Corriere della Sera, 7 aprile 2023
Stop ai pensionati d’oro
La telefonata di Silvio Berlusconi alla premier e a Salvini, lo scontro sul decreto siccità, la norma (poi saltata) che puntava a salvare i «pensionati d’oro» della pubblica amministrazione e la cautela sulle nomine ai vertici di Consob e dell’agenzia Sport e Salute. Consiglio dei ministri intenso, quello di ieri.
È sera quando fonti di governo fanno trapelare la tensione che ha contrapposto il vicepremier leghista e il ministro dell’Agricoltura, seccato perché Salvini avrebbe provato a «mettere il cappello» su un provvedimento che anche Francesco Lollobrigida ha fortemente voluto. Ai meloniani non è sfuggito il silenzio dei vertici della Lombardia a guida leghista sull’istituzione della cabina di regia coordinata dal leader del Carroccio e più d’uno ha insinuato: «I mal di pancia leghisti sono contro il decreto o contro Salvini?».
Martedì il Consiglio dei ministri tornerà a riunirsi e torneranno sul tavolo le questioni irrisolte, a cominciare dalle nomine dei vertici Consob e dalla riforma di Sport e Salute: il ministro Andrea Abodi era pronto e forse aveva anche in mente il sostituto di Vito Cozzoli. Ma, senza polemica e con spirito costruttivo, il vicepremier Antonio Tajani ha chiesto di prender tempo perché in pre-consiglio il tema non era stato affrontato. E perché pare che un invito alla cautela sia arrivato anche dal Quirinale.
A cadere nel Cdm di ieri è stato anche il vecchio Enit, l’ente nazionale del turismo che la ministra Daniela Santanché ha voluto rifondare in Enit Spa. Ed è fallito il tentativo di una parte del governo di consentire un altro giro di giostra ai pensionati e pensionandi «d’oro» ai vertici della Pa, cancellando gli effetti della legge di Marianna Madia del 2014. Diversi ministri ci lavoravano da giorni sottotraccia. Attraverso le limature dei tecnici speravano di riuscire a infilare nel decreto sulla Pa la possibilità di affidare incarichi retribuiti ai dirigenti pensionati e di trattenere in servizio i pensionandi: una norma che avrebbe riguardato tutte le amministrazioni coinvolte nella realizzazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Quando Giorgia Meloni comincia a parlare il leader della Lega ancora non è arrivato. E quel che la premier afferma davanti ai «big» del governo è l’esatto contrario di quanto Salvini aveva sperato di sentirle dire. «Comprendo che alcuni di voi vorrebbero trattenere in servizio persone di grande esperienza con le quali hanno costruito un rapporto di fiducia, ma gli italiani non capirebbero – ferma i giochi Meloni – Dobbiamo fare tutti un sacrificio».
Il sottosegretario alla presidenza, Alfredo Mantovano, nelle riunioni riservate si era messo di traverso perché «bisogna fare largo ai giovani». E Meloni davanti ai ministri condivide le ragioni dello stop. «Io sono contraria, per una questione di buon senso – ammonisce la premier senza troppo girarci attorno —. Sarebbe ingiusto nei confronti di tanti laureati che hanno studiato e hanno le carte in regola per ricoprire incarichi di vertice nella macchina pubblica. Se rimettiamo il tappo, poi non lamentiamoci se i migliori se ne vanno all’estero». Raccontano che Tajani abbia annuito («è giusto far arrivare i giovani») e che il ministro competente, Paolo Zangrillo, vista la determinazione della leader di Fratelli d’Italia, non abbia replicato. Salvini è arrivato in tempo per dare il via libera al decreto, senza quelle norme che avrebbero in parte contraddetto gli sforzi della Lega per anticipare l’età pensionabile degli italiani e favorire il ricambio generazionale.