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 2023  aprile 08 Sabato calendario

I tedeschi adorano il cappuccino

È Pasqua e sui giornali appaiono articoli leggeri, nonostante guerra e inflazione. Le proteste dei fan del politicamente corretto che vorrebbero vietare l’augurio di Buona o Felice Pasqua per non offendere musulmani e non credenti vengono ignorate. In prima pagina si legge che le uova sono aumentate rispetto all’anno scorso. I tedeschi amano le tradizioni, le dipingono a mano e le nascondono in giardino, o le regalano agli amici. Un dono effimero che costa molto calcolato nel tempo impiegato dal donatore.










La Frankfurter Allgemeine si chiede a che età si debba rivelare che il coniglio pasquale, che nasconde le uova tra le aiuole non esiste. La domanda giusta sarebbe, fino a quando i piccoli odierni dovrebbero fingere di crederci per non deludere i genitori. La Süddeutsche Zeitung ha pubblicato un lungo articolo sul Geheimnis guten Cappuccinos, il segreto di un buon cappuccino. I tedeschi si preoccupano dell’arte di preparare una delle delizie italiane, scoperta decenni fa in vacanza e che hanno imparato a preparare, o tentano, come gli spaghetti al dente. È una calunnia che li preferiscano scotti.


I tedeschi sanno come conservare l’olio all’ombra, dove trovare l’aceto balsamico, e non si lasciano ingannare dall’etichetta nel comprare un buon vino senza spendere troppo. Ed è più facile bere un buon cappuccino a Berlino che a Roma. Bisogna stare attenti a ordinare una tazza grande, media, o piccola.




La prima volta ho scelto la prima e mi hanno servito una tazzona almeno tripla rispetto a quella normale in Italia. Molti dei miei amici hanno comprato macchine elettriche per preparare l’espresso, e pretendono che dia loro un voto. E tentano di offrire un cappuccino, che loro bevono anche dopo cena e magari insieme con una grappa. Ognuno ha i suoi gusti.


Ma un cappuccino, come tutte le cose semplici non è facile. A Trastevere a volte ti servono solo schiuma, oppure un deludente latte macchiato. Per risparmiare, assumono giovani inesperti. Non è colpa loro.


A Monaco, leggo, i corsi da barista per scoprire il segreto del cappuccino sono esauriti. Ci sono molte trappole per preparare questa miscela di latte e caffè, si avverte nel sommario. Per inciso, il giornale ha scritto barista all’italiana. Le parole straniere si possono usare quando non c’è un equivalente nella propria lingua. Alexander Vits, l’insegnante, mostra agli allievi l’angolo giusto per versare la schiuma nella tazza, a che velocità e a che temperatura, e a quale profondità nella tazza. Non si può spiegare a parole, bisogna vedere.




Il corso di Herr Vits si chiama «Latte arte», rigorosamente in italiano. Prima di arrivare alla dimostrazione pratica impartisce lezioni sulla qualità degli ingredienti, senza dimenticare calorie e proteine. La scuola del cappuccino si trova nella sua torrefazione. Ovviamente, è necessario saper scegliere la materia prima, tutte le qualità di caffè vanno bene, ma qualcuna è meglio. E la tostatura è fondamentale. Da precisare subito, che gli allievi non si iscrivono perché vogliono trovare lavoro come baristi, sono tutti dilettanti, diciamo clienti come me, che vogliono stupire gli amici e i familiari. Come dire, l’arte per l’arte.


Markus Prange è un altro maestro del cappuccino, e dedica molte ore a istruire gli allievi sulle macchine da comprare. Alcune costano migliaia di euro, ma il prezzo non basta per scegliere la migliore. Bisogna provarle per scoprire quella adatta. È come comprare un’auto, per alcuni è meglio una utilitaria che un modello sportivo. E dopo, hanno bisogno di continue cure, di venir pulite regolarmente nel modo giusto.


Consigli ovvi, evidentemente necessari.


Molti comprano le macchine solo per l’aspetto, diciamo per la carrozzeria, sedotti da una sorta di «romanticismo italiano», la vogliono uguale a quelle viste in vacanza, belle ma non adatte all’impiego casalingo, troppo complicate per un dilettante.


A Monaco si può scegliere tra una mezza dozzina di scuole per cappuccino, non viene indicato il prezzo che varia a seconda delle esigenze. A Roma, o altrove, in passato l’arte del barista si imparava sul campo, da ragazzini.