’Albania».
Dove vengono reinvestiti i proventi del traffico di droga, dello sfruttamento della prostituzione e del traffico di esseri umani?
«Esistono altre istituzioni che effettuano analisi dettagliate per valutare il rischio di riciclaggio di denaro. Ma in generale, basandoci sulle indagini svolte dalla Spak, possiamo dire che i settori più coinvolti dal riciclaggio di denaro sono l’edilizia, il settore immobiliare, l’industria leggera, il gioco d’azzardo e il turismo alberghiero.
Di recente si è notato anche l’uso delle criptovalute. Un caso interessante su cui ha indagato la Spak è stato invece quello del costruttore palermitano Francesco Zummo (è uno dei protagonisti del sacco mafioso di Palermo sui cui aveva indagato il giudice Giovanni Falcone, ndr ), che ha cercato di riciclare circa 18 milioni di euro attraverso istituti bancari albanesi. La Spak ha sequestrato questa somma e il procedimento è al vaglio dei giudici con l’obiettivo del sequestro definitivo dell’intero importo di 18 milioni e 400mila euro».
Qual è la sua strategia per combattere i clan?
«La Spak ha creato una sezione speciale nella lotta contro la criminalità organizzata e la corruzione, composta da procuratori e investigatori specializzati. L’uso di strumenti e metodi investigativi speciali come gli agenti sotto copertura e le intercettazioni. Dato che la criminalità organizzata è transnazionale, la Spak ha prestato molta attenzione al rafforzamento della cooperazione con le autorità giudiziarie straniere, che comprende la creazione di squadre investigative comuni, procedimenti paralleli e assistenza giudiziaria reciproca.
La Procura Speciale dispone attualmente di diverse squadre investigative congiunte: italiane, britanniche, francesi, tedesche e spagnole. Indagini parallele sono state condotte anche con Danimarca e Norvegia. Il sequestro e la confisca dei proventi di reati rientrano in questa strategia. In tre anni la Spak è riuscita a sequestrare e confiscare beni mobili e immobili, aziende e somme di denaro per oltre 100 milioni di euro».