La Stampa, 7 aprile 2023
Intervista ad Alessandro Giuli
Alessandro Giuli, presidente del Maxxi di Roma, uno dei volti emergenti tra gli intellettuali italiani. A lui chiediamo di districare la matassa della cultura della destra tra tradizione, sovranismo e identità.
Giuli, lei si definisce un intellettuale di destra?
«Mi definirei uno tra i più progressisti tra i conservatori».
Un intellettuale della destra dal volto umano. Come siete un po’ tutti voi che arrivate dal Foglio. State riscuotendo grande successo. Annalena Benini al Salone del Libro, lei al Maxxi…
«La nomina di Annalena Benini è un esempio di come agisce il ministro Sangiuliano. Fatti, scelte concrete, senza tanti proclami. Così si costruisce un’egemonia culturale».
Ah l’egemonia. Per anni è stato il piagnisteo della destra italiana: la cultura del Paese è egemonizzata dalla sinistra. Ormai due terzi votano per la destra. Non sarebbe ora di finirla?
«Infatti il piagnisteo non ha senso. Ma sarebbe sbagliato classificare la riunione all’Hotel Quirinale come la riunione sindacale degli intellettuali di destra che rivendicano un ruolo. Era invece una riunione di persone che si confrontavano sulla cultura della destra».
Alla ricerca dell’egemonia alcuni intellettuali di destra citano Gramsci. Ma come? La destra lo mise in carcere provocandone la morte e oggi lo rimpiange?
«La dittatura fascista distrusse gran parte della classe dirigente liberale e libertaria che c’era allora in Italia. Il riferimento a Gramsci è nel suo invito a studiare, a prepararsi, a lavorare. Così si costruisce l’egemonia».
In Italia la destra va da Berlusconi a Meloni, dall’individualismo di Milano 2 allo Stato-nazione. Sembrano linee culturalmente divergenti..
«Da tempo sostengo che Berlusconi è stato un politico di sinistra».
Di sinistra?
«Lo avevo definito un socialista che ha messo la minigonna all’Italia».
Con quel criterio chi più chi meno siamo tutti di sinistra..
«Ci sono diverse destre come ci sono diverse sinistre. La sinistra governava con una coalizione che andava da Che Guevara a Madre Teresa di Calcutta. Non è strano se la destra italiana va dal migliore Bottai ai Chicago Boys».
Qual è la destra liberale e libertaria a cui pensa?
«Penso alla costituzione del Carnaro di D’Annunzio. Un esempio di democrazia».
La costituzione era democratica ma la reggenza del Caranaro era una dittatura di fatto. Lì si sperimentò per la prima volta la punizione con l’olio di ricino…
«Io stavo ragionando sui modelli di costituzione. Poi certo l’oleografia dannunziana è stucchevole».
Lei dice che destra e sinistra dovrebbero concordare su un perimetro comune. Quale?
«Non può che essere la Costituzione. Lì ci sono tutti i valori condivisi. Per questo dovremmo dare più importanza alle date del nostro calendario civile, dal 2 giugno al 25 aprile».
Sicuro che il presidente del Senato è d’accordo a valorizzare il 25 aprile?
«Il presidente La Russa usa iperboli ma poi dimostra la capacità di correggersi. Il 25 aprile è nel perimetro dei valori condivisi come lo è la laicità dello stato. Il modello è lo stato risorgimentale, liberale e non confessionale».
Io sono Giorgia, sono cristiana…
«Ciascuno deve essere libero di rivendicare la propria identità. Ma la religione pubblica dello Stato deve essere al di sopra delle diverse confessioni religiose».
Nella destra italiana ci sono ancora tendenze vandeane. C’è chi attacca Bergoglio e rimpiange la messa in latino…
«Ma certo. Ci sono anche le vedove inconsolabili del Papa Re. Ma è sbagliato identificare con quelle posizioni minoritarie la cultura dell’intera destra».
E poi c’è il nodo del sovranismo. Come si fa ad essere sovranisti in un solo Paese?
«Il sovranismo è morto. È stata una fase che oggi è in via di superamento, una specie di shock scatenato da un eccesso di globalizzazione. Poi anche la destra ha dimostrato di saper accettare, come in Italia, le regole di fatto del sistema».
La cultura della destra nei Paesi occidentali è spesso antisistema. Da Trump alla Brexit i casi sono numerosi…
«La destra antisistema è ancora forte. Ma è legata a un ciclo di instabilità economica. Alla prova del governo anche i partiti di destra, alla fine, utilizzano gli spartiti del sistema».
Sui diritti civili non parrebbe…
«Sui diritti civili la sinistra ha creato un grande equivoco dando l’idea che ci fosse una distanza tra diritti civili e diritti sociali. E la destra si è infilata in quella contraddizione portando avanti istanze sociali che prima erano della sinistra. Personalmente ritengo che ciascuno debba avere il diritto di formarsi la famiglia come vuole. In Costituzione non c’è il concetto di famiglia tradizionale».
Lei ha ereditato da Giovanna Melandri la guida del Maxxi, il museo di arte contemporanea di Roma. Che cosa non farebbe di ciò che lei ha fatto e che cosa si prepara a fare?
«Non ho cancellato nulla della programmazione di Giovanna Melandri. Ciascuno deve lasciare la sua impronta aggiungendo, non togliendo. Ho in programma una mostra su Jacovitti. Un personaggio che mi piace: da vignettista per la stampa cattolica a collaboratore del grande Vincino, al Male. Come avrà capito, non sono un uomo di rottura».