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 2023  marzo 13 Lunedì calendario

Biografia di Billy Crystal (William Edward Crystal)

Billy Crystal (William Edward Crystal), nato a New York (New York, Stati Uniti) il 14 marzo 1948 (75 anni). Comico. Attore. Regista. Presentatore. «È un lavoro strano. Come trovi ciò che farà avere a tutti questa strana reazione nei loro corpi, questa risposta che è in qualche modo chimica e fisica allo stesso tempo, questo rumore ed emozione che cambia il modo in cui ti siedi? Una risata è un suono bizzarro, e quando ci sono un paio di migliaia di persone che lo fanno contemporaneamente è davvero strano. Ma quando posso sentirmi orgoglioso di me stesso per averlo provocato è fantastico» (a Oprah Winfrey) • Famiglia ebraica con ascendenze austriache, russe e lituane. «“Hai presente come dicono certi bambini quando si arrabbiano? ‘Non ti ho chiesto io di fami nascere’. Be’, tu l’hai chiesto eccome”, mi diceva sempre mia madre. “I tuoi fratelli ci hanno messo ore, a venire fuori: tu no. Mezz’ora, una favola. Verso l’ottavo mese hai cominciato a scalciare così forte che mi sembrava di sentirti dire: ‘Andiamo, ti sto rompendo le acque!’”. Arrivai al Doctors Hospital di Manhattan, che si affacciava su Gracie Mansion e sull’East River, il 14 marzo 1948, alle 7.36 del mattino. Sono il più giovane dei tre figli di Jack e Helen. […] Vivevamo in Davidson Avenue, nel Bronx, finché il richiamo della periferia non sedusse i miei genitori, che sognavano una casa con un pratino grande come un toupet. I miei seguirono i nonni, che ne avevano sempre una e il cui dottore aveva detto loro che l’aria salmastra di una graziosa e pittoresca cittadina di mare come Long Beach avrebbe fatto miracoli. […] Mia nonna, Susie Gabler, era un donnone di origini russe, pesava più di novanta chili. Invece mio nonno, Julius, era un austriaco minuto e irascibile. […] La nonna, che amava ridere, era la forza motrice della famiglia. […] A me ha inculcato il timore di Dio, nel vero senso della parola. Se uno di noi faceva qualcosa che secondo lei era sbagliato, ci diceva: “Il Signore ti punirà”. Una volta, avrò avuto sei anni, mi disse di non saltare. Io saltai lo stesso e caddi, e lei sentenziò: “Vedi, il Signore ti ha punito”. Terrificante. Il nonno era rallentato dall’artrite e dalla burberite. Noi due ci capivamo. Lui aveva un sacco di dolori e io ero incazzato perché ero basso». «Mio nonno, immigrato russo a New York, recitava e adattava Shakespeare in yiddish, mio zio ha lanciato Bill Haley e i Comets» (a Giovanna Grassi). «La mia infanzia è stata bellissima. Mio padre gestiva un famoso negozio di musica a New York, il Commodore Music Shop, che una volta era di mio nonno e dei suoi figli Milt e Danny. Milt aveva trasformato quel posto da negozio di ferramenta in un centro jazz dopo essersi sbarazzato delle lampadine e delle scope che il nonno andava a vendere in giro. Aveva fondato la Commodore Records, all’epoca la prima etichetta jazz indipendente, e aveva cominciato a vendere dischi di buon jazz prodotti da lui stesso. Quando Milt lasciò per diventare dirigente della Decca Records, mio padre prese il suo posto e divenne il punto di riferimento per gli appassionati di jazz. Nei weekend organizzava anche concerti jazz in un posto chiamato Central Plaza, nella Seconda Avenue a Manhattan. Papà ci convertì tutti al jazz, e le più grandi star del genere erano amici di famiglia». «Crystal e suo padre passavano la maggior parte delle domeniche insieme a guardare le partite di baseball. […] “Oltre a insegnarmi l’amore per la commedia, l’amore per la lettura, l’amore per il baseball, mi ha anche insegnato a fare la cosa giusta. Mio padre coi suoi modi tranquilli era un gigante dei diritti civili, in quanto è stato uno dei primi promotori a integrare gruppi jazz. Quindi la casa, sì, era piena di parenti ebrei con le loro storie, ma seduto accanto a loro c’era Zutty Singleton, che era un grande batterista jazz, o Tyree Glenn, che era il trombonista di Louie Armstrong, o uno qualsiasi di questi altri grandi musicisti. Erano tutti semplicemente amici. L’etichetta della mia famiglia, la Commodore Records, ha prodotto Strange Fruit, l’epica canzone di Billie Holiday sul linciaggio. Ci è voluta una famiglia ebrea per produrre quel disco, per scrivere quella canzone”» (a Cindy Sher). «Il mio primo film, Il cavaliere della valle solitaria, l’ho visto seduto sulle ginocchia di Billie Holiday» (a Silvia Bizio). «Fu sempre papà ad accorgersi di quanto mi piacesse fare battute. Era lui che mi faceva stare in piedi fino a tardi per guardare i grandi comici degli anni Cinquanta in tv, anche se il giorno dopo c’era scuola. Ed era lui che portava a casa i dischi degli spettacoli, in modo che potessi ascoltarli e imparare. Non c’era nessuno che amassi far ridere più di mia madre e mio padre. […] I miei fratelli e io recitavamo qualche scenetta per i parenti, di solito imparando a memoria degli sketch che avevamo visto allo Steve Allen Show o nel geniale programma dell’attore comico Ernie Kovacs. […] Non vedevo l’ora che il salotto si riempisse di parenti per salire sul tavolino e imitarli. […] Nelle recite scolastiche facevo impazzire i miei compagni di classe perché cambiavo il copione e improvvisavo, se mi veniva in mente qualcosa di divertente. Non ero il classico pagliaccio della classe, però mi piaceva essere al centro dell’attenzione. Immagino sia un desiderio naturale, quando hai due fratelli maggiori con una forte personalità. Ma avevo anche altri interessi. Fu dietro le quinte di una recita in terza elementare che non solo detti il mio primo bacio, ma ebbi anche la mia prima erezione. Sapevo che quello che stavo facendo era sbagliato, e questo rendeva tutto ancora più eccitante. Ero spaventato e confuso da quello che mi stava succedendo dentro i pantaloni. Poi pensai: “Oh no! Forse è Dio che mi fa irrigidire per punizione?”. Al che presi un appunto mentale per il futuro: “Le prossime volte che ti viene un’erezione, non pensare alla nonna”. […] La scuola media fu un disastro. […] In realtà ero piuttosto concentrato, ma sui miei organi genitali, e anche quello divenne uno dei miei hobby. Una volta capito che non era Dio a farmi indurire, fui a cavallo. Così, mentre le erezioni aumentavano i voti peggioravano, l’autostima diminuiva e io arrancavo. […] Mi abituai a essere uno studente da sufficienza risicata. Quando iniziai le superiori pensavo solo a giocare a baseball e a esibirmi. E alle tette, certo. Del resto, era la pubertà». Risale ad allora la sua grande passione per Sophia Loren: «La sua immagine in reggicalze nel film Ieri, oggi, domani era appesa di fronte al mio letto di ragazzo ebreo figlio di emigranti russi». «La svolta arrivò […] quando recitai un monologo comico al varietà della scuola, lo Swing Show. Il mio primo, grande pubblico contava almeno un migliaio di persone. Riscrissi un pezzo tratto da uno spettacolo di Jonathan Winters, che all’epoca era il mio attore preferito. […] Avevo quattordici anni ed ero al secondo anno, e non pensavo che fosse plagio. Semplicemente, lo portai in scena parola per parola davanti al pubblico. Lo recitai alla perfezione, e stese tutti. Be’, per forza: la materia prima era di Winters! Papà era lì, e averlo visto sorridere dalla platea è qualcosa che non dimenticherò mai, anche perché è stata l’unica volta che è successo. Morì improvvisamente l’autunno successivo, e la mia infanzia subì una brusca battuta d’arresto. Da allora non mi sono mai più sentito giovane. La sera della sua morte avevamo litigato. La mia prima ragazza mi aveva scaricato ed ero giù di morale. Papà era deluso di me, io gli risposi in malo modo e quella fu la nostra ultima conversazione. Pensai di essere in qualche modo responsabile della sua morte: un fardello enorme da sopportare. Terminai il terzo anno delle superiori a fatica». «Avevo 15 anni e mi era capitata una brutta mano. Non puoi fare a meno di essere arrabbiato, e io ero arrabbiato e dovetti imparare a conviverci, e a occuparmi di mia madre, che era rimasta improvvisamente vedova ed era stata costretta a tornare a lavorare. Essere tornato a casa da solo con lei, mentre i miei fratelli erano all’università, mi fece crescere molto velocemente. Ammiravo la sua forza: all’età di 50 anni era tornata improvvisamente a lavorare. Tre figli a scuola, e ci siamo tutti laureati grazie a lei». Nel frattempo aveva già ricevuto le prime lezioni di recitazione, da William Hickey: «È stato il mio paziente professore di recitazione quando, figlio di un uomo malato di cuore, […] io prendevo spunto per le mie scenette comiche dai membri della famiglia». Approfondì poi la materia all’università. «“Sono andato al Nassau Community College e ho preso ‘Acting 101’. Me ne sono innamorato. Ho diretto lì per la prima volta. E facevo i miei filmini casalinghi su un Super 8. Ho fatto domanda alla New York University e sono entrato nel programma cinematografico. C’erano solo 30 o 40 studenti, ma c’erano Oliver Stone, Chris Guest, Michael McKean… E il mio professore di produzione cinematografica era Marty Scorsese. Era terrificante. Stava dietro di te alla moviola dicendo: ‘Perché hai fatto così? Perché non usi un campo lungo? Howard Hawks avrebbe usato un campo lungo’. E io: ‘Howard Hawks? Ho 18 anni’”. E dopo il college hai iniziato a esibirti in un gruppo? “Un gruppo di tre persone: con due dei miei grandi amici del Nassau Community College. Ci chiamavamo ‘3’s Company’ e siamo stati insieme quattro anni”» (Dan Pasternack). «Nel 1970 sposò Janice Goldfinger, e tre anni dopo era il Signor Mammo, che si prendeva cura di sua figlia e la portava con sé persino quando si esibiva nel locale di improvvisazione di New York “Catch a Rising Star”» (Winfrey). «Io non sono diventato un hippie perché allora vestivo yuppie e gli stracci di moda non mi piacevano proprio. Durante la guerra […] recitavo con amici nello scalcinato gruppo 3’s Company». «Una volta stavamo facendo un’audizione per Ed Sommerfeld, l’agente degli Sha Na Na. Dice: “Ragazzi, siete davvero divertenti. È appena entrato Buddy Morra, il manager di Robert Klein. Posso portarlo a trovarvi? Ed è con Jack Rollins e Charlie Joffe. Vi dispiace?”. E noi, allora: “Certo che no”. Erano i migliori organizzatori di spettacoli comici della città. Il giorno dopo ricevetti una telefonata da Buddy che diceva: “Hai mai pensato di diventare uno stand-up? Pensiamo che potresti farcela”. E più o meno in quel periodo ricevetti anche una telefonata da un mio amico della New York University: “Conosci un comico che potrebbe fare 15 minuti per una festa alla casa della confraternita ZBT in Mercer Street?”. Stavo dando da mangiare a mia figlia e dissi: “Certo, lo farò io”. E lui: “Quando hai iniziato a fare stand-up?”. “Oh, lo faccio da un po’”. Stavo sparando un mucchio di stronzate mentre pulivo la farina d’avena dalla faccia di mia figlia, perché in quel periodo facevo il casalingo. Mi prendevo cura di Jenny mentre Janice lavorava. Quindi andai a fare questa serata alla casa della confraternita, e vennero Buddy e Jack Rollins. Finii per fare più di un’ora di stand-up. Buddy e Jack mi guardarono e dissero: “Lo spettacolo fa schifo, ma andiamo a lavorare”» (Pasternack). Proseguì quindi il suo lungo apprendistato nei locali di New York, affinando la sua comicità. «La politica entra nelle mie battute […] sin dai tempi in cui facevo il cabaret e il mio personaggio di battaglia era Willie detto il masochista, mentre la mia imitazione più applaudita era quella di Sammy Davis Jr.». Nella seconda metà degli anni Settanta l’esordio in televisione, con la serie della Abc Bolle di sapone (1977-1981), in cui interpretava uno dei primi personaggi apertamente omosessuali, e al cinema, con Rabbit Test di Joan Rivers (1978), nel bizzarro ruolo di un uomo incinto. Dopo alcune apprezzate esibizioni comiche sulla Hbo, fu poi arruolato nella squadra del Saturday Night Live, sulla Nbc, dove rimase per la sola stagione 1984/1985, ottenendo però grande popolarità. «È stata solo una stagione. E da lì sono nati tutti i film. Sono stato fortunato. […] Sapevo anche che avevo 37 anni e che non stavo ottenendo parti cinematografiche. Non avevo visibilità. […] Ero pronto a tutto». «Il Saturday Night costringe gli attori che vi partecipano a imparare a lavorare in fretta, a esercitare inventiva e creatività. “Sei costretto a lavorare e a recitare d’istinto, senza pensare troppo, a scriverti le cose che dici spesso all’ultimo minuto, perché c’è pochissimo tempo per le prove e la scaletta del programma diventa definitiva solo poco prima dell’andata in onda”. Le “specialità” per le quali Crystal si è affermato allo show del sabato sera sono state le imitazioni di personaggi famosi, in particolare neri. “Ho preso in giro Sammy Davis, Tina Turner, Grace Jones. Ma nessuno si è offeso, perché non ho addosso nessuna forma di razzismo. […] Sono cresciuto in mezzo ai grandi del jazz. Per cui, se sfotto, so farlo dall’interno, con un affetto e un rispetto che tutti sentono”» (Maria Pia Fusco). «Crystal, […] come John Belushi, Dan Aykroyd, Chevy Chase ed Eddie Murphy, è schizzato dalla fucina del Saturday Night Live al grande schermo» (Valeria Fortini). «In pochi anni diviene un attore tra i più versatili di Hollywood, riscuotendo notevole successo di critica e pubblico come protagonista di film quali il divertente Harry, ti presento Sally… (1989) di R. Reiner, accanto a M. Ryan, i brillanti semi-western Scappo dalla città. La vita, l’amore e le vacche (1991) di R. Underwood e Scappo dalla città 2 (1994) di P. Weiland, il romantico Forget Paris (1995), di cui è anche regista, il surreale Harry a pezzi (1997) di W. Allen, l’esilarante Terapia e pallottole (1999) di H. Ramis con R. De Niro e il sequel Un boss sotto stress (2002)» (Gianni Canova). A consacrarne la fama a livello internazionale fu però Harry, ti presento Sally…, «film del 1989 di Rob Reiner scritto dalla grandissima Nora Ephron, classicone dell’educazione sentimentale globale, anno zero della commedia romantica moderna. “Quel ruolo mi ha cambiato la carriera. In Harry, il mio personaggio, si sono riconosciuti moltissimi spettatori”» (Emanuela Griglié). «Harry, ti presento Sally […] gli valse un Globo d’oro e fece innamorare di lui le ragazze di mezzo mondo, affascinate da quel suo sguardo dolce e un po’ melanconico, dal suo modo di fare impacciato e gentile» (Giuseppina Manin). «Il visto censorio fu severo, ma egualmente la pellicola incassò una cifra molto alta: quasi cento milioni di dollari… “E non certo soltanto per la scena della simulazione del piacere: piacquero il ritratto di un’America vicina e lontana e la capacità dei due personaggi di nascondersi a vicenda e non spogliarsi di tutto l’uno di fronte all’altro o, come spesso ormai si ascolta in qualche commedia, dire battute troppo spinte. Ancora oggi ringrazio l’amico-regista Rob Reiner per il suo stile e il suo gusto”» (Grassi). Grande successo anche come maestro di cerimonie della serata degli Oscar, che ha presentato ben nove volte, tra il 1990 e il 2012. «Il celebre attore […] è solito parodiare i film candidati durante il suo monologo d’apertura. L’anno in cui Il silenzio degli innocenti vinse (’92), Crystal si presentò in scena con la museruola di ferro e la camicia di forza di Hannibal Lecter (“Vieni da me stasera? Ho un amico per cena”, sussurrò a Anthony Hopkins, seduto in prima fila)» (Bizio). «La televisione ha ucciso il vaudeville e io, invece, nella notte degli Oscar lo rilancio». Negli ultimi anni, oltre che al cinema – nel 2021 ha diretto e interpretato Stai con me oggi?, commedia su un autore televisivo alle prese con la demenza – e alla televisione, si è dedicato intensamente al teatro, ottenendo un Tony Award grazie al monologo comico autobiografico 700 Sundays. «Mio padre aveva due, a volte tre lavori. […] Quindi il nostro unico giorno insieme era la domenica. Un giorno ho capito la matematica e mi sono reso conto che, a partire da quando avevo memoria, erano state circa 700 le domeniche trascorse insieme: giorni che mi hanno plasmato e spinto nella strada giusta per quello che ho scelto di fare» • Qualche libro all’attivo, tra cui la brillante autobiografia Dove sono stato, dove sto andando e dove diavolo ho lasciato le chiavi? (Sperling & Kupfer, 2014) • Due figlie da Janice Goldfinger, sua moglie dal 1970. «Il nostro segreto è che continuiamo a ridere, continuiamo a parlare e continuiamo ad amare» • «Attore progressista, dai modi più newyorkesi che californiani, vive a Los Angeles. Chissà perché» (Fortini) • Grande appassionato di baseball (New York Yankees) e di pallacanestro (Los Angeles Clippers). «L’unica cosa che Crystal abbia mai aspirato a fare tanto quanto la commedia era giocare a baseball per i suoi amati New York Yankees: infatti, dice che il momento clou della sua lunga carriera è arrivato nel 2008, quando ha firmato un contratto di un giorno con la squadra in occasione del suo sessantesimo compleanno» (Sher) • «Faccia da gnomo» (Grassi). «Faccino da cetriolo (cetriolo peloso, quando si fa crescere la barba)» (Gian Luca Favetto). «Ormai molto simile a una di quelle palle di vetro con dentro la neve» (Annalena Benini, commentando un ritocco estetico poco riuscito) • «Grande mattatore» (Bizio). «Attore tra i più brillanti della generazione di mezzo americana. […] Entertainer perfetto, una grande capacità d’improvvisare» (Manin). «Un divo gentile e riflessivo. […] Grande osservatore della realtà» (Fulvia Caprara) • «Il mio mito, con tutto il rispetto, è Woody Allen» • «Oltre ad aver firmato un contratto di un giorno con i New York Yankees, qual è un altro dei tuoi traguardi professionali di cui vai più orgoglioso? “Sono stato il primo comico americano a esibirsi in Unione Sovietica nel 1989 in uno speciale della Hbo intitolato Midnight Train to Moscow. […] Esibirmi lì ed essere un ambasciatore, se vuoi, dell’umorismo americano in quel Paese è qualcosa a cui ripenso con grande orgoglio”» (Sher) • «Rimpianti? “Oh no, non ci credo: fanno solo soffrire. Sono così felice di quello che ho”» (Griglié).