Corriere della Sera, 7 aprile 2023
Il punto sul Pnrr
L’attesa dell’Unione europea per il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Ma a Roma gli uffici non si parlano e c’è anche chi rema contro.
Il governo sembra aver ottenuto a Bruxelles quanto chiedeva, sull’esecuzione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Eppure la scarsa intesa fra uffici pubblici in Italia – oltre che nella maggioranza – rischia di riportare tutto alla casella di partenza. Vista da Bruxelles, la partita della «flessibilità» richiesta da Roma nel dispiegare le risorse appare ogni giorno più difficile da seguire. Non perché non sia permesso di ridefinire una parte dei progetti. Al contrario: la Commissione Ue da tempo ha segnalato la sua disponibilità a una riscrittura del Piano, ma al momento mancano i segnali concreti dall’Italia su come procedere e questo silenzio inizia a sollevare interrogativi nella capitale Ue.
Le scadenze
Fin dall’autunno scorso, si spiega a Bruxelles, gli emissari di Roma avevano spiegato che il Pnrr andava in parte riprogettato. Avevano detto che vari aspetti dell’impianto varato dal governo di Mario Draghi non funzionavano e altri non avrebbero potuto rispettare la scadenza del 2026. Dalle prima settimane in carica Raffaele Fitto, il ministro agli Affari europei con delega sul Pnrr, ha dunque fatto sapere ai suoi interlocutori europei che avrebbe voluto rivedere parte del Piano: alcuni progetti dovevano uscire, sostituiti da altri che avrebbero dovuto entrare.
La risposta di Bruxelles, secondo quanto è stato possibile ricostruire, è stata simile a quella poi formalizzata nel Consiglio europeo del 9 febbraio. Recitano le conclusioni di quel vertice: «Le risorse europee esistenti dovrebbero essere dispiegate in maniera più flessibile». Dunque, anche formalmente, l’Italia aveva ciò che voleva. Il governo potrà spostare alcuni progetti del Pnrr, oggi in ritardo, verso le scadenze più lunghe dei fondi europei tradizionali. Potrà cancellare del tutto altri progetti e inserirne di nuovi, all’interno della dotazione del Recovery da 191,5 miliardi. Nei colloqui più informali tuttavia la Commissione europea aveva indicato al governo alcune condizioni per l’esercizio di questa flessibilità. La prima riguardava i tempi: si potevano spostare progetti fuori e all’interno del Piano ma – almeno per il momento – in nessun caso è in discussione la scadenza del 2026 per eseguire la spesa dei 191,5 miliardi. La seconda invece era soprattutto una richiesta di esercitare la «flessibilità» non all’ingrosso, sulla base di grandi capitoli generici, ma fornendo la maggiore quantità possibile di dettagli e il prima possibile. Il particolare, i servizi della Commissione avevano invitato il governo a indicare in concreto i progetti da togliere e mettere nel Pnrr man mano che emergevano; anche prima di avere un quadro completo e definitivo dell’intera riscrittura.
Le misure
Questo sembra essere esattamente quanto, fra Roma e Bruxelles, non è successo. Dopo mesi di discussioni in linea di principio sul Pnrr – a quanto risulta – il confronto di merito sulle misure da far uscire e far entrare non è iniziato. Neanche parziale, neanche sui primi progetti che in teoria avrebbero dovuto essere disponibili.
Non esistono spiegazioni ufficiali sui motivi di questo apparente ritardo nell’apertura del nuovo negoziato. Di sicuro Fitto intende prima presentare al parlamento, fra circa un mese, lo stato di attuazione del Pnrr. Allora si dovrebbe capire cosa non sta funzionando e va tolto, quindi quante risorse si possono finanziare per nuovi progetti. A Bruxelles oggi non si hanno queste stime, anche perché la banca dati Regis sull’attuazione del Pnrr è accessibile solo dalle amministrazioni italiane coinvolte. Ma la stessa carenza di dettagli crea l’impressione, nella Commissione Ue, che lo stesso Fitto non stia ricevendo dalle altre amministrazioni italiane tutti i dettagli necessari a capire quanto dovrebbe uscire dal Pnrr.
Presumibilmente, pochi uffici vogliono rischiare di perdere fondi già affidati a loro. Ma senza una stima dei volumi finanziari che si liberano nel Piano, diventerebbe difficile indicare quali nuove misure possono entrare. Così i tempi per dare un segnale di concretezza, nella visuale di Bruxelles, iniziano a diventare sempre più stretti.