la Repubblica, 8 aprile 2023
Ritratto di Longino
Longino, ci insegnano, era il centurione che trafisse il costato di Cristo. Lo fece per avere la certezza che fosse morto sul serio, e che non servisse la consueta liturgia splatter di spezzare al condannato gli arti inferiori, che poi era il metodo sbrigativo dei boia per contrarre i tempi e non sforare l’orario di lavoro. Quella lancia fu insomma l’elettrocardiogramma piatto che sancì la fine del dead man walking del Calvario, e fino a qui diciamo che siamo nel perimetro della cronaca.
A margine, si pone però anche il grande tema della verità, multiforme e opinabile, corrotta e plasmata, per cui già duemila anni fa, perfino nei Vangeli, si percepiva il pericoloso crinale che separa i fatti dalla versione dei fatti, e quindi occorreva un Longino che non da discepolo, ma dalle fila della controparte, ponesse a futura memoria quel sigillo autoptico che è «Egli era veramente il figlio di Dio!». Fermiamoci appunto su questo avverbio, “veramente”.
Sosteneva P.T. Barnum, fondatore dello show-business, che nessuna miniera è più produttiva della capacità mitopoietica delle masse, pronte come non mai a coalizzarsi nel credere, più ancora che nell’agire (ed egli lo dimostrò, trionfalmente esibendo nel suo circo la sedicente balia di George Washington, che avrebbe avuto 160 anni). Avevi ragione, Barnum, noi umani accettiamo tutto, se nel patto solidale col gregge è stabilito che quella verità sia un recinto, un rifugio, un perimetro.
E dunque ecco a voi la paradossale contraddizione del nostro centurione, che da un lato sul Golgota certificò la Verità, ma dopo un attimo diventò il simbolo perfetto della sua alterazione. Non solo il nome Longino è posticcio, ma tutta la sua rocambolesca vicenda è un romanzo da far invidia a Emilio Salgari: si narra che egli fosse un soldato cieco, i cui occhi – colpo di scena – guarirono all’istante appena fu investito in viso da quelfamoso fiotto di sangue e acqua, dopodiché si convertì e diffuse la lieta novella, ma – colpo di scena fu arrestato dai romani, che gli strapparono i denti e mozzarono la lingua, poi lo decapitarono esattamente mentre il prefetto aguzzino – colpo di scena – perdeva pure lui la vista, ma San Longino – colpo di scena – lo miracolò restituendogliela per intercessione.
Questa è la leggenda che la devozione popolare ha inventato di sana pianta, intorno a colui che sul Calvario testimoniò la Verità affinché non inventassero di sana pianta. Ma non ci stupisce affatto, sprofondati come siamo nella melma russo-ucraina delle menzogne contrapposte e del bluff continuo, al punto tale da aver reso ormai questa guerra (anzi Operazione Speciale) un tedioso Carnevale in cui non ti fidi più di niente e di nessuno.
È la sindrome di Bucha, in nome della quale l’avverbio “veramente” di Longino ha finito per mutarsi in “verosimilmente”, a scanso di equivoci e in attesa di una verifica che non verrà mai. Come avvenne un anno fa per quei cadaveri giustiziati e buttati per le strade, così se Gesù Cristo fosse morto nel 2023 leggeremmo online che era tutto finto. Prima ipotesi, l’Intelligenza Artificiale. Ormai Midjourney ci ha mostrato Trump con la tuta da galeotto come fosse vero, e allora cosa vuoi che sia ricreare un corpo in croce, ci riesce anche un dilettante con l’app giusta.
Seconda ipotesi è la messinscena, figlia di quella dell’allunaggio. La croce? Ma per piacere, si vede a occhio nudo che era polistirolo. Il Golgota? Gira in rete che era solo un set. Il sangue? Succo di pomodoro. La corona di spine? Gomma. E quanto a quel centurione che dice «egli era veramente il figlio di Dio», sono pronto a scommettere che era un attore, proprio come lo era, ma sì, ma certo, quella donna incinta in fuga dall’ospedale bombardatodai russi. In un anno di guerra militare e mediatica abbiamo imparato ormai la lezione, e niente ci fa più sobbalzare, la catastrofe si è contratta nella sua teatralizzazione, e il dramma si è fatto drammatizzazione, guardiamo Bakhmut e Mariupol con il sorriso laico con cui si assiste ai numeri dei prestigiatori, arciconvinti che se ci impegnassimo scopriremmo senza dubbio il trucco, perché Putin è una caricatura da Gogol’ e quello Zelensky nasce proprio guitto. Già.
Con l’aggravante che questo perenne tarlo del falso lo legittimiamo come antidoto alla propaganda, mentre è sintomo di qualcosa di molto più profondo, un rifiuto che scatta ogni volta che i decibel dell’orrore si fanno insostenibili, e pur di non sprecare fatica nella compassione, barriamo la casella della negazione. È anch’essa in fondo una forma di resurrezione, non divina ma squallidamente furba, per la quale morte e dolore li costringiamo a rinascere nella forma addomesticata e inoffensiva di un fake, deplorabile ma rassicurante. Evviva, è tutto finto, evviva, è tutto un copione. Quel Longino l’hanno scelto con un casting.