La Stampa, 9 aprile 2023
Intervista a Guido Crosetto
È il momento del «grande dolore» per la morte di Alessandro Parini a Tel Aviv e, insieme, dei «forti timori» per le crescenti tensioni dentro Israele e ai suoi confini. «L’allerta è molto alta», ammette il ministro della Difesa Guido Crosetto, appena rientrato da una missione in Libano dove ha fatto visita al contingente italiano e incontrato il governo libanese. «Durante il mio viaggio – racconta – ho vissuto in diretta il blocco, di terra ed aria, ordinato dall’Onu, e i nostri militari costretti a chiudersi nei bunker, mentre da Israele partivano razzi sugli appostamenti palestinesi che si trovano in territorio libanese, in risposta agli attacchi ricevuti. È qualcosa che non accadeva, in questa misura, da molti anni». La preoccupazione, dunque, «è doppia», sottolinea Crosetto, «intanto per l’incolumità dei nostri militari, di cui ogni giorno sento in modo pressante la responsabilità, ma anche perché ogni ferita che si apre nel mondo, in questo momento, è più difficile da rimarginare. E dobbiamo capire che queste ferite provocano effetti negativi anche sull’Italia».
Cosa può fare il governo?
«Giorgia Meloni, con la sua leadership, può e deve essere un perno per il dialogo in Israele, così come in Libano e in Egitto. L’Italia può contribuire alla stabilizzazione di quell’area, perché gode di “rispetto e attenzione”, come mi ha assicurato il governo libanese. E lo stesso ho percepito in Arabia Saudita, negli Emirati Arabi, in Egitto. Meloni ha la possibilità di accollarsi questa sfida che è fondamentale, anche in chiave europea».
Gli scontri contro i palestinesi a Gerusalemme durante il Ramadan, poi l’attacco terroristico a Tel Aviv, mentre i cieli di quell’area tornano a riempirsi di missili. Crede che Israele stia perdendo la sua funzione di equilibrio nell’area?
«In Israele c’è una conflittualità esterna che è cresciuta molto nell’ultimo periodo, a cui si è affiancato uno scontro politico interno molto violento. Sono chiaramente tutti elementi di instabilità che ci preoccupano».
Il fronte interno è infuocato dalla riforma giudiziaria su cui insiste il governo Netanyahu. Sarebbe opportuno un passo indietro?
«Non mi intrometto nelle scelte politiche di un altro Paese. Quello che posso dire è che spero diminuisca al più presto la tensione politica. Abbiamo bisogno che Israele, la cui legittimità ad esistere come Stato è piena ed incontrovertibile, possa affrontare il tema dei rapporti con i palestinesi nel modo più sereno possibile. Se ha due fronti aperti, interno ed esterno, il problema è maggiore e le difficoltà aumentano».
In questi giorni, proprio in Libano, autorità palestinesi potrebbero incontrare i vertici del governo di Beirut per rafforzare il coordinamento tra i Guardiani della rivoluzione iraniani, Hezbollah, Hamas e la Jihad islamica.
«Hezbollah, dopo gli avvenimenti di questi giorni, ha però gettato acqua sul fuoco. Sembra voler avere un ruolo più “istituzionale”, al contrario di Hamas, che invece sparge benzina sul fuoco. Alcuni pensano che ciò avvenga sotto la spinta dell’Iran, il che si innesta in un contesto preoccupante più generale. In quella zona c’è una somma di situazioni al limite della rottura che bisogna fermare. Un’escalation avrebbe ripercussioni anche su di noi. Il definitivo deterioramento dei rapporti tra Israele e Libano, ad esempio, potrebbe portare centinaia di migliaia di profughi libanesi, siriani e palestinesi ad avventurarsi sulla rotta balcanica o mediterranea. E sappiamo bene che non si fermerebbero in Grecia, ma proseguirebbero anche verso l’Italia».
Crede che la Russia, giocando di sponda con l’Iran, stia soffiando sul fuoco per aprire un altro fronte alle porte dell’Europa?
«L’instabilità genera instabilità. Chi ha interesse a creare il caos, in questo momento, ha interesse che questo caos si crei in Siria, Libano, Egitto, Tunisia, Libia. Stavolta non vedo però lo zampino della Russia. Credo piuttosto sia in atto un rimescolamento degli equilibri in Medio Oriente e che sia difficile avere una sola chiave di lettura. È anche vero che il mondo di oggi è in ogni sua parte collegato. La crisi del grano ucraino, ad esempio, è diventata uno dei grandi fattori di instabilità in un Libano messo in ginocchio da crisi economica ed inflazione».
La Russia non sembra intenzionata a una de escalation in Ucraina. Medvedev sostiene che l’Ucraina cesserà di esistere, perché nessuno ha bisogno di lei.
«Io ho sempre avuto rispetto per gli avversari, ma ho l’impressione che Medvedev abbia perso da tempo la capacità di giudizio e che si sia trasformato in una macchietta. A volte scrive sui social delle cose così assurde che mi viene il dubbio provengano da un account parody, falso».
Intanto la Commissione europea torna a chiedere alla Cina di non fornire aiuti militari alla Russia. L’Italia ha questo sospetto?
«La Cina normalmente dice ciò che fa. Non si è mai preoccupata di nascondere le scelte che compiva. Se dice che si terrà fuori da questa guerra, senza forniture militari, significa che probabilmente farà così».
L’Italia troverà invece il modo di aumentare entro la fine dell’anno gli investimenti militari, per avvicinarsi alla soglia del 2% del Pil, come chiede la Nato?
«Sono stato il primo ministro della Difesa italiano, in una riunione della Nato, a dire che non sarà facile per noi. Le condizioni economiche e le regole di Buxelles lo rendono un obiettivo complicato. Detto questo, dobbiamo raggiungerlo, perché fa parte delle regole da rispettare per far parte di quella comunità. Troveremo il modo di farlo, gradualmente». —