La Stampa, 7 aprile 2023
Le spose bambine del Bangladesh
Tre anni fa il padre di Selina è tornato dal fiume, a mani vuote come sempre più spesso gli accadeva, si è seduto accanto a sua figlia e le ha detto che l’avrebbe data in sposa. Selina allora aveva poco più di dodici anni e aveva da poco concluso l’ottavo grado di istruzione. Avrebbe voluto continuare a studiare ma suo padre le aveva fatto già capire che i soldi non c’erano. Riusciva a malapena a sfamarla e non poteva pagarle i libri e il materiale di cui aveva bisogno. Così le sue speranze di un’istruzione secondaria sono finite così, divorate dal destino del padre, pescatore sempre più povero, l’unico a lavorare per sostenere la moglie e le tre figlie, l’unico a cercare di portare un po’ di denaro nella capanna di rami e fango in cui vivono sulla riva del fiume Madar nella regione del Sunderbans, a Sudovest del Bangladesh. Usa proprio questo termine Selina, per parlare della fine della suoi sogni: divorare. È la parola più diffusa qui per descrivere quello che l’acqua sta facendo alla terra, alle vite che da essa dipendono, ai diritti delle ragazzine come Selina.
Il Bangladesh è uno dei Paesi al mondo più colpito dai cambiamenti climatici. Secondo i dati del Centro internazionale per i cambiamenti climatici e lo sviluppo di Dacca, negli ultimi 200 anni il Paese ha subito in media una grande inondazione ogni 20 anni, ma negli ultimi due decenni la frequenza è aumentata a uno ogni cinque. Nella zona costiera, la più esposta e vulnerabile, le comunità vivono in uno stato di allarme ormai permanente. Il movimento delle maree, l’alternarsi delle stagioni, si sono trasformati in un ciclo di distruzione e ricostruzione di argini e capanne di fango. Ogni tempesta distrugge e mangia la terra, senza inservibili le acque. E dopo ogni tempesta chi può ricostruisce, chi è troppo stanco di aver perso tutto un’altra volta se ne va, abbandona le zone rurali e si sposta verso i centri urbani in cerca di una fonte di sostentamento. Numeri grandi e numeri in crescita. Le organizzazioni internazionali prevedono che nei prossimi vent’anni 10 milioni di persone si sposteranno dalle coste e dalle zone rurali alle città.
Le conseguenze dirette e indirette
La frequenza dei disastri climatici ha effetti a breve e lungo termine: consuma la terra, incide sulla sussistenza delle famiglie, provoca spostamenti di massa e uno sfollamento interno di milioni di persone e moltiplica anche i problemi sociali, come i matrimoni precoci una delle enormi contraddizioni di un Paese che ha vissuto anni di crescita economica esponenziale. I matrimoni sotto i 18 anni, sebbene vietati, sono purtroppo largamente accettati dalle comunità soprattutto quelle nelle zone rurali più legate ad antiche tradizioni. L’incidenza dei matrimoni precoci e il tasso di fertilità adolescenziale associato in Bangladesh è tra i più alti al mondo e il più alto in Asia, nonostante il Child Marriage Restraint Act, 2017 e il Piano d’azione nazionale del Ministero per le donne e i bambini per porre fine ai matrimoni precoci (2018-2030). Sforzi e impegni presi su carta che si sono rivelati, però, non abbastanza efficaci, perché le norme sociali e la povertà vincono sulla protezione delle minori.
In uno dei suoi rapporti sul fenomeno, Human Rights Watch sottolinea quanto le comunità facciano resistenza ad applicare la legge e quanto sia difficile per le istituzioni sanzionare le famiglie responsabili. I ricercatori scrivono che dopo aver condotto interviste con dozzine di ragazzine sposate all’età di 10, 11 o 12 anni, con le loro famiglie e con i leader delle comunità non abbiano praticamente «trovato casi di famiglie punite per aver organizzato il matrimonio di una bambina». Questo spiega i numeri: in Bangladesh il 51% delle giovani donne si sposa prima di compiere 18 anni. In un Paese di 170 milioni di abitanti significa 38 milioni di bambine sposate prima della maggiore età, di cui 13 milioni date prima dei 15 anni.
Le donne come motore di consapevolezza
Nelle zone costiere i mesi caldi come questo sono particolarmente faticosi. L’innalzamento del mare ha contaminato le acque, la salinità del suolo è peggiorata e per molti è ormai impossibile coltivare. L’insabbiamento, le inondazioni e il peggioramento dei cicloni hanno devastato il settore agricolo, nei fiumi e canali costieri il pesce diminuisce, così le famiglie, come quella di Selina, restano senza fonti di reddito.
Le precipitazioni via via più numerose hanno danneggiato gli argini e le inondazioni quotidiane di acqua salata hanno pregiudicato le riserve d’acqua dolce, ormai imbevibile. Così ogni giorno, al tramonto, una processione lenta di donne cammina dalle capanne ai pochi pozzi di acqua pulita.
Procedono passo dopo passo con le taniche e piccole botti, percorrono chilometri, perché i pozzi sono pochi, gli stagni delle riserve d’acqua sempre meno usabili, e bisogna andare lontano per avere dieci o venti litri d’acqua buona almeno per cucinare. Nelle zone rurali è ancora più evidente lo sforzo, la fatica delle donne di abituarsi ai cambiamenti e la tenacia nel trovare soluzioni sostenibili a problemi complessi.
Shefali Begum le conosce una per una, è anche lei davanti al pozzo a prendere acqua per la sua associazione. Dice che sono le donne il vero capitale sociale di queste aree. È per loro che da anni prova a far vincere il diritto sulle tradizioni.
Shefali Begum ha quarantacinque anni, è la leader dell’associazione del villaggio di Kalenchi che raccoglie le donne che lavorano e dipendono dal Sunderbans.
L’ha messa su quando la terra della sua famiglia è stata distrutta dal ciclone Aila nel 2009. La sede dell’associazione è una capanna di legno. A terra un tappeto e qualche sedia di plastica rossa dove le donne si ritrovano per condividere la fatica e spesso la paga che riescono a mettere insieme lavorando nelle vasche per le coltivazioni di gamberi.
Shefali conosce i problemi di tutte. La fatica, la povertà, i sacrifici. Sa i nomi di chi resta e quelli di chi se ne è andato. Conosce gli abusi e prova a prendersi cura delle vittime come Selina, bambine date in sposa a dodici anni che diventano madri a tredici. Tenta di bucare le tradizioni con la consapevolezza dei diritti dell’infanzia e prova a convincere le famiglie a non dare in sposa le loro figlie così giovani. Bussa alle capanne per spiegare ai padri che le bambine non devono fare figli e che a tredici anni non si deve morire per la complicazione di un parto.
Shefali spiega che i padri, soprattutto quelli più bisognosi, cercano di dare in sposa le figlie a qualcuno che non chieda la dote perché non possono permettersela così, se arriva una proposta di matrimonio, pensano che sia meglio non perdere l’occasione: qualcuno si prenderà cura della bambina e la famiglia, contemporaneamente, avrà una bocca in meno da sfamare. Ma siccome la povertà cresce al crescere del livello dell’acqua, dopo un po’ le anche le famiglie dei ragazzi diventano indigenti e cominciano a chiedere soldi.
Se i padri delle spose bambine non riescono a pagare, le figlie vengono prima maltrattate e poi rimandate indietro con l’onta sociale del matrimonio fallito.
Anche Selina è tornata indietro, ha bussato alla sua porta e ha chiesto aiuto. La famiglia di suo marito aveva cominciato a chiedere soldi a suo padre che non ne aveva. Così l’hanno picchiata per un po’, suo marito le metteva in faccia un cuscino per simulare di soffocarla. Poi, quando era chiaro che i soldi non sarebbero arrivati, l’hanno rimandata al villaggio. Bambina violata e nel corpo e ormai danneggiata anche per le norme sociali della comunità in cui viveva.
«Cos’altro posso fare?»
Selina non voleva sposarsi, ha provato a rifiutare, ma suo padre le ha detto che il marito era un bravo ragazzo, che era la scelta giusta perché, «siamo in troppi in questa famiglia e io sono povero, cos’altro posso fare?».
La scelta non era crudele, la scelta semplicemente non c’era.
Questo dice Selina, e ribadisce: cos’altro poteva fare? Lo racconta senza risentimento né rabbia. Manifesta, piuttosto, una solida e insieme tragica comprensione. È seduta sulla sedia di plastica dell’associazione di Shefali, copre il volto per pudore e vergogna. Guarda l’acqua tutto intorno.
«Se la tua vita dipende dal fiume ma il fiume non ti da più da mangiare, se hai tre figlie femmine da sfamare, cosa fai?»
È così che funziona da sempre, è così che funziona ancora di più quando cominci a perdere la tua fonte di reddito, l’unica che questa terra conosce da generazioni, quando l’acqua sgretola argini e risparmi.
Un ragazzo bussa alla porta di una famiglia indigente, chiede in sposa una ragazzina e il padre, stretto tra la fame e la preoccupazione, la cede, rendendola anzitempo donna, rendendola di fatto una fonte di sussistenza secondaria.
Shefali dice che è convinzione comune, i padri pensano non solo che avranno una bocca in meno da sfamare, ma che se le figlie finiscono a vivere in una famiglia generosa, saranno loro a prendersi cura del suo futuro.
Spiega che a volte accade, nella sorte ingiusta di una infanzia interrotta, nel crimine di bambine date in sposa, che i mariti consentano loro di studiare e pagando le spese della loro istruzione. Più spesso invece accade che subiscano abusi e tornino da quei padri che non sapevano come sfamarle e che faticano a riprenderle con la rispettabilità ormai compromessa.
Selina dice che a dodici anni e mezzo non sapeva cosa significasse la vita coniugale e che ha dovuto impararlo in fretta. Mentre parla si consuma le mani in movimenti nervosi, un misto di tensione e graffi. A dire l’abuso è tutto ciò che Selina tace quando per dire la violenza sul suo corpo di bambina, dice «vita coniugale».
La figura scarna, il viso scavato, le mani ossute raccontano ancora il patimento, quando è stata rimandata indietro dalla famiglia del marito non riusciva nemmeno a mangiare da sola. Shefali l’ha aiutata a riprendersi e continua a dare una mano alla sua famiglia con i fondi che la comunità mette a disposizione dei più bisognosi. Selina è tornata a vivere dal padre. Vorrebbe trovare un lavoro per dividere la fatica di provvedere per tutti.
Le sorelle minori hanno sette e nove anni e se nessuno porta da mangiare rischiano di diventare le prossime spose bambine. —