Corriere della Sera, 8 aprile 2023
Congo, ergastolo per i sei killer di Attanasio
«Perché piangi, Luca?», fu la domanda che l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, lanciò al cielo il giorno del funerale di Luca Attanasio. Immaginando la risposta sconsolata dell’ambascia-tore italiano, appena ucciso in un agguato: «Piango perché dopo il clamore scenderà il silenzio, dopo la notorietà arriverà l’oblio…». Profetica omelia.
In Congo, il silenzio sta per calare per sempre su quella tragedia. E se non all’oblio, s’è giunti a una certa, frettolosa trascura-tezza della verità: due anni e 16 giorni dopo il massa-cro, un tribunale militare di Kinshasa ha inflitto l’ergastolo ai sei killer di Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci e dell’autista Mustafa Milambo. «Giustizia è fatta», è sollevata la vedova, Zakia Seddiki, cui premeva che non s’applicasse la pena di morte: «Non volevo ci fossero altre vedove. Il dolore su dolore non aiuta nessuno, anche Luca la pensava così».
«Noi aspettiamo ancora la verità», non s’acconten-ta il padre, Salvatore Attanasio: troppo facile liquidare tutto come un tentato sequestro, spiega, e scaricare ogni responsabi-lità solo sui sei congolesi. Il processo vero sarà quello che comincerà il 25 maggio a Roma: andranno a giudizio per omicidio colposo i funzionari del Programma alimentare mondiale che organizzarono quel pericoloso viaggio senza scorta armata, Rocco Leone e Mansour Luguru Rwagaza, e lì «penso che l’Italia debba pretendere la verità, perché Luca era il suo ambasciatore».
I sei puntano ora sull’appello, sostengono che le loro confessioni sono state estorte con la tortura. Pure i quasi 2 milioni di risarcimento al governo italiano, stabiliti dai giudici congolesi, sono una patacca: il capogang è latitante, gli altri cinque sono banditi di strada. «Questo non è un fatto di cronaca», dice papà Attanasio, «è una questione di Stato. E lo Stato deve reagire».