il Giornale, 7 aprile 2023
Intervista ad Andy Weir
L’apocalisse di Andy Weir arriva da creature piccolissime e sconosciute: microbi che mangiano l’energia solare, esaurendo la nostra stella e anticipando una irreparabile era glaciale. Di fronte all’emergenza, i vertici mondiali mettono in atto la missione Project Hail Mary (Mondadori, pagg. 476, euro 24, traduzione di Vanessa Valentinuzzi) e nello spazio finisce Ryland Grace, scienziato fuori dagli schemi, che ha l’incarico di salvare l’umanità... Complici proprio quei temibili microrganismi che, producendo energia, gli consentono di viaggiare quasi alla velocità della luce nell’universo, per scovare un antidoto al nemico. Per Andy Weir, nato a Davis, in California, nel 1972, di professione programmatore, Project Hail Mary è il terzo romanzo, dopo L’uomo di Marte, che al cinema è diventato The Martian di Ridley Scott, con Matt Damon protagonista, e Artemis – La prima città sulla Luna, i cui diritti sono stati acquisiti dalla 20th Century Fox. Anche Project Hail Mary ha un futuro sul grande schermo. Andy Weir, come le è venuta l’idea del romanzo? «Volevo scrivere una storia su una conversione di massa di carburante. Ma la tecnologia per farlo supera di molto qualsiasi cosa possiamo fare attualmente, perciò mi sono immaginato che potessimo ottenere il carburante da una qualche fonte aliena. Ho pensato: sarebbe forte, ma come potremmo produrne di più? E poi: forse avere un po’ di quel carburante potrebbe consentirci anche di produrne di più... Infine ho capito che una cosa che può fare di più di sé stessa è la vita. E ho iniziato da lì». Pensa che il pianeta sia a rischio e dovremmo averne più cura? «Non credo che siamo in alcun modo a rischio a causa di microbi extraterrestri». Il protagonista, Ryland Grace, è un outsider della comunità scientifica, un mezzo genio che insegna delle medie... «È ingenuo, e un po’ codardo. Evita a tal punto il conflitto che si è autoisolato a fare da professore a dei ragazzini. E non per un desiderio di guidare i più giovani, ma perché loro non lo sfidano e non lo minacciano... Però ha un buon cuore, e vuole sinceramente fare bene». Perché i suoi protagonisti sono sempre eroi o eroine che lottano da soli? «Mi viene più semplice scrivere così. Però credo sia meglio specificare che Ryland non è proprio da solo...» Infatti nello spazio trova un alieno, un Eridiano di nome Rocky. Chi è? «Ho sempre voluto scrivere una storia di primo contatto con gli alieni. E volevo farlo a modo mio, con nessun agio per i personaggi; i quali vivono in ambienti totalmente incompatibili e hanno tecnologie divergenti. Gli Eridiani sono meglio degli umani in certe cose e gli umani sono meglio in altre. Lo stesso Rocky è un tipo piacevole: un nerd della sua specie, anche lui mandato a compiere una missione disperata». Uno dei temi del romanzo è l’esistenza di altre forme di vita nell’universo, dai microrganismi agli Eridiani. «Penso che sia un tema fantastico per la fantascienza. Così come nella realtà: credo che ci sia quasi certamente una vita aliena là fuori, che va dai microbi agli esseri intelligenti; ma credo anche che la velocità della luce sia un limite assoluto che non può mai essere infranto. Perciò la vita più vicina potrebbe essere lontana un miliardo di anni luce e noi potremmo non essere mai in grado di comunicare con essa». Il romanzo è ricco di dettagli scientifici. Fa molte ricerche? «A quintali. Di solito digito su Google l’informazione che voglio e parto da lì per lavorarci». Quali sono gli aspetti tecnologici e scientifici più difficili che ha affrontato? «Per questo libro, la cosa più complicata per me è stata la relatività. Avere a che fare con la matematica che serve per una navicella che viaggia quasi alla velocità della luce è difficile; ma scoprire come avere a che fare con una navicella che accelera costantemente ti porta nel regno della relatività generale, non quella speciale, che è ancora più arduo». E invece quelli più affascinanti? «Mi sono divertito moltissimo a inventare la specie degli Eridiani: come funziona la loro biologia, come funzionano i loro corpi...» Ha scritto tre romanzi, tutti di fantascienza. Come mai? «Non lo so. È che ho sempre amato la fantascienza. È il mio terreno». L’amava già da piccolo? «Sì, da che mi ricordi. Sono cresciuto leggendo la collezione di fantascienza di mio padre, perciò i miei autori preferiti sono Heinlein, Asimov e Clarke». E i suoi film di fantascienza preferiti? «Amo i film di Guerre stellari e Star Trek». Che cosa ci dice la fantascienza oggi? «Di solito non lavoro su dei temi, o sull’etica. Cerco solo di raccontare una storia divertente». Quando ha scritto The Martian aveva già in mente un potenziale film? «No, per niente. A quel tempo scrivevo solo per divertirmi». È stato contento del film che ne ha ricavato Ridley Scott? «Assolutamente. Hanno fatto un lavoro fantastico». Anche gli altri suoi romanzi diventeranno dei film? «Project Hail Mary sta per ricevere la luce verde. Ryan Gosling dovrebbe essere Ryland, e Lord e Miller i registi. Incrociamo le dita che il film si faccia davvero». La storia è tragica, ma c’è molto humour. «È solo il mio stile di scrittura, credo». Quali sono i suoi sogni fantascientifici? «È meno eccitante dei viaggi spaziali, ma non vedo l’ora che queste Intelligenze artificiali di nuova generazione lavorino su casi medici. Forse non saranno in grado di produrre la formula che curerà il cancro; forse a ogni paziente ne servirà una specifica, ma va bene: lasciate libere le Intelligenze artificiali di lavorare sui dati e vediamo che cosa succede». Ma lei viaggerebbe nello spazio? «Decisamente no. Scrivo di persone coraggiose, ma non sono una di loro». Potrebbe mai essere uno dei suoi eroi, come Ryland, e andare in missione per salvare l’umanità? «Ho in programma di morire sulla Terra. Non sono eroico...».