la Repubblica, 9 aprile 2023
I traumi dei soldati ucraini
Se non ci fosse una guerra da combattere, la metà dei soldati ucraini sarebbe in terapia psichiatrica. Al primo sguardo diresti che stanno bene: camminano sulle proprie gambe, il corpo è intatto, hanno ancora la risposta patriottica pronta. Ma dentro no, dentro sono rotti. «Esco di casa e non mi ricordo perché sono uscito», «non dormo da un mese», «il mio occhio destro litiga con il sinistro». Dicono cose così. Dopo quattrocentodieci giorni al fronte la mano è salda sul fucile come all’inizio, però la mente vacilla: insonnia, allucinazioni, tremori, depressione, scatti di rabbia, amnesie, stato confusionale, sensi di colpa per essere sopravvissuti. I danni fisici si fa presto a valutarli, si vedono, sono sulla pelle. I danni della psiche, però? Come si calcolano?
Questa è una storia taciuta. I comandi non ne parlano, né quelli di Kiev né tantomeno quelli di Mosca. Nessuno ha voglia di far sapere che i propri eserciti, alla fine, sono fatti di esseri umani, afflitti da stress da trincea, tormentati dall’idea che anche oggi potrebbe essere l’ultimo giorno, sfiniti dall’unico obiettivo che è stato dato loro: uccidere il nemico. Uccidere, uccidere, uccidere. Le statistiche sui disturbi sofferti sotto le armi non vengono divulgati, dunque bisogna andare per deduzione, constatare che le cliniche specializzate in riabilitazione psichica sono piene, parlare coi pazienti di quei reparti, consultare gli psicologi militari al seguito dei battaglioni.
«Il 5 per cento delle truppe dovrebbe essere congedato immediatamente perché ormai è pericoloso per sé e per i commilitoni», tagliano corto loro. «Il 40 per cento soffre di varie forme di sindrome post-traumatica da stress e andrebbe sottoposto a cure e lunghi periodi di riposo». Sono professionisti sanitari, hanno studiato, ma indossano pur sempre la divisa e sanno come essere realisti. «Mica li possiamo ricoverare tutti in ospedale, no? Poi chi li ferma i russi? Il nostro compito è incerottargli i pensieri quel tanto che basta per rimandarli al fronte». Tutto l’armamentario della psichiatria è ammesso o tollerato: vanno bene le sedute classiche e la cromoterapia, al limite vanno bene anche le pasticche di ketamina e i funghi allucinogeni. Con la psichedelia sidimentica più in fretta l’orrore, pare. Curare i traumi della mente a traumi ancora in corso non è una soluzione da manuale, ma aspettare la fine della guerra non è un’opzione praticabile. Le forze scarseggiano, le riserve sono poche, le unità che hanno perso il 40 per cento dei combattenti non abbandonano più il fronte, come invece potevano fare fino a poco tempo fa.
Oltre la motivazione che anima gli ucraini e che la propaganda gonfia, scavalcate tutte le tattiche dove i fanti sono numeri da muovere su una mappa, c’è il maggiore Stanislav che sogna l’odore della morte. «Lo sento davvero, mentre dormo, non pensavo fosse possibile. Che poi dormire… il mio non è più neanche sonno, è perdita di sensi. Breve, purtroppo». A marzo di un anno fa il maggiore era a Brovary e un proiettile di cannone gli ha causato una commozione cerebrale e spaccato le membrane dei timpani. Le esplosioni dell’artiglieria generano uno sbalzo di pressione atmosferica cheprovoca traumi al cervello anche quando dal bombardamento si esce senza un graffio. Stanislav è vicecomandante di un battaglione di 600 uomini, dopo l’incidente ha continuato a combattere fino alla mattina in cui si è bloccato. Letteralmente. «All’improvviso ero incapace di scegliere se lavarmi prima il viso o i denti». Sospeso nell’indecisione, è stato spedito d’urgenza in una clinica di Kiev con una lista di sintomi lunga tre pagine: agorafobia, tremore alle mani, pressione del sangue a duecento, perdita di memoria, stati di confusione. «Esco per fare la spesa e quando sono in macchina non mi ricordo perché sono in macchina», per dire quanta confusione. Stanislav ha 49 anni.
«Insomma, sogno che sono in un campo di sterpaglie e davanti a me c’è un mio compagno di battaglione. So che sta per accadere qualcosa di brutto e gli grido di buttarsi a terra, ma lui mi guarda e non capisce. Una bomba lo fa saltare a pezzi davanti ai miei occhi, ibrandelli del suo corpo mi investono e mi bagnano la faccia, ed è lì che sento quell’odore, come di sangue bruciato. Mi sveglio strillando, sudato. Mia moglie è accanto a me che piange terrorizzata perché questa cosa va avanti da sei mesi e non sappiamo come uscirne».
Il centro di riabilitazione psichiatrica Forest Glade, nella periferia di Kiev, ha 220 letti e sono tutti pieni. La Pavlinka, altra clinica nella capitale, aggiunge posti letto mese dopo mese: quaranta in più a giugno, sessanta in più a settembre. La stima che fanno gli psicologi militari, basata su dati empirici e l’esperienza diretta, è sorprendente: «Solo il 10 per cento dell’esercito, in questo momento, è perfettamente idoneo al combattimento. La percentuale sale al 25 per cento grazie alla forte motivazione che hanno nel difendere la nostra terra e le nostre famiglie». In effetti, davanti alla macchina del dottor Oleksiy Skyrtach c’è sempre la fila.
Ora, bisogna immaginarsi questa scena che si ripete ovunque questo psicologo militare 48 enne appaia lungo la linea del fronte. È stato a Lysychansk, a Kherson e da poco è tornato da Bakhmut. Una colonna di uomini in divisa, venti-trenta per volta, aspetta fuori dalla Toyota di Skyrtach. Ognuno custodisce segreti che rivela solo al “dottore della testa”. Esce uno, entra l’altro. «La mia automobile è il mio studio», racconta Skyrtach a Repubblica. «I disturbi da stress sono frequentissimi ma un 20-30 per cento di chi viene da me in realtà cerca una scusa per tornarsene a casa. Me ne accorgo perché elencano i sintomi esattamente nell’ordine in cui sono scritti su Wikipedia». Uno dei primi casi di cui si è dovuto occupare è un maestro di scuola arruolatosi volontario, 27 anni, che d’un tratto si è messo a correre contro le postazioni nemiche sparando alle ombre. «Gli ho dato dei tranquillanti, l’ho rimesso in piedi ed è tornato in sé». Skyrtach è uno dei pochi specialisti in Ucraina a somministrare farmaci psichedelici. «Attualmente sto trattando due soldati con ibogaina, cinque coi funghi che contengono psilocibina e uno con ketamina. I risultati sono buoni, ma solo una parte molto ridotta dei miei pazienti è adatta perquesto tipo di trattamento».
Maidan lo è. È un ragazzo di neanche trent’anni, che Skyrtach ha in cura da sei mesi. Maidan è il suo nome di battaglia. Prima di perdere la testa ha combattuto a Kherson e nel Donbass. Parla a malapenama scrive poesie, e per dimostrare che è ancora lui, mentreè a tavola si alza in piedi e ne recita una a voce alta. «Sangue rosso e nero, la casacca bianca, pittura blu e gialla, gloria all’Ucraina. I colori sono cannone, i colori sono chiari. Qualcuno cadrà nella verde foresta oggi, qualcuno dirà che non è possibile la libertà. Coloro che pensano questo non hannoun destino, non hanno un futuro…». La dice tutta d’un fiato, la ricorda parola per parola. Ma anche Maidan, pur spavaldo, è rotto dentro. E quando gli si chiede l’età, lo sguardo si perde in un punto inesistente sul muro. «Ho 28 anni, forse. Credo 28 anni. Forse 26…».