Robinson, 7 aprile 2023
Intervista a Giovanni Truppi
Due figure sul palco. Sullo sfondo si muovono ombre create con le mani, con oggetti e con il corpo e disegni proiettati su carta lucida. Ad un tratto al posto del cantante ci sono solo delle luci che ne ricreano la sagoma: a poco a poco il profilo sembra allungarsi per poi alzarsi da terra. A ottenere questo “effetto speciale” sono semplici torce elettriche che vengono utilizzate dalle tre artiste del gruppo Unterwasser: accompagnano Giovanni Truppi e il polistrumentista Marco Buccelli con il loro teatro d’ombra per le sette date di presentazione del suo nuovo album, aggiungendo poesia e magia a un lavoro intimo e coinvolgente. La data è sold out, il pubblico concentrato.
Del resto non sta guardando il solito concerto, di questi tempi spesso diventato quasi un rito meccanico.
Giovanni Truppi oggi forse può apparire spiazzante ma in realtà non fa altro che riaffermare qualcosa che ormai si vede raramente: opere che richiedono un’attenzione totalizzante. La gente in sala lo capisce: quello che si stabilisce non è il rapporto con una star costruita in laboratorio ma con una persona che, parlando di sé parla del mondo, di quello che accade a tutti noi e ci riflette sopra. Questo album richiede attenzione. Non potete ascoltareInfinite possibilità per esseri finiti
mentre guardate il cellulare.
Mettetelo via e trovate un’ora di tempo della vostra giornata per ascoltarlo. Ne vale la pena.
Come mai hai sentito l’esigenza di fare un disco così complesso, in un momento in cui la musica sembra andare sempre di più verso la semplificazione e l’appiattimento?
«Non si tratta di una decisione aprioristica ma di un processo lento: emergono delle cose dentro di me e inizio a buttarle giù. Quanto alla complessità c’è un tema di struttura del disco fatta di diversificazione di forme, di canzoni, di stili e di alternanza tra parlato e cantato.
Sapevo dall’inizio però di voler fare una cosa frammentata».
Frammentata nei modi ma coesa nei temi, tanto che è venuto fuori quello che un tempo si chiamava un “concept album”.
«Non è nato con quel tipo armatura però sentivo di aver bisogno di un nuovo vestito per il mio passaggio di età. Ho compiuto 40 anni da poco e ho cercato di mettere insieme una serie di considerazioni su quello che mi sta intorno».
L’apertura è il racconto dell’inizio di una tua giornata a Roma.
«Roma è fantastica: lo capisco di più oggi che vivo a Bologna».
Perché sei andato a Bologna?
«Per seguire la mia compagna che ha trovato lavoro lì. Mi sto abituando».
Come nella canzone di Sanremo, “Tuo padre, mia madre, Lucia” anche qui usi nomi veri: ancora quello di tua figlia Lucia e quello di tua moglie Chiara. Perché?
«Per mantenermi fedele all’idea di fare un disco realistico».
Quella canzone è molto bella, ha un testo inusuale a cui hanno lavorato sia Pacifico che Niccolò Contessa de I Cani. Anche in questo disco hai lavorato con Niccolò. Come è nato il vostro incontro?
«Sono andato io a cercarlo. È un artista che stimavo molto ma anche diverso da me e da Marco Buccelli con cui lavoro da sempre: con lui siamo usciti dalla nostra comfort zone e ho dovuto farmi forza perché temevo il suo giudizio».
Avete scritto i testi insieme?
«Doveva essere così ma alla fine molte parole sono mie: la vera co-scrittura è legata al continuo confronto che abbiamo avuto sugli argomenti che si trattavano. Io e Marco abbiamo molte cose in comune mentre con Niccolò no ed è stato da questo shock che sono venute fuori le cose più interessanti».
Come nasce il titolo, “Infinite possibilità per esseri finiti”?
«Era il titolo di un seminario tenuto da Marco Buccelli sulle infinite possibilità che dà oggi a noi musicisti la tecnologia. Mi sembrava molto metaforico di quello che è la vita: le nostre possibilità non sono infinite e ci sono persone che ne hanno molte meno di altre, ma comunque, quello che tutti noi facciamo è scegliere. In continuazione».
Questo lavoro ha anche una parte visiva molto interattiva che parte dalla copertina fino a un sito molto particolare dove la gente può partecipare a vari livelli.
«Tutto ciò che è immagine è stato realizzato da Aldo Giannotti che è un artista visivo. Ci siamo conosciuto al Mambo di Bologna e ci siamo trovati molto in sintonia: abbiamo condiviso l’idea di far fare la copertina del disco dal pubblico e così anche il pezzoLe persone e le cosedi cui forniamo la base per dare a chiunque la possibilità di fare il suo elenco».
Di cosa si tratta?
«È un elenco di cose di cui è piena la mia vita. Quando ho letto la lista mi sono reso conto che in molti casi si tratta di rapporti mediati dal denaro che sottraggono tempo alle parti della vita che invece dovrebbero essere più importanti».
Questo disco concettualmente mi ha riportato a “Storia di un impiegato” di De André: lì si trattava di un processo di maturazione di tipo politico, qui più esistenziale.
«Non posso che esserne onorato.
Diciamo che c’è un invito a non restare fuori dalla politica, a tornare a impegnarsi. Non si può più stare solamente a guardare».
Quando in “Infinite possibilità” dici “iscriviamoci tutti al Pd”: fai una forte provocazione: effetto Schlein?
«L’ho scritto prima ma in effetti è quello che sta succedendo, come mi hanno fatto notare alcuni amici quando hanno sentito la canzone».
Il disco è anche attraversato da un senso di colpa costante.
«Perché io lo provo. Verso chi sta peggio di me e per come trattiamo loro e l’ambiente e quindi abbiamo deciso che andava bene raccontarlo.
Ma l’ altro macrotema, come dicevo, è farne qualcosa di questo senso di colpa: bisogna diventare attivi».
C’è anche “La felicità”. Che non si trova, soprattutto oggi.
«Questo album è pieno di soundscapes, di riprese di quello che avviene fuori, intorno a me. In alcuni casi però anche di quello che stava succedendo dentro di me».
E “Infinite possibilità”?
«È la canzone più delicata del disco e ne prende parte del titolo perché per me è più facile fotografare le emozioni che un’ideologia, ma provo anche a ipotizzare dei modi in cui si possa stare meglio insieme».
Poi c’è il sesso di “Amarsi come i cani”: un testo inusuale.
«Mi intriga molto il parallelismo tra noi e gli animali e il fatto che certe cose possano essere belle ma anche perturbanti. Volevo raccontare le contraddizioni. Mi intrigano le persone che hanno una complessità mentre mi interessano molto meno quelle che non si pongono mai domande. Il mondo è complicato e non esistono risposte facili».