la Repubblica, 9 aprile 2023
Intervista a Quetin Tarantino
Quentin Tarantino ama il suo libro Cinema speculation come i suoi film e ne parla con lo stesso travolgente entusiasmo. Pubblicato in Italia da La nave di Teseo di Elisabetta Sgarbi, raccoglie una serie di saggi sul cinema che lo ha formato. Per chi conosce i suoi punti di riferimento alcuni grandi cineasti risultano ovvi, come Sam Peckinpah e Don Siegel, altri come John Flynn rappresentano delle scoperte, altri ancora sono discutibili ma coerenti con la sua poetica: di Sylvester Stallone scrive che sia stato il migliore regista con cui lo Stallone attore abbia mai lavorato. I saggi sono folgoranti e divertenti, soprattutto quando parla della cosiddetta serie B, classificazione che Tarantino rifiuta: il suo approccio non è quello di colui che trova i tesori nella spazzatura ma di chi contesta il concetto stesso di rifiuto o limitazione. È da questo approccio che nasce la sua ripetuta riscrittura della storia, vuoi che si tratti della morte di Hitler o del massacro di Bel Air, ed è anche in questo che Tarantino rappresenta l’ultima grande rivoluzione avvenuta nel cinema. La sua intera esistenza è intrecciata con quella delle immagini in movimento, ed è consapevole che ogni momento dell’esistenza non può prescindere da un elemento spettacolare. «Vedere un film mi esalta nella stessa maniera in cui mi eccitava quando avevo sette anni» spiega, «e non esiste film che non mi abbia lasciatoqualcosa».
Cominciamo con i registi che predilige: Sam Peckinpah…
«Un grandissimo poeta dello schermo che ha saputo raccontare amicizia, l’onore e la violenza come pochi. È riuscito a trasformare le scene più cruente in balletti liquid, con protagonista il sangue. Il finale delMucchio selvaggio è uno dei momenti più alti della storia del cinema: pensa alla semplicità della battuta “andiamo” con la quale questo gruppo di uomini decide di morire per salvare un compagno che non amano neanche troppo. Ricordo quanto mi sconvolse la scena in cui Mapache sgozza Angel, e poi la morte di tutti i componenti del mucchio, con Ernest Borgnine che urla il nome del capo Pike mentre Warren Oates trafitto dei colpi continua a sparare con la mitragliatrice: sembra che abbia un orgasmo».
Pike, interpretato da William Holden, uccide una donna che ha tentato di ammazzarlo urlando “puttana”: sarebbe possibile oggi?
«Io lo farei senza problemi. Non si può dimenticare che Peckinpah ha pagato per la sua libertà intellettuale: era un grande artista tormentato, che reagiva alle pressioni e alle censure diventando più provocatorio».
Ama in egual misura Don Siegel?
«Riusciva a combinare la grande tradizione hollywoodiana, in cui era nato, con talenti unici: il montaggio nel quale si era formato lavorando con Michael Curtiz, e le scelte di cast, sempre perfette. Non aveva la forza poetica di Peckinpah, ma sapeva raccontare a sua volta la violenza insita nell’uomo. È stato accusato di fascismo: era apolitico, anche se è certo che un film straordinario comeIspettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo!abbia elementi reazionari».
Parla a lungo di John Flynn.
«Non è al livello degli altri due, ma
Rolling thunder è tra i film che mi ha influenzato maggiormente: una storia di umiliazione e vendetta attraversata dal dolore. Flynn ambiva a essere Peckinpah ma era più similea Siegel e come lui era perfetto nelle scelte di cast».
Un intero capitolo è dedicato a “Taxi Driver”.
«Era stato proposto a Brian De Palma, che rifiutò di girarlo perché convinto che non fosse sufficientemente commerciale. Cerco di immaginare come sarebbe diventato nelle sue mani, non dimenticando che nella sceneggiatura di Paul Schrader il magnaccia interpretato da Harvey Keitel era un nero, con tutte le implicazioni relative».
Lei lo paragona a “Sentieri selvaggi” di John Ford.
«Schrader lo scrisse pensando a quel film e Scorsese lo aveva presente: anche Taxi Driver è la storia di un uomo che salva una ragazzina da una forma di schiavitù».
Cita Spielberg per “Lo squalo”.
«I quel film dimostra il suo genio: Spielberg ha capito l’opportunità che aveva tra le mani e ha realizzato il suo primo capolavoro: nessuno con quel materiale avrebbe potuto raggiungere un livello così alto».
Nel libro non parla del suo idolo Sergio Leone.
«Mi sono focalizzato sui registi hollywoodiani ma Il buono il brutto e il cattivoresta il mio prediletto: lo preferisco ad altri, più celebrati come
C’era una volta il West,per l’ironia».
Perché preferisce “Rocky 2” a “Rocky”?
«Apprezzo molto anche Rocky ma il secondo, come anche Taverna Paradiso,ha alcuni elementi narrativi che riflettono l’esistenza di Stallone e questo mi commuove».
Che rilevanza ha oggi la critica cinematografica?
«Oggi sono più importanti le testate sulle quali appaiono le critiche che i nomi dei recensori: non ci sono in giro personalità come Pauline Kael, Andrew Sarris o Roger Ebert. Detto questo nessuna stroncatura cambierà le sorti di un film comeTransfomers 4,ma potrebbe danneggiare un mio film o di Paul Thomas Anderson».
È vero che il suo prossimo film avrà per protagonista proprio Pauline Kael?
«È vero che avrà per protagonista un critico: la Kael potrebbe comparire ma niente di più».
Come dissuaderla dallo smettere di girare dopo il prossimo film?
«Temo niente. Vorrei concludere, in bellezza, col decimo film. Poi vorrei dedicarmi al teatro e sto scrivendo una commedia che sviluppa il personaggio interpretato da Al Pacino inC’era una volta Hollywood».
Netflix e gli altri streamer come stanno cambiando il cinema ?
«Di positivo c’è il fatto che la sorte di un film non è segnata dal risultato del primo weekend: il pubblico ha reagito molto timidamente aWhite noisema il film ha avuto una propria vita su Netflix. Tuttavia questo fattore di sicurezza riduce anche la competitività, e la sfida con se stessi di ognuno di noi: ad esempio sono orgoglioso che i miei film abbiano debuttato bene anche dal punto di vista commerciale. Poi c’è l’elemento linguistico: è inutile prendersi in giro, i film visti in televisione non sono cinema, che è un’esperienza da vivere al buio con gente sconosciuta di fronte a uno schermo luminoso che proietta immagini molto più grandi di noi. Se vogliamo essere onesti sino in fondo dobbiamo dire però che anche molti film che vediamo nelle sale non sono cinema».