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 2023  aprile 09 Domenica calendario

Il muro finlandese

“Una Las Vegas del confine, con casinò, negozi firmati e un aeroporto”. Nella prima stagione di Bordertown, la serie tv finlandese più famosa di Netflix, un uomo d’affari brama di attirare così i turisti russi del futuro. Senza spoilerare troppo, diciamo che l’impresa si complica a causa di alcuni omicidi e della caparbietà di un poliziotto venuto da Helsinki. Nella realtà, però, è andata ancora peggio. Allora era il 2016, e quel sogno – o incubo – non sembrava così impossibile da immaginare. Oggi invece a Imatra, a pochi chilometri da dove doveva sorgere quel complesso di fantasia, dal 28 febbraio la Finlandia ha cominciato a costruire una barriera per difendersi dai russi. Perché qualcosa è cambiato, e quel qualcosa è la guerra in Ucraina. Che ha spinto il Paese più felice al mondo – secondo il World Happiness Report – ad abbandonare decenni di neutralità ed entrare il 4 aprile nella Nato.
Arriviamo al checkpoint di Imatra, che divide Finlandia e Russia, in una mattina di aprile. Sole e gelo, in mezzo a una foresta di betulle. Niente auto, niente rumori, a parte il suono dell’acqua che si fionda nel tombino: la neve che si scioglie. Sembra un luogo post-apocalittico, tipo The Last of Us,o anche una scena dei primi tempi del Covid, che in fondo era la stessa cosa.
Poi a un certo punto la scena si anima e si avvicinano le prime automobili. «Da qui oggi passano ogni giorno circa 500 vetture. Ma prima dell’inizio della guerra erano 5-10mila, e c’è stato un tempo in cui si arrivava pure a 15mila», ci spiega Aki Kankkunen, 44 anni, comandante della guardia di frontiera, che fa questo lavoro a Imatra da quando aveva 20 anni. E chi sono i russi che ancora possono attraversare il confine ed entrare in Finlandia? «I visti turistici non si rilasciano praticamente più. Gli unici che possono passare sono quelli con il permesso perché magari hanno famiglia o delle proprietà da noi». Tra loro ci saranno anche le temute spie? «Non posso parlarne», risponde, «ma ne abbiamo viste parecchie qui». E il famoso muro?Aki Kankkunen allunga un braccio verso la Russia: «Sta nascendo laggiù. Vede quegli alberi? Il cantiere è lì. Ne hanno abbattuti molti nell’ultimo mese». L’ultimo muro d’Europa. Torna una cortina di ferro nel Vecchio Continente, anche stavolta per separarsi dai russi. All’inizio sarà di tre chilometri, ma diventeranno 200 entro il 2026. Per una frontiera in totale di 1.340 chilometri, la più lunga tra la Russia e un Paese dell’Ue. La barriera metallica, alta tre metri, sarà coperta con filo spinato e prevederà telecamere per la visione notturna, luci e altoparlanti. Perché gli attuali confini sono protetti perlopiù da strutture di legno, progettate per impedire il movimento del bestiame, mentre ora la minaccia ha subito un upgrading: non è più una questione di mucche.
Dimitri, un russo con il permesso
Imatra è una cittadina di 26mila abitanti ed è sempre stata un simbolo dei buonissimi rapporti tra i due Paesi. È geograficamente molto più vicina a San Pietroburgo, dove è nato Vladimir Putin, che a Helsinki, e in lontananza si vede alzarsi il fumo delle fabbriche di Svetogorosk, la città gemella di Imatra, che gemella non è più.
Un’automobile si ferma. Due signori panciuti scendono, fanno tutto il giro per mostrare i documenti e tornano verso la vettura. Chiediamo loro se siano russi, ma sono finlandesi. Pochi minuti dopo frena una famigliola di tre persone. «Siamo di Svetogorsk e abbiamo il permesso perché nostra figlia, sposata con un finlandese, vive a Lahti, andiamo a trovarla. Lì c’è anche il nostro nipotino», racconta Dimitri Mikhailov, 52 anni. E del muro di Imatra dice: «È tutta politica».
L’inno ucraino alle cascate
Imatra, oltre che per l’annuncio della barriera, ha fatto parlare di sé anche perché presso quella che è la sua principale attrazione – la diga con le cascate, frequentatissime dai russi sin da quando nel 1772 le visitò l’imperatrice Caterina la Grande – le autorità hanno cominciato a far suonare l’inno ucraino. Qualche turista d’oltreconfine si è dispiaciuto, percependola come una provocazione verso un popolo che non è responsabile delle decisioni dell’inquilino del Cremlino, ed è infatti vero che non bisogna fare di tutti i russi un fascio.
Quella decisione l’ha presa il sindaco di Imatra, Matias Hilden. Ci accoglie nel suo ufficio, inondato di luce, con alle pareti alcune grandi mappe su cui più di una volta gli piacerà indicarci qualcosa. Qui in Finlandia la carica di sindaco si affida a dei funzionari pubblici, non eletti e non politici. A Imatra si sono rivolti a lui, che ha 36 anni, viene dal centro del Paese e insomma è stato un po’ catapultato, esattamente un anno fa, in questa delicata terra di confine.
«L’inno ucraino? Le cascate sono aperte e funzionanti solo d’estate, quindi in questo periodo non si suona. Ma non è una decisione controversa, non c’è nulla di sbagliato. È una dimostrazione di solidarietà verso un popolo che soffre per un’invasione crudele», ci dice. Le relazioni con i russi sono state alla base dell’economia locale fino allo scoppio della guerra in Ucraina: «I turisti venivano per le nostre spa, per i negozi, i supermercati, le cascate. E l’import-export era cruciale. Oggi invece non possono più entrare, da quando a settembre abbiamo chiuso il confine (ultimo Paese dell’Ue,ndr )non si rilasciano più visti. E tante nostre piccole aziende hanno smesso di fare affari con loro. Le faccio l’esempio della centrale energetica, che era alimentata da legname russo e ora ha dovuto rapidamente trovare un’alternativa».
I russi rimasti qui sono un migliaio. Perlopiù sono persone sposate con finlandesi, hanno dei permessi speciali di lavoro o possiedono dei piccoli cottage, delle dacie. Non c’è mai stato da sospettare, di queste dacie? «Sì, so di proprietà comprate grazie al finanziamento del governo di Mosca». E con quali scopi? «Magari in vista di un’eventuale invasione. O per organizzare operazioni di propaganda». Suona un po’ paranoico, ma c’è un episodio in particolare, verificatosi l’anno scorso, che ha fatto lanciare l’allarme.
A ottobre tre cittadini russi entrarono proprio da qui, da Imatra, e firmarono tutte le scartoffie necessarie per comprare una fatiscente ex casa di riposo fuori dalla cittadina di Kankaanpää, nel Sud-Ovest della Finlandia. Diedero tutti e tre come proprio contatto – primo elemento sospetto – la stessa mail e lo stesso appartamento alla periferia di San Pietroburgo. C’era poi un altro piccolo problema: l’ex casa di riposo è adiacente a un centro di addestramento dell’esercito, assegnato alla difesa nazionale e alle operazioni all’estero, in cui pochi mesi prima si era tenuta l’esercitazione congiunta con la Nato, Arrow 2. Tanto è bastato al Ministero della Difesa per bloccare l’acquisto, citando per la prima volta ragioni di sicurezza nazionale. Per motivi simili, a maggio 2022, la Finlandia aveva rinunciato alla costruzione di una centrale nucleare insieme alla compagnia statale russa Rosatom.
A che cosa serve il muro
La tensione sul confine si nutre anche di storie come queste. E di qualche conflitto all’interno della comunità locale. «All’inizio dell’invasione qualcuno ha dipinto sui muri la lettera Z, simbolo della propaganda di Putin, ma dopo l’estate non è successo più nulla. I putiniani sono una minoranza minuscola in Finlandia», dice il sindaco. Ma a cosa servirà esattamente il muro di Imatra? «A proteggere da infiltrazioni di spie e soprattutto dal possibile uso di ondate di migranti, la guerra ibrida che Mosca usò contro di noi, al Nord, diversi anni fa, ma con cui ad esempio la Bielorussia ha messo di recente pressione sulla Polonia. Il muro ci aiuterà a prepararci alle minacce future». E veramente si ha paura di un’invasione di Putin? «Qui la paura non sappiamo cosa sia. Abbiamo una nazione unita e un ottimo esercito. Ora che siamo entrati nella Nato avremo ancora meno ragioni per temere la Russia. L’ingresso nell’Alleanza magari non cambia nulla nell’immediato, ma cambia il futuro. Dopo l’invasione dell’Ucraina sappiamo di cosa è capace Putin, anche se la nostra minoranza russofona non è grande come quella del Donbass».
La Finlandia, Paese pacifico e storicamente neutrale, vantava già un esercito di tutto rispetto: 280mila soldati attivi, 900mila riservisti, una spesa per la Difesa del 2% del Pil. Il 4 aprile è entrata però ufficialmente nella Nato, in tutta fretta, proprio per lo shock dell’invasione dell’Ucraina da parte del suo potente vicino. Nel 2017 solo il 21% della popolazione era a favore, mentre a novembre scorso la percentuale era già salita al 78. E in parlamento solo 7 deputati su 200 hanno votato contro. Qui ha avuto anche un gran successo la birra Nato (“Otan”, alla francese), lanciata l’anno scorso, e nel nostro viaggio abbiamo incontrato tante scritte “Fuck Putin” su adesivi e cover di cellulari. Ha avuto buon gioco il presidente americano Joe Biden, da cui Helsinki ha da poco comprato 64 F-35, a commentare sarcastico: «Putin cercava la finlandizzazione dell’Europa e avrà la Natoizzazione dell’Europa».
La Storia non va sottovalutata, soprattutto quando si ha di fronte un dittatore che usa il lontano passato, manipolato con libere interpretazioni e bufale vere e proprie, per rivendicare il possesso di terre straniere e bombardarle, come è successo in Ucraina. «Per più di cento anni, fino al 1917, la Finlandia ha fatto parte dell’impero russo, e c’è chi pensa ancora che dovrebbe tornare sotto il dominio del Cremlino, almeno per una parte», dice il sindaco Hilden. Anche in questo caso può sembrare un’affermazione esagerata, e forse lo è. Ma proprio la settimana scorsa, al talk show “60 minuti” della tv pubblica
Rossija 1,
alcuni opinionisti hanno commentato l’ingresso della Finlandia nella Nato sostenendo che il Paese andrebbe «liberato». La conduttrice Olga Skabeyeva, ormai un volto noto anche da noi e voce del putinismo, ha sostenuto che la Finlandia è una «nostra terra storica: dobbiamo liberare i nostri fratelli».
Smargiassate, certo, ma non va dimenticato che la Finlandia perse il 10 per cento del suo territorio dopo l’invasione dell’Urss nella Seconda guerra mondiale: «Vede lì? Vyborg», dice Hilden alzandosi e puntando il dito in territorio russo, oltre il confine, sulla mappa: «Era la seconda città più grande della Finlandia, e se la sono presa nel 1944».
Le guerre contro l’Urss e la finlandizzazione
L’invasione dell’Ucraina ha toccato profondamente i finlandesi proprio perché ha ricordato loro le due guerre combattute contro l’Urss nel secondo conflitto mondiale. Anche in quel caso un esercito imperiale aggrediva, d’inverno e senza accurata preparazione, i confini di un piccolo Paese vicino. La prima volta avvenne tra il novembre 1939 e il marzo del 1940. Nella cosiddetta “Guerra d’inverno” l’Armata di Stalin attaccò: secondo un protocollo segreto del patto Ribbentrop-Molotov firmato con la Germania nazista, la Finlandia era infatti uno di quei Paesi che sarebbero dovuti finire nella sfera d’influenza sovietica.
Mosca però incontrò l’eroica e inattesa resistenza dell’esercito nemico, che sapeva muoversi con abilità nelle proprie terre, proprio come succede oggi in Ucraina. Ne nacquero figure mitiche, come quella del cecchino Simo Häyhä che avrebbe ucciso 505 soldati sovietici, frasi leggendarie come “Un soldato finlandese vale come dieci soldati russi”, e il libro e il film nazionali più amati qui, “The Unknown soldier”.
In soccorso di Helsinki non arrivarono però alleati, la capitale venne bombardata e la Guerra d’inverno terminò con la firma di un accordo di pace, il trattato di Mosca, che significò appunto la cessione all’Urss del 10% del proprio territorio, tra cui tanta parte della Carelia (la regione che oggi confina con la Carelia meridionale, quella di Imatra), oltre ad alcune isole e una porzione della penisola di Rybacij, nell’estremo Nord. Più di 400mila finlandesi, il 12 per cento dell’intera popolazione, dovettero lasciare le terre conquistate dall’Urss.
Poi Helsinki si alleò con la Germania nazista – c’è anche un video di Hitler che visita l’aeroporto di Imatra il 4 giugno 1942 – ma in modo anomalo: governo autonomo, democrazia parlamentare, niente persecuzioni (consegnò però a Berlino otto rifugiati ebrei tedeschi). Dopo l’armistizio di Mosca, il 19 settembre 1944, il Paese rimase una democrazia indipendente, ma stavolta sotto l’occhio vigile del vicino sovietico. Quelle tragedie spinsero infatti i leader di Helsinki, nel dopoguerra delle due Europe divise, verso la cosiddetta finlandizzazione, ovvero l’atteggiamento neutrale e di collaborazione economica di Helsinki verso l’Urss (uno scenario che qualcuno aveva suggerito anche all’Ucraina di Zelensky). Il nome più legato al periodo storico è quello di Uhro Kekkonen, politico centrista, presidente addirittura dal 1956 al 1982. «La Finlandia è cambiata molto negli ultimi 30 anni. Dopo la caduta del Muro è entrata presto nell’Ue, nel 1995, ed è l’unico Paese scandinavo ad aver aderito all’euro, da subito. Oggi poi economicamente siamo molto legati alla Svezia e alla Germania. Ma questo non deve farci dimenticare quale mondo fosse quello della finlandizzazione – ricorda il sindaco di Imatra – Era il tempo della Cortina di ferro, e noi avevamo questo vicino potentissimo contro cui avevamo combattuto in modo sanguinoso durante la Seconda guerra mondiale. Un gigante che reprimeva le rivolte in Ungheria e Repubblica Ceca. Oggi è facile per qualcuno dire che la finlandizzazione era una cosa brutta e cattiva, ma va contestualizzata».
Tra i russi di Lappeenranta
Forse ancora più di Imatra, la città simbolo dei rapporti tra i due Paesi è Lappeenranta. Ha 70mila abitanti ed è la località più russofona della Finlandia. È qui che è ambientata la serie tv
Bordertown.
Ed è qui che le conseguenze della crisi ucraina si sentono di più.
«L’invasione ci ha storditi, siamo solo a 25 chilometri dal confine. E la barriera mi sembra un’idea ragionevole – ci spiega il sindaco, Kimmo Jarva, 54 anni – Abbiamo reagito mostrando la nostra solidarietà in tanti modi, anche esponendo la bandiera ucraina davanti al municipio. Prima del Covid, 1,8 milioni di turisti russi visitavano la nostra città ogni anno. Per fortuna abbiamo ormai diversificato la nostra economia: la manifattura è la principale attività, il polo dell’industria forestale del Sud-Est finlandese è il più grande d’Europa e il secondo del mondo. Per il turismo puntiamo ormai sull’Europa, abbiamo anche voli diretti dall’Italia al Lago Saimaa».
A farci da Cicerone a Lappeenranta è Tanja Karppinen, età «sulla quarantina», che lavora all’Università Lut. Ci incontriamo alla stazione e ci sediamo su una panchina baciata dal sole. Nata da genitori finlandesi, Karppinen ha vissuto sempre a Lappeenranta, dove ha imparato il russo ed è ora presidente dell’Associazione finlandese-russa locale. Con questo ruolo nell’ultimo anno si è ritrovata spesso a essere la voce dei russi locali, una comunità più volte oggetto di episodi di razzismo. «Solo una parte minuscola ascolta e crede alla propaganda di Putin. Il resto sono cittadini come gli altri, che non c’entrano niente con la guerra. Eppure c’è chi viene apostrofato in malo modo senza motivo – racconta – Come è successo a un mio amico che stava parlando russo al supermercato e solo per questo si è sentito urlare “Tornatene a casa tua”. “Ma casa mia”, ha risposto, “è Huhtiniemi!”, che è una zona di Lappeenranta». I russi sono poco più di 3mila. Molti sono immigrati al tempo della caduta dell’Urss, altri si sono trasferiti più di recente, per aver sposato dei finlandesi o aver trovato lavoro. La guerra in Ucraina ha lacerato alcune famiglie, mettendo spesso i figli contro i padri: «Sono situazioni vissute perlopiù tra le mura di casa, ma sono molto tristi. In una famiglia a me molto vicina la figlia e la madre, contrarie all’invasione, sono in lite con il padre, il quale parla solo russo e ascolta soltanto la propaganda di Putin, che arriva attraverso internet e anche in automobile dalle radio di oltreconfine. Quelli che invece sono contro l’invasione sono cauti, perché se hanno parenti in Russia o nelle zone occupate dell’Ucraina hanno paura che possa succedere loro qualcosa, se qui in Finlandia si espongono troppo contro Putin».
Infinitamente di più, rispetto ai residenti russi, erano fino a poco tempo fa i turisti, che venivano in cerca di prodotti di migliore qualità: «Erano dappertutto, tutti i giorni vedevamo arrivare dozzine di bus con le scritte in cirillico», dice Tanja. E infatti al centro commerciale Prisma, tanto per fare un esempio, tutte le indicazioni nei corridoi del supermercato sono ancora anche in russo. C’è stato un periodo, intorno al 2012-2014, in cui era diffuso persino un blog che prendeva in giro l’abitudine dei russi di parcheggiare male le loro auto in città (http://njetparkering.blogspot.com), che ora si apre invece con la bandiera gialla-blu e la scritta “Slava Ukraini”.
«Ma il traffico era bidirezionale – continua Tanja Karppinen – Tanti finlandesi andavano in Russia per comprare benzina e alcol meno cari, oppure per mangiare bene o divertirsi in discoteca o a teatro. Sai, Lappeenranta non è proprio vivace come San Pietroburgo. Ricordo quando da piccola andavamo in vacanza in Urss, il confine era quasi sempre chiuso. Siamo tornati a quei tempi. Qualcuno di noi oggi potrebbe ottenere il visto, ma è rischioso andare senza assicurazione sanitaria o solo con i contanti, il governo lo sconsiglia. E poi, per solidarietà con il popolo ucraino, non vogliamo in nessun modo che i nostri soldi finiscano nelle casse russe».
E pensare che tanti fino a ieri, come la stessa Tanja, andavano a San Pietroburgo a lavorare e divertirsi. Le chiediamo infine quale sia, secondo lei, il posto più significativo per capire la rivoluzione dei rapporti tra i due Paesi. «Vai allo Zsar», risponde.
Lo Zsar è morto
«Troverai ancora qualche negozio aperto», ci avevano predetto. Ma quando dopo un’ora di automobile arriviamo allo Zsar Outlet Village ci accoglie solo una distesa di neve immacolata, che quasi dispiace affondarci dentro gli scarponi.
Il grande centro commerciale, a pochi chilometri dal checkpoint Torfyanovka, era stato aperto nel 2018 nel Sud-Est della Finlandia per attrarre turisti russi. Costato 17 milioni di euro, nel 2019 già contava mezzo milione di visitatori. Prima il Covid e poi soprattutto la chiusura della frontiera ne hanno però decretato a ottobre il fallimento per bancarotta. I cancelli sono
La barriera dovrebbe raggiungere i 200 chilometri di lunghezza nel 2026.
Il sindaco di Imatra: “Ci proteggerà da minacce come l’uso dei migranti per destabilizzarci.
Ma qui la paura non sappiamo cosa sia.
Abbiamo anche un ottimo esercito”
chiusi e il parcheggio è inondato dalla neve. Lo Zsar ha cessato di esistere.Ma non è l’unico luogo che, con la sua clamorosa desolazione, è la fotografia dei nuovi rapporti tra Finlandia e Russia. C’è la triste stazione degli Allegro, per esempio. Gli Allegro erano treni ad alta velocità che collegavano Helsinki a San Pietroburgo in 3 ore e mezza (prima ce ne volevano due in più). Tra l’altro erano dei pendolini made in Italy, perché la Alstom li aveva fatti costruire a Savigliano, in provincia di Cuneo. E per inaugurarli, il 12 dicembre 2010, erano saliti in carrozza lo stesso Putin e l’allora presidente finlandese Tarja Halonen. Fino al marzo del 2022, oltre 4 milioni di passeggeri hanno usufruito del servizio. Poi, la guerra. E tutto è finito. Così una delle stazioni della tratta, nel villaggio di Vainikkala, vicino Lappeenranta, ha proprio chiuso i battenti: un tempo, grazie ai quattro Allegro giornalieri, ospitava un ristorante e una caffetteria, ora è un’altra piccola cattedrale nel deserto finlandese.Anche alla luce di quanto abbiamo detto sulla Guerra d’inverno, la figura di Lenin, qui, è sempre stata invece associata a una memoria diversa rispetto a quella del carnefice Stalin. In qualche modo anche in una luce favorevole, visto che la sua Rivoluzione d’Ottobre portò all’indipendenza della Finlandia dalla Russia, riconosciuta da Lenin stesso nel dicembre del 1917.Nell’ottobre scorso ha quindi fatto un po’ di clamore la decisione di Kotka, città del Sud-Est, a 40 minuti di auto dallo Zsar, di rimuovere un grande busto di Lenin da un parco pubblico, a pochi passi dalla casa di legno in cui si pensa che il fondatore del partito bolscevico abbia soggiornato. È stato sollevato da una gru e poi adagiato su un camion, tra le proteste di un uomo che aveva in mano una bandiera sovietica, e la soddisfazione di un anziano anti-comunista. Il busto era stato offerto a Kotka nel 1979 dal Comune estone di Tallinn, allora nell’Urss. Vandalizzato in più occasioni, era l’ultima statua di Lenin in Finlandia. Ad aprile era toccata la stessa sorte a un busto a Turku, mentre ad agosto Helsinki aveva rimosso un monumento donato da Mosca nel 1990. La “cancel culture” si è abbattuta su Lenin così tante volte che è stato trovato persino un nome per l’abbattimento delle sue statue, “Leninopad”.Ma la pacifica Finlandia fino a pochi mesi fa non aveva osato tanto.Per conoscere meglio l’importanza di Lenin nella storia del Paese bisogna però risalire in treno e andare più a Nord-Ovest, in quella che è l’ultima tappa del nostro viaggio. Tampere, storica città operaia, la Manchester finlandese.Goodbye Lenin“Benvenuti nel luogo di nascita dell’Unione Sovietica!”. Lo slogan è accattivante e si spiega nel modo che segue. Nel dicembre del 1905 ebbe luogo a Tampere un cruciale congresso del Partito operaio socialdemocratico russo, il futuro Pcus. Si svolse proprio qui, nelle stanze in cui ci aggiriamo, e passò alla storia perché fu l’occasione in cui si incontrarono per la prima volta nella loro vita il compagno Lenin e il compagno Stalin. Fu una riunione segreta, un incontro non ufficiale della fazione bolscevica, e Stalin all’inizio rimase deluso, perché Lenin era basso e non si era fatto aspettare, era arrivato in orario. In quella che allora era la Sala dei lavoratori, la Casa del popolo, dal gennaio del 1946 c’è un museo, il Museo Lenin. Per i turisti sovietici era una tappa obbligata, ma anche per i capi di Stato e i Vip, da Nikita Khrushchev a Leonid Brezhnev a Yuri Gagarin, e negli anni Settanta arrivò ad accogliere 20mila visitatori l’anno. Dopo il crollo dell’Urss, i musei dedicati a Lenin cominciarono a chiudere ovunque, e oggi questo è l’unico rimasto in Occidente.Lo spazio è piccolo, ma pieno di suggestioni. Oggetti d’epoca, una immancabile ricostruzione di un salotto sovietico in stile “Goodbye,Lenin!”,statue di cera di Lenin (in sidecar) e Stalin con cui bombardarsi di selfie. In un angolo si possono ascoltare delle barzellette di epoca sovietica. E ce ne sono alcune anche su Putin.Il futuroLe storie di Finlandia e Russia sono insomma piene di incroci. Sono state finora in qualche modo un’unica storia. E orra un muro, simbolico e fisico, ha cominciato a dividerle.«Prima dell’invasione sono andato qualche volta a San Pietroburgo», dice Matias Hilden, il sindaco di Imatra, ma dal tono non sembra tenere particolarmente a tornarci. «Cosa spero per il futuro? Anzitutto la pace in Ucraina e in Europa. Per quanto riguarda il Cremlino, da Lenin a Putin hanno sempre ammazzato tante persone, quindi è difficile avere speranze, non so cosa aspettarmi».Il suo omologo di Lappeenranta, Kimmo Jarva, ricorda che era solito visitare una volta al mese Vyborg e San Pietroburgo, dove aveva ottime reti: «La cultura russa è molto versatile, ma io sono sempre stato un amante dello sport, per cui mi mancano più le partite di hockey su ghiaccio che i balletti. Mi piaceva andare allo stadio a San Pietroburgo per la Kontinental Hockey League. Spero che la Russia se ne vada dall’Ucraina e cominci a costruire una democrazia a casa propria. Possiamo solo sperare».Alla stazione di Lappeenranta Tanja Karppinen apre una app e chiama un taxi. Cosa ne sarà di questo nuovo muro?, le chiediamo. «Non gli auguro fortuna. Penso che sia soprattutto un progetto simbolico e politico. Abbiamo già delle brave guardie di frontiera… – risponde – Per il futuro la mia speranza è che la guerra finisca, Putin se ne vada e possiamo tutti beneficiare di un nuovo inizio».Tanja ha lavorato a San Pietroburgo e l’ha molta amata: «Mi manca. Sento spesso i miei amici russi che vivono lì. Seguono i media occidentali e sanno cosa sta succedendo in Ucraina. Noi non siamo contro di loro, siamo contro Putin e la sua guerra. La mia impressione è che il dissenso in Russia sia più vasto di quanto si creda. Cosa farò quando un giorno verrà la pace e potrò tornare a San Pietroburgo? Andrò nel mio ex ufficio, nella bellissima Finland House. E poi mi mangerò unhachapuriin un ristorante georgiano che lo fa buonissimo».Il sogno di una Las Vegas, intanto, può aspettare. Ma questo, lungo il confine tra Finlandia e Russia, è oggi l’ultimo dei problemi.