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 2023  aprile 09 Domenica calendario

Dodicimila battute su Roma

Dodicimila battute per Roma caput mundi, Roma città eterna, Roma caput fidei. Roma città in cui è nato il diritto che poi si è esteso a tutto il Continente, poi a tutto l’Occidente (bizzarro, vero?). Roma città con il maggior numero di siti archeologici al mondo dove, non a caso, in un panorama di istituzioni universitarie non sempre esaltante, la Sapienza si guadagna da anni il primato di migliore università del mondo per gli studi classici. Roma in cui esiste una monarchia assoluta (l’unica d’Europa, la più antica del mondo) nel territorio di una repubblica. Lo Stato del Vaticano si estende – si fa per dire – su meno di mezzo chilometro quadrato e ha meno di mille cittadini. Il sovrano assoluto ha però un miliardo e 400 milioni di sudditi in tutto il mondo. Roma regina aquarum, regina delle acque, per i suoi incredibili acquedotti e soprattutto per le sue incredibili terme. «Nel III secolo Roma aveva undici thermae imperiali (grandi complessi termali pubblici) fra cui scegliere, e circa novecento balneae (bagni più piccoli, spesso privati). Le più imponenti di tutte erano le terme costruite nel 212-216 d.C. da Caracalla, l’imperatore psicopatico e fratricida. La loro struttura era ricoperta da seimilatrecento metri cubi di marmo, per un peso di diciassettemila tonnellate. Il complesso sorgeva in mezzo a un parco pubblico: al centro della struttura c’era un’enorme cupola, grande quasi quanto quella del Pantheon» (Ben Wilson, Metropolis. Storia della città, la più grande invenzione della specie umana ).
Roma, la più grande città del mondo. Lo so, subito qualcuno obietterà che non è vero, che in giro per il mondo ci sono molte megalopoli, assai più grandi di Roma. E in effetti l’affermazione richiede di essere spiegata. Roma è la più grande città del mondo se la pensiamo non a dimensione tre (quella del nostro spazio abituale) ma a dimensione quattro, quella che include il tempo. Roma si estende sterminata in uno spazio-tempo misurato non in secoli ma in millenni.
***Esagerata, esageratissima. Come acciuffare il bandolo della matassa?
Qualche sera fa, in un ristorante, ho sentito un signore seduto a un tavolo vicino che diceva: «Roma è una trasparenza attraverso la quale si vede il cinema». Non ho capito bene cosa volesse dire, ma la frase aveva un suono poetico e l’ho annotata mentalmente. Mi è parsa quasi un suggerimento. Poche altre città al mondo – New York, Parigi, Los Angeles – sono così intimamente connesse all’immagine che ne hanno dato e che continuano a darne il cinema e la televisione. I camion delle produzioni sono una parte del paesaggio urbano, a Roma, e poche città al mondo producono in chi ci arriva (non essendoci mai stato prima) quell’effetto straniante e magico di incomprensibile familiarità.
Fare un elenco esaustivo di film girati a Roma sarebbe complicato e molto lungo. Ma una breve rassegna serve comunque a dare l’idea. Roma città aperta, Ladri di biciclette (4 anni dopo la sua uscita fu indicato da una celebre rivista cinematografica inglese come il miglior film di tutti i tempi),Vacanze romane, La dolce vita, Accattone, Il sorpasso, C’eravamo tanto amati, Caro diario, La grande bellezza fino ai kolossal commerciali come Angeli e demoni eMission Impossible tanto per citarne solo un paio. A Roma è stato girato anche il peggiore film di Woody Allen: To Rome with Love. E anche questo, in fondo, è un primato.
Una quindicina di anni fa un anziano tassista cinefilo mi fece fare un giro per i suoi luoghi del cinema di Roma. La conversazione – in realtà fu praticamente un monologo carico di nostalgia – l’ho riportata in un romanzo e adesso non so più, come capita in questi casi, cosa mi abbia detto davvero quel tassista e cosa sia il risultato della invenzionenarrativa.
«Si ricorda Gregory Peck e la Hepburn che fanno il giro in Vespa in Vacanze romane?
Una delle fotografie sui manifesti e le locandine è fatta proprio qua, mentre percorrono la via dei Fori Imperiali. Anche se allora c’era un po’ meno traffico, diciamo. Lui era già una star e la Hepburn invece era una giovane attrice semisconosciuta. Il nome di Gregory Peck doveva essere più grande nei titoli, era normale. Dopo aver visto come recitava la Hepburn, chiese che i loro due nomi fossero uguali. Disse che la Hepburn avrebbe vinto l’Oscar e lui non voleva fare la figura del cretino, stando davanti alla vincitrice del premio Oscar nei titoli del film. E infatti lei vinse l’Oscar e poi un sacco di altri premi. E sempre Gregory Peck disse che quei mesi passati a Roma furono i più felici di tutta la sua carriera. Comunque, qua a destra ci lasciamo il Campidoglio, dottore. Lassù hanno girato una scena di Souvenir d’Italie, quando ancora le auto ci potevano arrivare.
Adesso guardi dietro, lo vede il Vittoriano? La vede l’illusione ottica, che sembra diventi più grande? Come all’inizio di Nuovo Cinema Paradiso, che ha vinto l’Oscar, lo sa vero? Qui siamo a piazza del Popolo, qui hanno girato l’incontro fra Gassman e Manfredi, la famosa scena di C’eravamo tanto amati. A Fontana di Trevi non ci posso arrivare con il taxi ma lì ci hanno girato di tutto. La scena di Anita Ekberg che ci fa il bagno, naturalmente, ma anche quella di Audrey Hepburn che si fa tagliare i capelli da un parrucchiere sulla piazza e quella di Totò che vende la fontana a un turista americano. La scalinata, Trinità dei Monti, Satta Flores che ripete la scena della Corazzata Potëmkin...».
Caro diario di Nanni Moretti ha vinto la Palma d’oro per la migliore regia al Festival di Cannes. Il film si compone di tre episodi, il primo dei quali si intitola “In Vespa” e racconta di un lungo giro, appunto in Vespa, in una Roma estiva, semideserta e vagamente surreale. Il giro ha inizio dal Gianicolo per proseguire sul lungotevere Arnaldo da Brescia e su Viale Buozzi. Qui comincia il lungo monologo che durerà per tutto l’episodio. I cinema sono tutti chiusi e i pochi aperti proiettano film come Sesso amore e pastorizia, Desideri bestiali, Biancaneve e i sette negri.
Si passa alla Garbatella, quartiere conosciuto per essere la residenza dei Cesaroni di cui al noto sceneggiato televisivo. Dopo essere tornato sul lungotevere il protagonista arriva a viale Mazzini dialogando con sé stesso su Flashdance e sul sogno mai realizzato di imparare a ballare. Poi Spinaceto, quartiere remoto a sud del Grande Raccordo Anulare, di cui «si parla solo per parlarne male», poi Casal Palocco, noto essenzialmente per essere luogo di residenza di calciatori, fino a uno dei momenti topici dell’episodio su viale di porta Ardeatina, costeggiando le Mura Aureliane. Con uno scarto geniale compare d’un tratto Jennifer Beals, protagonista di Flashdance, che passeggia con il marito. Nanni Moretti li ferma e di lì parte un dialogo esilarante che consiglio di cercare su YouTube e guardarlo o riguardarlo: è davvero un gran pezzo di cinema.
L’episodio si avvia alla conclusione con un lungo, allucinato e poetico pellegrinaggio all’Idroscalo. «Non so perché, ma non ero mai stato nel posto in cui era stato ammazzato Pasolini» dice il protagonista sfogliando una pila di vecchi giornali dell’epoca. Uno squarcio, con bagliori sinistri, sul cuore di tenebra di Roma e dell’Italia.
Le note del pianoforte di Keith Jarrett accompagnano le riprese di uno scenario livido nonostante l’estate, in cui le sole macchie di colore sono date dai coperchi arancioni dei cassonetti. Tornano in mente le parole della bellissima canzone-poesia di Francesco De Gregori dedicata a Pier Paolo Pasolini: «e c’era Roma così vicina, e c’era Roma così lontana».
***A Roma, oltre che per i suoi film, Nanni Moretti è famoso per il suo cinema, inteso come sala cinematografica, a Trastevere. IlNuovo Sacher è un luogo fondamentale nella mappa di Roma dei cinefili con la sua sala e soprattutto con la sua arena, dove ogni estate si tiene la rassegna Bimbi belli, dedicata alle migliori opere d’esordio della stagione precedente. La zona è diventata un vero polo del cinema di qualità con la riapertura, a pochi passi dal Nuovo Sacher, del bellissimo cinema Troisi. C’è una sala di proiezione ideale, con la prima fila di poltrone adeguatamente lontana dallo schermo, c’è un bar allegro con biblioteca e tanti ragazzi. E c’è uno spazio di co-working aperto h24 per tutto l’anno. Che a Berlino, tanto per dire, non sarebbe strano ma a Roma lo è e per questo mette parecchia allegria. Anche perché, con tutto il rispetto, Roma è più bella di Berlino. E per dirla tutta: è più bella di ogni altra città del mondo.
Fra i cinema di un ipotetico itinerario turistico- cinefilo vanno menzionati il Farnese, ilNuovo Olimpia con i suoi film in lingua originale e soprattutto l’Azzurro Scipioni a Prati, quartiere d’elezione per quello che anni fa veniva chiamato (non sempre in modo benevolo) “ceto medio riflessivo”.
L’Azzurro Scipioni fu fondato da Silvano Agosti, personaggio certamente non convenzionale. Classe 1938, compagno di studi al Centro Sperimentale di Liliana Cavani e Marco Bellocchio, cineasta vincitore di un Nastro d’Argento, produttore, saggista e altro. Si racconta che abbia deciso di aprire questo cinema per due ragioni. La prima è che sognò Charlie Chaplin tristissimo davanti a un cinema chiuso e per consolarlo gli promise che lo avrebbe riaperto lui. La seconda è che nel 1982, dopo aver prodotto un film che aveva ricevuto ottime critiche (Il pianeta azzurro per la regia di Franco Piavoli) ma che nessuna sala in tutta Italia voleva programmare, decise di aprire un cinema espressamente destinato a quel film. Lo fece, Il pianeta azzurro fu proiettato per mesi e mesi, dando inizio a un modo diverso e poetico di gestire, di pensare un cinema. All’Azzurro Scipioni era un po’ come andare a vedere un film in un vecchio, romantico appartamento pieno di libri, manifesti, oggetti. C’era il pianoforte su cui aveva suonato anche Ennio Morricone, durante le proiezioni Agosti girava fra il pubblico con un vassoio di caramelle.
L’Azzurro Scipioni negli anni scorsi è stato chiuso e ha rischiato di sparire per sempre. Ora pare siano in corso lavori di ristrutturazione, grazie anche all’intervento di una banca. Tanto per non farci mancare un luogo comune: incrociamo le dita.
***L’ho fatta lunga. Per concludere vorrei suggerire un’escursione alla volta di uno dei miei luoghi preferiti di Roma. Si trova a Villa Borghese e ci si può arrivare (troppo) facilmente entrando da Porta Pinciana e camminando per non più di trecento metri. Io però raccomando un altro percorso, una specie di breve, arbitrario, allegro cammino iniziatico.
Ecco le istruzioni.
Da Piazza del Popolo salire fino a piazzale Napoleone; percorrerlo godendosi la sensazione dei ciottoli sotto la suola delle scarpe; soffermarsi ad ascoltare il tizio barbuto, vestito con pantaloni, camicia e Borsalino neri, e bretelle bianche – sarebbe piaciuto a Fellini – che canta ogni giorno canzoni come That’s ammore, L’italiano, O Sole mio, Con te partirò per chiudere ogni volta il suo show con l’inno di Mameli. I turisti lo amano. Con in testa ancora le note dell’inno di Mameli lasciarsi sulla destra la Casina Valadier, superare le giostre e il loro profumo nostalgico, superare il ponte sotto il quale scorre il traffico del Muro Torto. Qui, se si è fortunati, sarà possibile incrociare un gruppo di hipster che fanno jogging con pantaloni alla zuava, barbe perfettamente curate, senza una goccia di sudore.
Attraversare Piazzale dei Martiri, imboccare Viale delle Magnolie, poi Viale della Casina di Raffaello da dove girare a destra per giungere a un fabbricato di legno verde pastello, che pare una costruzione del New England.
È il Cinema dei Piccoli. Come recita una targa davanti all’ingresso: il più piccolo del mondo, secondo il Guinness dei primati; dove il pomeriggio proiettano film per bambini, la sera quelli per adulti.
Nel cuore di questa colossale città, estesa come nessun’altra nelle dimensioni del tempo e dello spazio c’è questo meraviglioso, minuscolo cinema come un passaggio segreto verso i territori della fantasia. Non è un caso, credo, che ci abbiano girato il film conversazione – Ridendo e scherzando, il titolo – fra Pif e il grande Ettore Scola.
Su una panchina lì vicino, scritta a matita chissà da chi, chissà perché, ormai quasi illeggibile, c’è una frase di Jean-Luc Godard: «C’è il visibile e l’invisibile. Se voi filmate solo il visibile, è un telefilm che state realizzando».