Domenicale, 9 aprile 2023
Storia dei ristoranti
Ormai fanno parte della topografia di ogni città e sono luoghi che caratterizzano le nostre vite, ma i ristoranti non sono sempre esistiti. C’erano, è vero, posti in cui sostare per un pasto fuori casa, ma la loro cucina era molto ordinaria, a volte mediocre e ci si rivolgeva a queste strutture per nutrirsi, non certo per un’esperienza da gourmet. Su come e quando siano nati di preciso i ristoranti come li conosciamo oggi ci sono diverse opinioni, ma indicativamente siamo nella seconda metà del Settecento e, ovviamente, a Parigi.
Tempo e luogo non sono indifferenti perché la Francia all’epoca era un riferimento culturale in molti campi, inclusa la cucina, e lì prendevano corpo le idee che avrebbero invaso l’Europa. La nascente borghesia stava acquisendo sempre maggiore potere, ma non poteva contare su ricchezze famigliari e sontuose abitazioni in cui ricevere gli ospiti. Si fece sempre più presente l’esigenza di avere dei luoghi pubblici che potessero offrire una cucina e un servizio di sala simile a quello delle residenze nobiliari dove invitare clienti, colleghi e amici. La rivoluzione del 1789 accelerò improvvisamente il processo perché lasciò senza lavoro molti grandi cuochi che fino ad allora erano stati impiegati nelle case nobiliari. Gli aristocratici in fuga o decapitati avevano abbandonato case e domestici e tra loro anche molti grandi cuochi che decisero di intraprendere una carriera a servizio del pubblico.
Dovendo inventare un nuovo tipo di locali, vennero presi a modello le abitazioni nobiliari in cui lo spazio destinato alla cucina era separato dalla sala destinata ai clienti. Il cuoco era così nascosto alla vista e i camerieri erano i soli punti di contatto tra il luogo della produzione e quello del consumo del cibo. La disposizione era molto diversa dalle taverne e osterie che già popolavano le strade della Ville Lumière in cui l’oste cucinava alla presenza dei clienti e si occupava un po’ di tutto.
Una teoria vuole che i cuochi cercarono di nascondersi alla vista di coloro che poco tempo prima avevano decapitato i loro padroni, ma penso che le ragioni siano più profonde. A partire dai primi ristoranti, la cesura tra cucina e sala é rimasta una costante, contando però su innumerevoli varianti. E proprio quella multiforme parete che compare e scompare può essere usata come una cartina tornasole del rapporto tra la società e la gastronomia.
Se un tempo rappresentava un limite invalicabile dietro al quale si custodivano i segreti dei grandi cuochi, con il passare del tempo è diventata sempre più trasparente, anche letteralmente. Le pareti sono state sostituite da vetrate attraverso cui è possibile vedere direttamente la cucina, trasformando il laboratorio alchemico in teatro.
In alcuni casi le operazioni più coreografiche sono state portate direttamente in sala dove vengono saltate e flambate le pietanze al tavolo, una moda che si è quasi completamente esaurita negli anni 90 del secolo scorso, ma in molti rimpiangono ancora.
Appena è stato possibile, anche la televisione si è spinta oltre quella parete, andando a sbirciare tra i fornelli, invadendo lo spazio di lavoro per raccontare come si eseguivano le ricette. Non contenta, negli ultimi anni ha cambiato prospettiva portando gli chef fuori dalle cucine e trasformandoli in veri opinion leader. Oggi è quasi impossibile andare in un ristorante stellato senza trovare il cuoco che gira per la sala intrattenendo i clienti. Aprire o meno la cucina è un atto politico. Si decide se la comunicazione del cibo debba essere affidata unicamente al cameriere che porta avanti e indietro i piatti, oppure si voglia instaurare un altro rapporto con il cliente ripensando la struttura del ristorante.
L’articolazione degli spazi è solo uno dei molti modi di comunicare il cibo e ha a che fare con la relazione che ognuno di noi intrattiene con ciò che mangia. Un libro che aiuta a pensare il cibo, fornendo le categorie e la struttura del pensiero semiotico, è Gustoso e saporito di Gianfranco Marrone. Un libro importante che invita alla riflessione sui modi di comunicare attraverso il cibo. Non si parla di marketing o strategie pubblicitarie – anche quelle ovviamente sono coinvolte– ma dei significati più profondi e di come vengono veicolati dal cibo come linguaggio in sé.
Perché non mangiamo gli insetti o quale rapporto c’è tra naturale e artificiale nel piatto, fino alla comunicazione che si nasconde dietro alla presentazione di una portata di un grande ristorante, sono tutti argomenti che fanno parte del discorso gastronomico e vengono presi in esame in questo libro. Il suo valore è di fornire vere e proprie categorie di pensiero applicabili a una moltitudine di argomenti per aiutarci a comprendere meglio il cibo come veicolo di informazioni che normalmente ci sfuggono. In fondo il nutrimento non è quasi mai la parte più importante del pasto, tutto il resto è comunicazione.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Gianfranco Marrone
Gustoso e saporito
Introduzione al discorso
gastronomico
Bompiani, pagg. 352, € 25