La Lettura, 8 aprile 2023
Le metamorfosi del Quirinale
Le metamorfosi del Quirinale
A parte il ruolo «altissimo e vaghissimo» di rappresentanti dell’unità nazionale, fino al 1990 i presidenti erano considerati titolari di poteri quasi platonici, dei certificatori di scelte altrui. Infatti, tranne rare eccezioni, battezzavano governi scelti dal sistema dei partiti. Intervenivano ben poco sulle dinamiche politiche e parlavano ancor meno.
Tutto cambiò nell’ultimo biennio sul Colle di Francesco Cossiga, il quale, dopo il crollo del Muro di Berlino, intuì che un muro sarebbe caduto anche sull’Italia, dove tutto era degenerato in una partitocrazia patologica. Inviò alle Camere una proposta di riforma istituzionale e l’accompagnò con una traumatica profezia della catastrofe, in un crescendo di esternazioni: le picconate. La strategia gli costò polemiche e una procedura di impeachment, ma il tentativo di aprire un dialogo diretto con il popolo fu ripreso dai suoi successori, che allargarono la «fisarmonica» delle loro prerogative per gestire la crisi.
Il primo ad avviare tale percorso evolutivo fu Oscar Luigi Scalfaro, mentre il Paese subiva intermittenti collassi dell’economia, attacchi della mafia, la tabula rasa dei partiti sotto i colpi di Tangentopoli e la nascita di nuove formazioni politiche, alcune d’impronta populista o separatista. Diede il via a cinque esecutivi, tre tecnici (o di scopo) scelti da lui, data l’impotenza del Parlamento. A Carlo Azeglio Ciampi andò un po’ meglio perché, pur nella difficoltà di rapporti con Silvio Berlusconi, si era comunque stabilizzata l’alternanza destra/sinistra a Palazzo Chigi. Percepito come un’autorità morale, si sforzò di rianimare la nostra autostima e il patriottismo con una pedagogia mirata, ciò che spiega la sua continua ricerca di contatto con i cittadini, pur essendo balbuziente.
Un’ulteriore scatto in avanti, per colmare i vuoti della politica, lo compì Giorgio Napolitano, primo post-comunista al Quirinale. Di lui resterà, oltre al varo di esecutivi «del presidente», il tentativo di promuovere riforme impossibili, in quanto imposte dall’alto. Fu il primo a essere rieletto, come poi Sergio Mattarella, «presidente arbitro», che predica un’idea di Stato-comunità in un Paese tormentato dalle divisioni.