Tuttolibri, 8 aprile 2023
Biografia di John Galsworthy
lo scrittore dell’establishment britannico, l’illustratore genericamente critico di un’upper class prossima alla crisi del mondo post-colonialista, ma ritratta nella sua piena soddisfazione valoriale: in definitiva, il cantore di un’epoca vicina al tramonto e tuttavia ancora affluente. Se si prova però a leggere nella vita di questo scrittore così apparentemente frontale e invece elusivo fino alla negazione di sé, non solo si scopre che la sua concreta esistenza è stata tutt’altro che tediosamente borghese – e che essa si riflette nella Saga in tutta la sua indecifrabilità – ma soprattutto si comprende che, se c’è un nodo, un punctum al centro di tutta la sua opera – o almeno del vasto ciclo dedicato alla famiglia immaginaria dei Forsyte – non è nel ritratto più o meno satirico dell’upper class britannica, e quindi nella matrice di spietatezza dello spirito capitalistico e commerciale tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, bensì nel problema dell’arte (e della letteratura) come emblema del fallimento di quella classe sociale e del suo spirito d’impresa.Diamo quindi un’occhiata alla vita di Galsworthy. Nasce da famiglia agiata: il padre è un avvocato molto benestante (a propria volta viene da un contesto di piccoli proprietari e imprenditori del Devonshire). Si è sposato tardi, oltre i quaranta, e con i quattro figli ha un rapporto quasi più da nonno che da genitore. La moglie è una ventina d’anni più giovane. La coppia vive agiatamente anche grazie a ciò che ha ereditato dagli antenati: siamo dentro a quel medesimo ceto economico a cui appartengono i Forsyte – imprenditori, proprietari e, in un secondo tempo, avvocati, ricchi professionisti, ricchissimi amministratori, pronti a imparentarsi con la piccola nobiltà a cui offrono denaro in cambio del titolo. Anche John Galsworthy, come il padre, compie studi legali a Oxford e sarebbe indirizzato nel ramo assicurativo, ma coltiva la passione per la scrittura e i viaggi durante i quali conosce Joseph Conrad (di cui sarà amico per la vita, insieme a Ford Madox Ford). I primi libri li pubblica sotto pseudonimo, poi col successo si riappropria del nome, liberandosi anche di un mestiere e una carriera che non gli interessano. Scrive romanzi e opere teatrali, e appunto da queste gli arrivano i primi veri riconoscimenti. Nel frattempo ha incontrato Ada Cooper, di poco più grande di lui. Una donna che ha almeno due elementi di eccezionalità: è figlia illegittima (all’epoca, uno stigma non da poco) e soprattutto è la moglie del di lui cugino, il maggiore Arthur J. Galsworthy. Per dieci anni, tra i due, si consuma una relazione semiclandestina, condita di molte camere d’albergo a Parigi e in giro per l’Europa.Nel 1905, ottenuto il divorzio (altro stigma niente male per l’epoca), i due si sposano. Ed ecco, un anno dopo, la pubblicazione del Possidente, prima tessera di quel ramificato mosaico che è la Saga nel suo complesso. Prima tessera che del resto, introducendoci nel clan Forsyte – una famiglia somigliante quasi in ogni dettaglio a quella dei Galsworthy – racconta l’amore impossibile di Soames Forsyte per Irene: che diviene rapidamente sua moglie ma che non lo ama e non lo amerà mai – e infatti lo tradisce con un giovane architetto, colui che disegna la grande casa voluta da Soames per celebrare il «possesso» di Irene. La relazione naturalmente suscita scandalo. Il giovane architetto muore in circostanze poco chiare e Irene, dopo una drammatica fuga, conosce e s’innamora del giovane Jolyon Forsyte, cugino di Soames. Evidente che al cuore del primo segmento della Saga vi sia una forte vocazione autobiografica. Il clan famigliare si riflette e riverbera nelle complicazioni sentimentali che derivano dal triangolo Soames-Irene-giovane Jolyon (così detto per distinguerlo dal vecchio Jolyon, il capostipite). Come si è già osservato, dopo Il possidente Galsworthy impiega una quindicina d’anni per ritrovare il bandolo dei Forsyte e separarlo lentamente dalla propria vita privata. Il possidente esce nel 1906 e per la prima volta assicura al suo autore un certo successo. Quando lo scrittore torna a occuparsi della sua famiglia immaginaria così simile a quella reale, molte cose sono però cambiate, rendendo impossibile un nuovo sovrapporsi di realtà e finzione. Anzi, non soltanto la realtà nel frattempo ha subìto la tremenda accelerazione della storia che comunemente chiamiamo guerra, ma la finzione stessa ha cambiato pelle e orientamento.Che cosa è accaduto? Intanto è accaduto che si sia consumata la spaventosa carneficina del primo conflitto mondiale, quello del ’14-’18. Il possidente e In tribunale si svolgono in un arco di anni che va dal 1886 al 1901, anno fatidico in cui muore la regina Vittoria, il cui funerale occupa parecchie pagine dell’opera, ma Affittasi – che chiude questa prima trilogia – si svolge nel ’20, cioè a guerra conclusa, con tutti i dolorosi strascichi e le terribili memorie del caso. Questo per ciò che pertiene alla Storia con la esse maiuscola. Tuttavia, qualcosa accade anche nel privato dello scrittore, e non è meno importante nell’imprimere un cambiamento di prospettiva all’opera. Nel 1911 Galsworthy conosce e frequenta intensamente l’attrice e ballerina Margaret Morris. A quanto pare, la vicenda tra i due rimane molto castigata. E alla fine lo scrittore decide di salvare il proprio matrimonio con Ada, sempre afflitta da malanni e bisognosa di attenzioni e cure. Tuttavia, questa specie di rinuncia a una vita sentimentale nuova e magari incerta ma più appagante (bisogna ricordare che l’unione con la moglie non dà figli ed è fin da principio più cerebrale che erotica), produce in Galsworthy un contraccolpo così profondo da travolgere la vicenda dei Forsyte, trasformandola in una riflessione sul fallimento non di una classe sociale – la famosa upper class britannica – quanto dello strumento, da essa elaborato nel corso del tempo, per riflettere su sé stessa e la propria storia: lo strumento del romanzo e, più in generale, dell’arte. Così, scrive Catherine Dupré nella biografia dello scrittore, «nel secondo e terzo romanzo della trilogia il tema della morte, dell’impermanenza dei possessi terreni, viene di continuo a galla», in ciò contraddicendo in maniera quasi esemplare l’assunto primigenio del Possidente che non a caso D.H. Lawrence aveva definito «una satira grandiosa» della smania di dominio e padronanza della borghesia inglese.