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 2023  aprile 07 Venerdì calendario

L’autobiografia di Viv Albertine

«Chi scrive un’autobiografia o è un cretino o è al verde. Io sono un po’ tutte e due le cose». Se in un libro cercate finzione, potete passare oltre. Perché Vestiti musica ragazzi di Viv Albertine, pubblicato da Blackie Edizioni, con la traduzione di Paola De Angelis, è cristallina, torbida verità, una verità che può essere contraddittoria e seducente, e può puzzare di muffa e di fumo stantio, di tamponi intrisi di sangue e del vapore di vecchie cucine.
«Sono cresciuta con John Lennon al mio fianco, come se fosse un fratello maggiore». Diviso idealmente in due parti come un disco in vinile, il “Lato Uno” racconta la giovinezza di Viv, chitarrista delle Slits, pioniera del punk rock, femminista per vocazione, ma soprattutto ragazza dal carisma indiscutibile. Una ragazza cresciuta nei quartieri popolari, in una Londra fatiscente, oppressa dalla crisi economica degli anni Settanta che sarà terreno fertile per la nascita della scena punk inglese.
Non aspettatevi una prosa sofisticata, metafore e virtuosismi: il linguaggio di Viv è essenziale, intimo, diretto. Quasi un diario, una raccolta di ritagli e di polaroid che a riguardarli fanno riemergere le emozioni sepolte. Ma anche un crudo quanto sublime spaccato del suo tempo.
«Cerco di provocare uno shock in tutti i campi della mia vita, soprattutto nei disegni e nei vestiti». È il ritratto quasi incidentale e per questo di spiazzante autenticità, di una generazione di ribelli, di disadattati e di reietti che dai rottami della macchina del consumismo ha tratto la linfa vitale per trovare la sua voce, che mentre gridava No future stava costruendo il futuro, non solo della musica. Una generazione in guerra con le convenzioni e persino con le istituzioni, ma non per questo priva di una componente opportunista e mercenaria.
A ogni riga di testo, la voce di Viv emerge cristallina. Il suo percorso è un tesoro di esperienze. Gli squat, le opportune offerte di eroina, l’amore intermittente con Mick Jones e l’amicizia con Sid Vicious, la chitarra elettrica comprata con i soldi ereditati dalla nonna svizzera senza saper suonare. «Pensavo di comprarci una vecchia motocicletta Norton, ma dopo aver visto i Sex Pistols decido di comprare una chitarra». Il potere salvifico della musica, la riflessione sulla celebrità e sugli effetti che ha sulle persone.
Intercalato da fotografie dell’epoca e da brevi commenti della voce fuori campo della Viv «contemporanea», racconta stati d’animo e opinioni esattamente come si sono formati, senza passarli attraverso la lente di ingrandimento della consapevolezza poi sopraggiunta.
«Il rock è un atteggiamento» proclamava Johnny Thunders. Per Viv ha la solennità di una sentenza. La carriera con le Slits, i concerti, lo studio di registrazione, le sessioni fotografiche, le discussioni su come comportarsi sul palco. «Le Slits cambiano manager molto spesso. Nessuno riesce a controllarci, del resto io non credo che sia quella la funzione di un manager. Quando le ragazze hanno un’opinione e il manager è un uomo, il sessismo alza prepotentemente la testa».
E poi la «nuova» vita, la maturità (anagrafica): “Lato Due”, più nostalgico, contemplativo: «Non ho nessun posto dove andare, niente da fare; sono stata scaraventata nel mondo come un seme di sicomoro trasportato dal vento». Viv cade, si rialza, cade di nuovo. Vive gli anni Ottanta, il bisogno d’amore, il lavoro per MTV e la BBC, il matrimonio e il calvario per diventare mamma. Gli anni Novanta, i Duemila, il cancro, il matrimonio che implode. Le telefonate con Vincent Gallo, la reunion con le Slits e poi la carriera da solista. Il divorzio, i funerali dei vecchi amici. La decisione di scrivere un libro di memorie.
«Adesso la maggior parte delle persone mi considera troppo schietta, pensano che se dici la verità sei maleducata. L’unico periodo in cui mi sono sentita compresa è stato durante il punk: l’unico breve lasso temporale in cui era accettabile dire ciò che si pensava».
Viv Albertine non bussa alla porta prima di entrare, non cammina in punta di piedi: irrompe nella stanza e te la trovi davanti prima ancora di esserti accorto che c’era, con le sue Doc Martins o gli stivali Vivienne Westwood, i vestiti irriverenti e l’espressione al tempo stesso candida e insolente. Ragazza ribelle e poi donna di carattere, anche quando si riempie di insicurezze e vuole farci credere il contrario, si spoglia, temeraria, riversando su carta pensieri che saltano fuori dalla pagina come le note di una canzone dal nastro magnetico. Non vuole intrattenere ma disturbare, la sua voce è trascinante come il riff di una canzone punk e accattivante come un ritornello pop, ricca di emozioni dietro alle parole.
«Spesso le cose non andavano come sperato, ma almeno ero viva, perfino dolorosamente viva». Vestiti musica ragazzi non è solo il resoconto di una vita. È una dichiarazione di indipendenza dagli stereotipi che vorrebbero le donne intrappolate dalle catene delle consuetudini e da una società che – ieri come oggi – le vorrebbe docili, carine, controllabili.—