Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  aprile 11 Martedì calendario

Minatori rimasti senza nome

Non ha ottenuto grande interesse una notizia che riguarda la tragedia mineraria dell’8 agosto 1956. La notizia è che hanno trovato un nome due corpi rimasti sepolti nella fossa comune degli «inconnus» (gli sconosciuti) nel cimitero di Marcinelle: il primo è quello del belga Oscar Pellegrims, il secondo è quello dell’italiano Dante Di Quilio, che aveva 27 anni la mattina in cui per l’ultima volta scese in miniera. Di Quilio è uno dei 262 morti, 136 dei quali italiani: nacque il 10 novembre 1928 ad Alanno, in provincia di Pescara, e a Manoppello sposò Chiarina Rulli, che quel giorno ebbe due lutti: oltre al marito, morì anche suo fratello Rocco. Dante è stato riconosciuto grazie a Dantina, sua figlia, che si è offerta per il test del Dna: Dantina nacque in Belgio un mese dopo la morte di suo padre. Un altro «inconnu» identificato di recente si chiamava Eduardo Romasco, classe 1920, «ribattezzato» grazie al Dna della figlia Diva. Rimangono ancora 14 i corpi da riconoscere. Tra questi, Francesco Cicora di San Giuliano di Puglia, il cui figlio Michele ha fatto ciò che avrebbe dovuto fare da molto tempo lo Stato: sperando di ritrovare suo padre, ha proposto di avviare gli esami genetici per i corpi anonimi sepolti nella fossa comune. Nel XXIV del Purgatorio, Dante viene guidato tra i golosi dal poeta Forese Donati. Il quale gli indica, nominandoli, quegli spiriti sfigurati dalla magrezza. Dice il pellegrino Dante: «Molti altri mi nomò ad uno ad uno; / e del nomar parean tutti contenti». Nell’atto della nominazione, quei poveretti si illuminavano in volto. È la gratificazione che avvertiamo tutti sentendoci chiamare per nome. Le vittime di Marcinelle non hanno nulla da espiare, e a maggior ragione i loro resti meritano di essere identificati, come lo meriterebbero oggi le migliaia di naufragati senza nome. Si capisce dunque l’ansia dei figli e delle figlie nel chiedere che i loro padri morti sul lavoro riguadagnino la dignità del proprio nome. Per questo è bene ricordarli, i nove minatori italiani a cui i familiari non possono ancora portare un fiore. Erano abruzzesi, pugliesi e veneti, si chiamavano: Francesco Cicora, Eligio Di Donato, Secondo Petronio, Edmondo Cirone, Rocco Ceccomancini, Francesco Paolo Martinelli, Pietro Basso, Michele Granata, Pompeo Bruno. Nomi senza corpo, corpi senza nome.