il Fatto Quotidiano, 8 aprile 2023
Intervista a Francesco Gabbani
“Le Figlie di Gesù ci permisero di suonare nel teatro-refettorio”.
Concertino scolastico.
In quel locale abitualmente destinato al silenzio. Ma era Carnevale.
Che età aveva l’alunno Francesco Gabbani?
Otto anni. Ero il batterista del complessino d’occasione. Tra chitarristi, ballerini e coristi. Stamburai su una canzone che diceva: “è arrivato il Carnevale, io mi maschero da clown!”.
La scimmia era lontana.
Il debutto sul palco. Poi, a 11 anni, incisi la prima canzone. Faceva così: “Questa vita la voglio cambiareeee….”
Già allora?
La incisi su un registratore multitraccia, un quattro piste a cassette. Non so che fine abbia fatto. Probabilmente mio padre avrà venduto tutto, compreso il contenuto. Magari l’acquirente potrebbe ricavarne un bootleg.
Papà aveva un negozio di strumenti e accessori. La sosteneva nella vocazione artistica?
Tasto dolente. Malgrado fosse pure lui un musicista, non è che in famiglia credessero molto nel mio talento. Mai una spinta. Me lo sono guadagnato da solo, il mio strapuntino da artista.
A Carrara si pensava a farsi il mazzo duramente.
Il genius loci impone di spaccarsi la schiena nelle cave di marmo. Di conseguenza la mia città è la capitale mondiale della ribellione. Nel nostro Dna c’è l’antica concezione di essere tutti eredi degli schiavi messi lì ai lavori forzati. C’è una concezione anarchica della vita. Si fanno spesso i cortei. Se vai al teatro Politeama c’è ancora la sede del Fronte Anarchico Italiano.
Lei lo è?
Anarchico? Solo nei sentimenti. Per quelli non ho padroni.
A proposito di contestazioni, che dice degli ultrà ambientalisti che imbrattano i monumenti?
Sono dei cretini. Non chiamiamoli ambientalisti.
Cretini o Gretini?
Degli stolti. Questo estremismo fa allontanare ancor di più l’opinione pubblica dai temi green. Chi butta vernice nelle fontane o si sdraia in tangenziale rompe solo le palle.
Invece l’ambiente è una questione seria, che in tanti però vedono come un vezzo radical-chic, lontano dalle vere emergenze quotidiane.
Il punto è quello. Dovremmo concentrarci sui compromessi da fare con il sistema pianeta. Sono stati commessi errori irreparabili, ora cerchiamo di salvare il salvabile. Servono azioni concrete, e rapide.
Una priorità.
Che io sento particolarmente sulla mia pelle. Per il luogo dove sono nato, e per dove vivo, circondato dal verde. Noi facciamo parte della natura.
Quindi lei Gabbani è il presentatore ideale anche per questa seconda edizione di Ci vuole un fiore, venerdì 14 e 21 aprile in prima serata su Raiuno.
Stavolta non avrò al mio fianco Francesca Fialdini. Sarà uno one man show che farà più leva sull’emotività che non su dati e numeri. Un varietà: la divulgazione scientifica sarà affidata a Mario Tozzi, le incursioni genialmente comiche a Nino Frassica. Poi i colleghi. Nella prima puntata ospiterò Levante, Mr.Rain. Alfa, la mia amica Ornella Vanoni.
Ornella le racconta sempre barzellette spinte?
Vorrei avere la sua libertà di espressione. Nel programma ci rivelerà la passione per le api e l’impollinazione dei fiori. Sesso, ok, ma godibile.
Da cantautore e autore lei è ispirato dai grandi della nostra musica. Il programma con il titolo preso da Endrigo. E parteciperà a un omaggio a Jannacci in teatro. Il 3 giugno agli Arcimboldi.
Con suo figlio Paolo reinterpreteremo Vengo anch’io, no tu no. Enzo era un monumento intellettuale di profondità mascherata con la leggerezza dello sberleffo.
Oggi molti di voi cantanti si cimentano anche con la conduzione televisiva.
In America se fai tante cose la considerano una dote. L’eclettismo artistico. Qui c’è sempre qualcuno che mugugna: eh, ma non ti bastano le canzoni?. Lo sport nazionale è relegare gli altri in un recinto.
Se Amadeus le proponesse di fare il coconduttore o di andare in gara a Sanremo 2024, cosa sceglierebbe?
Sono nato artisticamente al Festival, sarei felice di tornarci in qualunque veste. Ma dovrebbe portarmici la canzone giusta.
Il singolo che esce adesso, L’abitudine, è un po’ una ricerca della felicità.
Stiamo dentro il sistema ansiogeno del consumismo che ci mangia dentro, senza accorgerci dei valori più genuini che dovrebbero bastare per la serenità. Inseguiamo gli status sociali vivendo da narcotizzati.
Torniamo alla gavetta: da ragazzo, con i suoi Trikobalto, fece da opening act agli Oasis.
Al Blue Note di Milano, era la loro tournée acustica. Suonammo pure prima degli Stereophonics. O a quell’Heineken Jammin’Festival di Mestre dove una tromba d’aria spazzò via li palco. Si ha un bel dire che le emergenze ambientali non ci precipitino addosso!