La Stampa, 9 aprile 2023
Intervista a Giampiero Mughini
Torino
Giampiero Mughini, una lunga storia che parte dalla sinistra radicale e approda al pensiero libertario e apolide. Chi meglio di lui per entrare nella discussione sull’egemonia culturale della destra e sui suoi caratteri tra tradizione e innovazione?
Mughini, chi ha paura dell’egemonia culturale della destra?
«Uhh che parolona. Egemonia è un termine assolutamente fuori misura. Quanto agli intellettuali della cosiddetta destra, beh, bisogna capirli: sono stati chiusi in un angoletto per tanti anni».
Perché dice ‘cosiddetta destra’?
«Ma perché destra e sinistra sono due ferrivecchi. Roba superata. Termini nati con la rivoluzione francese. Nel Novecento la destra si è identificata con Benito e con quel criminale di Hitler. La sinistra con Peppone Stalin, non meno criminale di lui».
Ma in Italia la sinistra non è stata Stalin…
«Il Pci ha avuto quattro fondatori. Gramsci è stato messo in galera dal fascismo ma era osteggiato dai vertici del partito perché non era stalinista. Angelo Tasca è diventato uno dei più duri critici del comunismo. Terracini non era certo uno stalinista. La guida del partito è andata a Togliatti che ha saputo barcamenarsi in modo intelligente tra l’Italia e l’Urss».
Dunque destra e sinistra non esistono più?
«Morte e sepolte».
In genere chi sostiene questa tesi è di destra…
«Questa è una stupidaggine. La mia biografia è intrisa dei miti della sinistra. Dalla musica a tutto il resto. Ma quelle due categorie non servono più a spiegare nulla. Gli esponenti della destra italiana non sono i guardiani del campo di Auschwitz, la sinistra italiana non è più stalinista».
Dov’è allora la differenza? Tra chi paga le tasse (quasi solo i lavoratori dipendenti e pensionati) e chi no?
«Anche questa è una distinzione superata. Più delle giaculatorie e favore dei poveri conterà chi pagherà le pensioni ai pensionati del 2050 visto che i giovani hanno lavori sempre più precari».
Tradizione contro innovazione, anche questo è uno schema che non la convince?
«Guardi ormai gli schemi non mi convincono più. Non ci credo, non mi incantano. Gli schemi? Gettiamoli alle ortiche. L’unico criterio di giudizio è quello delle persone. Io valuto le persone a prescindere dalla casella in cui vengono collocate».
Per esempio?
«Mi trovo più d’accordo con Giuli che con Michela Murgia. Anche se il primo è nella casella della destra e la seconda piace a una parte della sinistra. Poi certo nei due campi ci sono un certo numero di imbecilli settari e semianalfabeti. Ma nessuno può dire di averne il monopolio».
Quale caso ha in mente?
«Beh il dibattito scaturito dalle dichiarazioni ignobili e per certi aspetti amene del presidente del Senato su via Rasella. Invece di aprire la discussione su un fatto storico si è scatenato un fracasso che ha visto scendere in campo tifosi ignoranti. Per anni si è discusso in modo serio su quella vicenda. Marco Pannella, per esempio, diceva che fu un’azione suicida con un bilancio fortemente negativo. Oggi invece si discute senza sapere nulla».
Rimpiange i tempi andati?
«Dico solo che noi da giovani leggevamo i libri e ne discutevamo anche con le fidanzate. Oggi se parli di un libro in tv scorgi il terrore dipingersi sul volto del conduttore che teme di veder scendere lo share».
Almeno sui diritti civili, quelli legati alla libertà delle persone, ci sarà una distinzione. L’Italia di destra ha appena deciso di non votare il deferimento dell’Ungheria di Orban alla Corte di giustizia di Bruxelles per la legge contro gli omosessuali. Non la spaventa un asse Meloni-Orban?
«I diritti civili sono, o dovrebbero essere, diritti di tutti, non della destra o della sinistra. Ricordo che ai tempi del referendum sul divorzio, legge civilissima che ha segnato una svolta nella storia anche politica italiana, molti pensavano che i radicali fossero un partito di sinistra perché era schierato a favore. Ma il partito di Pannella non era di sinistra: era un serio partito liberale».
Però oggi è la destra che sembra più restia ad accettare l’allargamento dei diritti civili. O no?
«Dico solo che spero, spero, spero, che non nasca un asse Meloni-Orban su questo. Meloni è uno dei due fuoriclasse della politica italiana. Su Orban non vorrei dare giudizi affrettati. Non dimentico che da giovanissimo fu tra coloro che si opposero ai carri armati sovietici che invadevano Budapest».
Chi è l’altro fuoriclasse della politica italiana?
«Matteo Renzi. Nonostante tutto il male che sa farsi da solo».
E Schlein? Qual è il suo giudizio sulla nuova leader del Pd?
«Non so nulla di lei. Devo dire che finora nulla di quel che le ho visto fare ha avuto per me un qualche interesse». —