1 marzo 2023
Tags : Alessandro Benetton
Biografia di Alessandro Benettòn
Alessandro Benettòn, nato a Treviso il 2 marzo 1964 (59 anni). Imprenditore. Fondatore (nel 1992) e socio accomandatario di 21 Invest (fino al 2018 «21 Investimenti»). Presidente (dal gennaio 2022) di Edizione, la società finanziaria della famiglia Benetton (Gruppo Benetton, Autogrill, Atlantia, Assicurazioni Generali, Mediobanca). Già presidente del Gruppo Benetton (2012-2014) e di Benetton Formula (1988-1998). «Avrei potuto accomodarmi, invece io non volevo essere l’erede di nessuno: volevo scrivere una pagina solo mia. […] Chi non cambia è perduto» (ad Ario Gervasutti) • Secondo dei quattro figli di Maria Teresa Maestri e di Luciano Benetton (Treviso, 1935), cofondatore nel 1965, coi fratelli Gilberto, Giuliana e Carlo Benetton, del «Maglificio di Ponzano Veneto dei Fratelli Benetton», primo nucleo del gruppo di famiglia. «“Mio padre, il ‘Signor Luciano’, aveva perso suo papà a dieci anni e si era dovuto rimboccare le maniche, e, anche se avevamo una casa costruita per noi, l’etica del lavoro era tutto. Mia mamma, figlia di un militare, aveva il senso del pudore”. […] Il cognome conta… “Sì, conta. Conta come quel ceffone di mia mamma, che a sette anni, ero in seconda elementare, mi becco con la frase che mi accompagnerà per la vita: ‘Che figura fai fare alla famiglia?’”. Cosa aveva combinato? […] “Nella mia scuola figli di contadini e impiegati, operai e primi imprenditori spartivano aula e banco. […] Eravamo ricchi, ma io, di soldi in tasca, non ne avevo. E a volte nella cartella non c’era la merendina, che avevano tutti i miei compagni”. E allora? “Allora, grazie a un certo spirito di iniziativa, tentavo ogni tanto di farmene dare un po’ dai miei compagni. Ma la maestra se ne era accorta e aveva chiamato mia mamma. Risultato: un bel ceffone. E non fu nemmeno l’unico, le assicuro”. […] Il “Signor Luciano”… perché lo chiama così? “Mio padre è un visionario: negli anni ’60 ha rivoluzionato il mercato dell’abbigliamento. […] Mio padre, per un lungo periodo, non è stato solo un padre, ma anche il ‘Signor Luciano’, appunto. Così lo sentivo chiamare intorno a me, e il Signor Luciano ha sempre rappresentato quel lato di mio padre che metteva il lavoro davanti a tutto, a volte anche davanti al suo essere padre. O almeno questa era la mia percezione ai tempi. La sfera affettiva ha sempre dovuto per forza di cose convivere con quella pubblica, dovuta alla sua posizione e a quella della mia famiglia, e ai tempi non è sempre stato facile rapportarsi a questa dimensione così particolare”. Però una notte vi sveglia addirittura. “Sì, dormivamo e sentiamo papà che ci chiama. Era il 20 luglio 1969. Scendiamo e ci fa cenno di sederci sul divano con lui. L’uomo stava atterrando sulla Luna. Ci dice: ‘È un fatto storico’”» (Daniele Manca). «Papà Luciano […] accompagnava a scuola tutte le mattine i figli, e una volta, a nove anni, lo lasciò a piedi, gli diede una bicicletta e disse: “Pedala”. Ovviamente sapendo di poterlo fare» (Maria Luisa Agnese). «L’Inghilterra è importante nella sua formazione. Aveva 13 anni quando fu spedito lassù, da solo, in aereo. Prima tappa, Londra. Seconda tappa: Victoria Station. Terza tappa: un villaggio sperduto da qualche parte più o meno identificabile col suffisso “shire”. Se deve imparare l’inglese, fu il ragionamento di papà Luciano, lo faccia lontano dai college frequentati da italiani fighetti. “Quel viaggio, me lo ricorderò sempre”, racconta Alessandro: “ero un bambino ed ero terrorizzato all’idea di ritrovarmi all’estero, tra sconosciuti, solo all’aeroporto, solo in una stazione ferroviaria. Mio padre voleva che me la cavassi e me la sono cavata. A ripensarci, aveva ragione lui”. […] D’estate, a 12 anni, col fratello lavava le caldaie del primo stabilimento Benetton. In cambio, lo pagavano. “Ma non perché spendessi e spandessi. Sempre in quell’estate, mio padre portò me e mio fratello a comprarci le scarpe. Ne scegliemmo due o tre paia a testa, lui ci lasciava fare. Al momento di pagare non tirò fuori il portafoglio: ‘I soldi, li avete: pagate voi’”» (Maria Latella). La madre, ceffoni a parte, era «estremamente affettuosa, ogni tanto confusionaria, però l’empatia me l’ha insegnata lei» (a Raffaella Polato). «“Quella carezza sul mio capo quando sono stato bocciato, me la ricordo ancora”. Bocciatura? “Sì, c’è stato anche questo nella mia vita. In seconda liceo. Ero un adolescente un po’ ribelle: in fondo, come molti, cercavo di capire chi fossi senza seguire le regole dettate da altri. Pomeriggi passati a truccare e a far impennare i motorini, la scoperta delle sale da biliardo… Ammetto che i rudimenti della leadership e dei processi di valutazione del rischio non li ho appresi sui banchi ma li ho coltivati stando all’aperto, e che devo molti dei trucchi che tuttora serbo nella mia cassetta degli attrezzi di comunicazione e marketing ai giovanili tentativi di conquistare le ragazze omettendo dalla conversazione il mio cognome e cavandomela per strada”» (Manca). «“Ero uno studente vispo – racconta Benetton – ma nella media: poi ho incontrato un professore di filosofia, uno di quelli che ti fanno venire la voglia di essere migliore”. Da lì, “l’escalation: l’università negli Stati Uniti, l’esperienza in Goldman Sachs”. Tutte cose che “stupivano gli altri, e soprattutto me: non pensavo di avere queste capacità”» (Gianluca Angelini). «“Mio padre pagava gli studi e lo stretto necessario: per il resto bisognava darsi da fare”, ripete. Negli Usa fa il modello, ma da ragazzino aveva portato racchette e mazze da golf per il jet-set di Cortina, e dopo la maturità aveva fatto il garzone di bottega in uno store, pur chiamandosi Benetton. […] Eccolo giovane laureato analista alla Goldman Sachs, la casa bohémienne a Portobello Road e quella visita improvvisa del signor Luciano che cambia tutto e con grande coraggio lo introduce nel mondo della Formula 1 chiamandolo alla guida del team» (Elena Filini). «Mio padre mi disse: “Per la presidenza di Benetton Formula non prenderai una lira”. Il vero ritorno è stata l’esperienza» (a Umberto Zapelloni). «Dal 1988 al 1998 è stato presidente di Benetton Formula. Gli anni della sua presidenza sono stati quelli delle grandi vittorie in Formula 1 (26 su 27 totali della scuderia), dei due titoli mondiali piloti conquistati con Michael Schumacher nel 1994 e 1995, di quello costruttori vinto nel 1995» (Roberta Paolini). «Quando vide per la prima volta Schumacher rimase con la tazzina del caffè a metà strada tra il tavolino e la bocca. “Mi accorsi subito, come tutti, che aveva qualcosa di speciale dopo i primi giri strepitosi che aveva fatto con la Jordan a Spa. Mentre lo guardavo squillò il telefono. Era Briatore. ‘Tu parla con Ponzano’, mi disse, ‘al resto penso io’”. […] L’anima della Benetton in quegli anni era Flavio Briatore. Così diverso da Alessandro Benetton. Ma insieme costruirono qualcosa di impensabile per la Formula 1: […] “Allora si usava fare dei contratti biennali con i piloti a prescindere da tutto, anche dalle prestazioni, e siamo stati un po’ noi a richiedere un livello di attenzione e di prestazioni più alto con contratti legati ai risultati”. […] Era l’epoca in cui quelli che fabbricavano maglioni andavano più veloci di chi per mestiere fabbricava le auto, tanto che un giorno a Maranello decisero di prendersi pilota e tecnici del team avversario» (Zapelloni). «Poi il ritorno negli Usa, il master a Harvard e […] il ritorno a casa» (Filini). «“Nel gruppo sarei dovuto entrare a 25 anni, dopo il master a Harvard. All’epoca, era il 1991, Benetton aveva investito in alcune aziende sportive e io dovevo occuparmi di quello. Con Michael Porter, il mio relatore, avevo ideato un modello di business basato su uno scenario che in Italia doveva ancora verificarsi: anticipava la rivoluzione di mercato che ci sarebbe stata con l’arrivo dei grandi distributori di articoli sportivi, tipo Decathlon. Lo presentai al management e alla famiglia, ma la mia proposta di riorganizzarci in vista di quel cambiamento non fu accolta. Forse mi presero per presuntuoso, fatto sta che per me fu imbarazzante: c’era voluto coraggio per dire, così giovane, che la pensavo diversamente. Decisi che non sarei entrato in azienda, e che avrei costruito una realtà mia: nel 1992 nacque 21 Investimenti”. […] Suo padre Luciano che cosa le disse? “Una cosa tipo: ‘Tra te e il management mi fido più del management perché ha più esperienza, ma apprezzo la tua personalità e un po’ mi ci riconosco’. Da lì è iniziato per me un processo di indipendenza”» (Sara Faillaci). «Certo, ho avuto l’aiuto di tutta la mia famiglia, che in 21 ha investito. Ma da 21 ha poi anche guadagnato con ottima soddisfazione. […] Ho messo quel numero, “21”, davanti a “Investimenti” perché l’ambizione era provare ad anticipare il secolo in cui siamo oggi». «Quell’avventura, nata quando i fondi di private equity in Italia erano ancora sconosciuti, è diventata grande. “Sì. […] All’inizio dei Duemila abbiamo cambiato pelle, siamo diventati struttura pura di private, e infine siamo passati da finanziatori di Pmi a soci che nelle aziende si fanno anche carico delle scelte e si prendono la responsabilità ultima della gestione. E questo ci sta dando grandi soddisfazioni”» (Gervasutti). «Mediamente, i progetti che ho promosso hanno raddoppiato o triplicato il loro valore. […] PittaRosso o i vini Farnese, solo per citare due delle società in cui abbiamo completato il lavoro, […] erano due aziende promettenti ma poco di più. Oggi sono due brand di successo». «Nel 2012 ha fatto il vicepresidente e poi, per un anno, il presidente di Benetton Group. “Dalla vecchia gestione da parte degli azionisti si voleva arrivare a un modello manageriale, e mi hanno chiesto di gestire il passaggio. Ho accettato, con l’idea di aggiungere un’organizzazione moderna alla forza della nostra tradizione. Con i creativi di Fabrica abbiamo lanciato la campagna di Unhate, quella dei baci tra leader politici e religiosi (famoso e controverso quello tra papa Ratzinger e l’imam del Cairo, ndr), un progetto che ha riportato al centro dell’attenzione United Colors of Benetton e i messaggi sociali che ci hanno resi famosi nel mondo. Abbiamo progettato nuovi negozi che fossero più attraenti per i giovani. Ma, quando ho capito che i tempi di reazione dell’azienda non coincidevano con i miei, ho preferito chiamarmi fuori”» (Faillaci). «Sono tornato a dedicarmi a 21 Investimenti a tempo pieno. D’altronde, è come in auto: o guidi tu o è meglio non toccare il volante se guidano altri. Si rischia di disturbare il lavoro e basta» (a Pietro Senaldi). Allontanatosi ulteriormente dalle attività familiari nel novembre 2016, quando abbandonò il consiglio d’amministrazione del Gruppo Benetton, tornò a occuparsene in veste di protagonista nel gennaio 2022, quando fu nominato presidente di Edizione, in un momento particolarmente delicato: nel frattempo, una delle principali società di famiglia, Atlantia, fino al maggio 2021 proprietaria di Autostrade per l’Italia, aveva subìto un grave danno d’immagine dal crollo del viadotto sul Polcevera a Genova (il cosiddetto ponte Morandi), il 14 agosto 2018, aggravato dall’atteggiamento tenuto dagli azionisti prima e dopo la tragedia. «“È una vicenda che peserà per sempre sulla mia famiglia e non smetterò mai di rinnovare la mia vicinanza alle famiglie delle vittime. […] Avremmo dovuto subito chiedere scusa, a prescindere dal fatto che Edizione deteneva poco più del 30% di Atlantia, nel cui consiglio, composto in maggioranza da amministratori indipendenti, sedeva un solo Benetton. In quelle ore a chi mi chiedeva pareri rispondevo con una sola parola: trasparenza”. […] Chissà se anche per questo oggi lei si ritrova alla presidenza di Edizione. […] “La vita può prendere traiettorie inaspettate. Assieme ai miei cugini abbiamo accettato la sfida consapevoli di condividere una visione di discontinuità e sostenibilità. Si è trattato di ritrovarsi sui valori dei nostri padri, che hanno fondato quello che oggi dobbiamo fortificare e far vivere nel tempo”» (Manca). «Nulla di scontato nel fatto che la famiglia ritrovasse la determinazione e la coesione per giocare tante partite ambiziose. Nei due anni successivi al crollo del ponte Morandi hanno combattuto con la tentazione di smobilizzare la cassaforte, di dividersi e andare ciascuno per la propria strada. Complice anche il lavoro di ricucitura svolto dall’amministratore delegato Enrico Laghi, sono alle prese con una stagione nuova, densa di sfide. […] I capisaldi nel nuovo corso di Edizione, oltre ad Atlantia, sono Autogrill e United Colors» (Paolo Possamai). «Il 2023 di Edizione sarà un anno all’insegna del consolidamento del lavoro fatto nel 2022, dove i frutti degli investimenti fatti dovrebbero iniziare a germogliare. […] A iniziare dai 18,9 miliardi dell’opa su Atlantia» (Sara Bennewitz) • Cavaliere del lavoro dal 31 maggio 2010 • Due autobiografie all’attivo: AB. A Playlife story(Electa, 2013) e La traiettoria (Mondadori, 2022) • Tre figli – Agnese (2000), Tobias (2003) e Luce (2006) – dalla campionessa di sci alpino Deborah Compagnoni (Bormio, 1970), sposata nel 2008 e da cui si è separato nel 2020 (i figli vivono col padre). «Ho instaurato con i figli un rapporto diverso rispetto a quello dei miei genitori, con un dialogo più parallelo e meno verticale. Penso che l’autorevolezza si raggiunga anche e soprattutto attraverso l’empatia» • «Le sono stati attribuiti flirt con varie donne famose: Samantha De Grenet, Simona Ventura, Dalila Di Lazzaro, Isabel Sartorius, Angie Everhart.“Diciamo che fino ai miei 35 anni non mi sono fatto mancare niente. Ma era un’altra epoca, potevi fare baldoria nei locali e nessuno ti riconosceva. Il massimo poi era conquistare una donna senza che sapesse chi ero”. […] In America è stato fidanzato anche con Carolyn Bessette, prima che sposasse John Kennedy jr. […] Ha mai pensato di fare le cose sul serio con lei? “Sinceramente no. Avevo 26 anni, ero in quel momento magico in cui tutto il mondo ti si schiude davanti. Finì, senza traumi, quando tornai in Italia”» (Faillaci) • «La prima cosa che colpisce, della casa di Alessandro Benetton, è che non sembra una casa. L’architetto giapponese Tadao Ando l’ha nascosta dentro un giardino appena fuori Ponzano Veneto e “smontata” in blocchi di vetro e cemento collegati da passerelle sospese che la fanno somigliare più a un museo che a una villa abitata da una famiglia. […] Le opere di cui è disseminata – Fontana, Warhol, Murakami, Hirst – non fanno che confermare l’impressione. […] Questa casa è un museo: da dove nasce la passione per l’arte? “Molti anni fa, seduta accanto a me in aereo, una signora molto bella leggeva un libro che aveva in copertina un ‘taglio’ di Fontana. Le chiesi, un po’ spavaldo: ‘Siamo sicuri che questa sia arte?’. Lei iniziò a spiegarmi che cosa rappresentano le tele di Fontana, l’idea dell’uomo che va oltre il conosciuto. Il suo entusiasmo mi contagiò. Ma, quello che intendeva, l’ho capito davvero solo quando ho appeso un Fontana in salotto: era tutto bianco, con un unico taglio al centro, ma riempiva la stanza completamente”» (Faillaci) • «Io sono sempre stato molto legato al territorio: con i miei fratelli andavamo a scuola in bicicletta» • «Alessandro è assai selettivo nelle frequentazioni e piuttosto incline a trascorrere in famiglia il tempo libero (legge libri, ama i film dei maestri del cinema italiano, colleziona arte contemporanea)» (Possamai). Tra i suoi amici Marina Berlusconi, spesso anche sua socia, e John Elkann, padrino del secondogenito Tobias • «Meglio i vituperati anni Ottanta dei celebrati anni Sessanta» • Grande passione per lo sport (sci, kitesurf, wakesurf, surf) • Ha un profilo Instagram. «Anche questo è accettare le sfide del futuro» (a Gabriele De Stefani) • «Immarcescibile look New England, frutto della gioventù trascorsa a Boston e dell’amore per i mercatini e il vintage» (Filini) • «Io non butto via niente, l’usa e getta non fa per me. Indumenti, foto, ricordi» • «Fascinoso. […] Uno sguardo verde alquanto timido» (Mariella Boerci). «Alessandro si definisce impaziente: “È la mia qualità e il mio difetto”» (Emanuela Audisio). «Dietro il sorriso morbido, è un tosto che cura i suoi interessi anche con una certa spietatezza» (Latella) • «Grande fan del pensiero laterale, Alessandro Benetton pensa che sia produttivo non separare rigidamente lavoro, sport, passioni. “Al contrario, l’osmosi serve: spesso applico quello che ho appreso in un campo da tutt’altra parte”» (Agnese). «L’uomo, l’imprenditore, il surfer e il padre si rincorrono e si contaminano» • «A proposito di maestri, Alessandro ne mette in fila parecchi (“ma poi ciascuno di noi in autonomia deve saper trovare la propria strada”). In testa a tutti pone suo padre Luciano, poi aggiunge Michael Porter (conosciuto a Harvard durante gli studi universitari), Armand Hammer (capace di commerciare con l’Unione Sovietica, quando imperava il comunismo), Henry Kissinger» (Possamai) • «Mio padre mi ha insegnato moltissimo: d’altronde, uno dei suoi mantra è sempre stato “Impara a percorrere la tua strada da solo”, e così ho voluto fare. Non mi ha mai fatto nessuno sconto e mi ha insegnato che bisogna arrangiarsi nella vita. Non posso perciò che essergli grato» • «Ho visto figli incapaci, ma anche padri che non sanno insegnare, o che non sanno individuare i veri talenti dei figli. Il mio, fortunatamente, mi ha cresciuto con grande severità e disciplina, ma lasciandomi sempre libero di fare quello che mi piaceva». «A dettare le regole è un “dettaglio”: il cambiamento, non lo puoi rifiutare. O lo governi, e possibilmente lo anticipi, o ci sarà comunque. Senza di te» • «Una delle sue citazioni preferite è di Seneca: “Nessun vento è favorevole per il marinaio che non sa a quale porto vuol approdare”» (Paolini) • «Nel mondo è cambiato tutto. Una cosa, per me, è rimasta sempre la stessa: la voglia di fare l’imprenditore».