24 marzo 2023
Tags : Alessandro Piperno
Biografia di Alessandro Piperno
Alessandro Piperno, nato a Roma il 25 marzo 1972 (51 anni). Scrittore. Francesista. Vincitore del premio Strega 2012 con Inseparabili. Il fuoco amico dei ricordi (Mondadori, 2012). «La letteratura è una cosa inutile che va trattata con serietà religiosa. Non vedo perché uno scrittore dovrebbe addossarsi responsabilità sociali. La sola divinità a cui è chiamato a rispondere è lo stile» (a Paolo Di Stefano) • «Ho una famiglia ebraica da parte di padre, ma mia madre è cattolica. Sono un bastardo, non mi sono mai sentito assimilato» (a Raffaella De Santis). «“Ho sempre avuto a che fare con figure forti e tracotanti”. A chi ti riferisci? “Ai miei nonni, a mio padre, perfino a mio fratello. Li ho sempre percepiti come personalità straripanti, piene di appetiti, di carisma sessuale. Tutte cose di cui ero sprovvisto. Al punto che come reazione è cresciuta in me una certa dose di risentimento”. Ti è servita per dar vita ai personaggi dei tuoi romanzi? “Penso di sì. La figura per esempio del nonno paterno ha ispirato alcuni miei protagonisti: dalla figura di Daniel Sonnino di Con le peggiori intenzioni fino allo zio Gianni che racconto e descrivo nel mio ultimo romanzo Di chi è la colpa”. Chi era questo tuo nonno? “Ebreo italiano, nato nel 1920, completamente traviato dalla retorica fascista. In seguito si sarebbe ricreduto, ma negli anni del fascismo era stato, come tanti altri, balilla e avanguardista. Continuò anche dopo a mostrare un vero culto del proprio corpo, una specie di fanatismo fisico che lo induceva a girare tranquillamente nudo per casa. Per un ragazzo come me, introverso e pudico per giunta testimone di tanta esibita virilità, era un problema. Il nonno dava di sé un’idea marziale mista alla volgarità del bon vivant”» (Antonio Gnoli). «Quando mi guardo indietro […] ciò che vedo è il profilo di un personaggio minore, un ragazzino talmente trascurabile che il suo nome ci metteva più del dovuto, a imprimersi nella mente degli altri. Ricordo poco di lui (riposi in pace), se non che aveva un’attitudine naturale alla fantasticheria ed era sprovvisto di ogni spirito di iniziativa. Ho fatto di tutto per trovargli una professione solipsista e sedentaria» (a Maria Borio). «Mai stato un secchione». «La scuola è un posto spaventoso, da abolire. […] Se un genio della lampada mi offrisse l’opportunità di ricominciare da capo, tornare ragazzo, gli direi di non rompere e di togliersi dai piedi. Meglio morire che ricominciare». «Dove sei andato al liceo? “Al Nazareno, in centro. […] La scuola dei bocciati”. E perché sei andato là? “Era l’unica scuola cattolica che era disposta a prendere un mezzo ebreo”. […] “Io non stavo bene psichicamente. […] Ero molto infelice, ipocondriaco, non dormivo la notte, mi auscultavo continuamente per sentire malattie. Non riuscivo ad andare a letto. Tra le altre cose, […] mi ricordo che non riuscivo a andare a letto se mio fratello non tornava. Ricordo che una volta rimasi sveglio ad aspettarlo… mio fratello come tutti i diciannovenni con patente nuova di zecca tornava alle cinque di mattina… io ne avrò avuti sedici”» (Francesco Pacifico). «Avevo 17 anni quando per il compleanno regalai a mio fratello un libro sui medici nazisti e i loro abominevoli esperimenti. Quel gesto inaugurò un lungo periodo di ossessione per cui leggevo qualunque cosa fosse stata pubblicata sul genocidio ebraico». «Quanto ha preso alla maturità? “Sono uscito con 56: bene nel tema, malissimo nel compito di greco”» (Alessandro Ferrucci). Iscrittosi dapprima alla facoltà di Storia dell’arte a Pisa, si laureò poi in Letteratura francese a Roma. «A Pisa avevo dato tutti gli esami. Ma venni a sapere che c’era un proustiano a Tor Vergata e mi trasferii per laurearmi con lui: Enrico Guaraldo, un allievo di Giovanni Macchia» (a Ilaria Gaspari). Piperno lo ha definito il suo mentore: «Era il professore con cui mi laureai e che mi introdusse all’università. Insegnava ai suoi allievi a stare con il naso (così diceva) attaccato alle parole (già, come un segugio). Era un connaisseur impareggiabile. Ricordo ancora una lezione sul mancato duello ne L’educazione sentimentale: nessuno mi aveva mai parlato di libri in quel modo, nessuno lo avrebbe più fatto». Scrisse «una tesi sul mondo ebraico nella Recherche, e poi è diventata il mio primo libro. Gli studi storico-artistici, naturalmente, erano in qualche modo implicati anche in questo lavoro». La sviluppò poi nel suo primo saggio, Proust antiebreo (Angeli, 2000). «Oggi più sobriamente direi che una delle chiavi per leggere la Recherche è quella ebraica. […] Quella prima lettura di Proust era fin troppo forzata. Ma non la cancellerei del tutto. Salverei la convinzione che Marcel abbia vissuto la propria appartenenza al mondo ebraico in modo controverso». Già nel 1997, però, aveva avuto il suo esordio letterario tra le pagine di Nuovi Argomenti, col racconto I cognomi di città. «Ero poco più che un ragazzo e fu una gran bella soddisfazione. […] Considero Siciliano un mentore prezioso. Era un uomo fragile, generoso, curioso e coltissimo. Senza di lui, i miei inizi sarebbero stati decisamente più complicati» (a Elio Grasso). «“Ho avuto una lunga esperienza di analisi con un freudiano di ferro che mi infliggeva quattro sedute alla settimana. Prima di sentirlo parlare attesi due anni”. […] Con quali aspettative sei uscito da quell’analisi? “Con la convinzione che l’unica analisi possibile per me fosse la scrittura. Penso che Con le peggiori intenzioni sia il frutto di quel momento”» (Gnoli). «Già prima dell’esordio, Alessandro Piperno viene annunciato come un nuovo Philip Roth, e il suo libro presentato come un autobiografico Lamento di Portnoy. Ma Le peggiori intenzioni (Mondadori, 2005) descrive il mondo degli ebrei romani: Daniel Sonnino è un ebreo da parte paterna e cattolico da parte materna, e scrive un saggio sugli ebrei antisemiti. I personaggi del romanzo sono bugiardi, irresponsabili, megalomani, senza freni. L’esordio è un terremoto. È considerato un giovane scrittore “furiosamente battagliero e iconoclasta”, il romanzo è percepito come “veemente e spericolato”, quando non irritante, a causa delle molte frasi a effetto. Vende 80 mila copie in quindici giorni. Diventa presto il caso letterario dell’anno. Oltre all’antisemitismo, nelle pagine si raccontano vite lussuose, e il sesso e le paure legate al sesso. Il libro è spietato, cinico, rovente, sembra spinto dalla stessa rabbia del protagonista. Dario Olivero scrive su Repubblica che la ricerca dell’origine dell’inquietudine e del senso di inadeguatezza è il vero motivo per cui si scrive: “Così nasce la letteratura. Da Roth a Bellow a Piperno”. Non passa molto tempo prima che esca addirittura il nome di Proust. Piperno, un Proust italiano. Critica e pubblico si spaccano in due. Piperno è amato, Piperno è odiato”» (Francesco Longo). «“Con le peggiori intenzioni non fu accolto benissimo nell’ambiente familiare. Il refrain che continuamente mi veniva sbattuto in faccia era: ‘Come hai potuto farci questo!’. Ero il reprobo che veniva giudicato e condannato. Ero l’ingrato, quello che faceva comunella con l’intellighenzia antisemita”. Questa famiglia non aveva il diritto di reagire, visto che ne scoprivi pubblicamente tutte le debolezze? “Più che debolezze, raccontavo in che modo quel mondo mi stava schiacciando”» (Gnoli). «Con le peggiori intenzioni vende più di 200 mila copie. Piperno è un fenomeno. Tutti aspettano la sua seconda prova. […] Persecuzione esce nell’ottobre 2010. È la prima parte di un dittico che comprenderà Inseparabili (del 2012). Riuniti sotto il nome Il fuoco amico dei ricordi, i due volumi sono la consacrazione di uno dei migliori scrittori italiani. Raccontano la storia di una famiglia di ebrei romani, i Pontecorvo. Il padre, Leo Pontecorvo, viene accusato di pedofilia. I personaggi dei due libri sono raccontati nelle loro meschinità, nelle loro contraddizioni, nei loro dolori. Più aspirano alla felicità, più soffrono. Il mondo è ancora quello altoborghese. […] Rispetto a Con le peggiori intenzioni, la scrittura è meno iperbolica, il tono decisamente meno velenoso e l’autore appare sedotto dalla debolezza dei suoi personaggi più che dall’istinto di giudicarli. La cattiveria è stemperata dalla consapevolezza delle fragilità umane. […] Con il secondo volume Piperno vince il premio Strega» (Longo). Nel 2016 fu la volta di «un libro diverso, spiazzante. Dove la storia finisce (Mondadori) è un romanzo d’amore dall’andamento lento, senza livore, senza iperboli, dove una moglie aspetta 16 anni il ritorno dell’uomo che ama, mentre vanno in scena dissidi e riappacificazioni come in una commedia degli equivoci, in cui tutti fingono di desiderare ciò che non possono avere. Intorno si muove Roma e il demi-monde slabbrato della borghesia capitolina, ebrei, cattolici, comunisti. […] “Sentivo il rischio di trasformarmi in una parodia di me stesso. […] Ho capito di amare nei libri la tenerezza. Mi conquista l’indulgenza. […] Ero stanco anche delle mie solite ipotassi, dei miei aggettivi. […] Togliere dà un senso di euforia iconoclasta. Volevo scrivere un libro onesto, più tenero”» (De Santis). Nel 2021 uscì, ancora presso Mondadori, Di chi è la colpa. «Una vicenda che potremmo definire di formazione, in cui un giovanissimo protagonista senza nome si trova ad affrontare drammi intimi che si propagano nei suoi rapporti con il mondo, nelle sue scelte di vita e nella sua percezione dell’altro e di se stesso. Una vicenda familiare di verità nascoste, di astio mai davvero sopito, di attrazione e repulsione, di ripiegamento interiore. […] Piperno, da dove nasce Di chi è la colpa? “Nasce dall’interazione fra il desiderio di offrire la mia versione di romanzo vittoriano, con tanto di peripezie drammatiche e spettacolari, e la necessità di dare forma narrativa a un paio di temi che mi dominano da che ho memoria: l’impostura e la colpa”» (Matilde Quarti). «Tra le pagine c’è senso di colpa, eros, soldi, ambizione, frustrazione, bugie, borghesia, borghesia decadente, cultura ebraica, Roma, morte e il benedetto stile. È il milieu piperniano, come spiega lui. Quel milieu che, […] oltre che ai suoi romanzi, alla cattedra in Letteratura francese (è uno dei pochi realmente esperto di Proust), ai suoi articoli sul Corriere (“Ho una vita culturale intensa”), verrà trasmesso anche alla scuola di scrittura Molly Bloom, insieme ad altri suoi colleghi» (Ferrucci). Nel frattempo, oltre a insegnare – e a dirigere, dal novembre 2020, la collana «I Meridiani» Mondadori –, Piperno ha continuato a pubblicare anche saggi, tra cui Il demone reazionario (Gaffi, 2007), Il manifesto del libero lettore (Mondadori, 2017) e, da ultimo, Proust senza tempo (Mondadori, 2022). «Perché hai sentito il bisogno di aggiungere un nuovo libro su Proust? “In realtà ho scritto un libro sui proustiani. Potrei aggiungere che racconto di me, attraverso Proust”. […] “Sto lavorando al nuovo romanzo, che è il sequel di Di chi è la colpa”» (Gnoli) • Celibe. «Ho un rapporto irrisolto con l’altro sesso, in bilico tra idolatria e diffidenza». «Ho capito perché non ho mai voluto figli. È che non auguro l’infanzia a nessuno, figurarsi a un figlio» (ad Annalena Benini) • «Non ho un buon rapporto col sesso, è una cosa che continua ad angosciarmi» • «La scrittura è la sola forma di vita e di eros che conosco: per il resto, la mia esistenza è tendente al mediocre, come quasi tutti» • «Non mi piace discutere, detesto litigare» • «“L’invidia è uno dei miei temi letterari, un sentimento che tengo a investigare. Che conosco. E provo”. Cosa la scatena? “Una Ferrari, la giovinezza, la bellezza, l’eleganza, il denaro, uno scudetto. Tutto”. Sempre stato invidioso? “Con il tempo ho trovato il modo di esorcizzarla, di conviverci, di prenderne le distanze, e soprattutto ho imparato a convertire l’invidia in ammirazione”» (Ferrucci) • «Mi piace sempre citare il grande poeta russo Iosif Brodskij: “La politica è al livello più basso della vita spirituale”. Nel senso che sollecita gli impulsi più elementari e corrivi della nostra interiorità. Anche per questo me ne sono sempre tenuto doverosamente alla larga. […] Ravviso una relazione sinistra tra l’oltranzismo del politicamente corretto e il trumpismo. Sebbene antitetiche, si tratta di dottrine violente, settarie, prive di ironia e di misericordia» (a Massimo Vincenzi) • «Mi piace leggere, mi piace scrivere, andare al cinema, guardare la televisione, mi piace la Lazio, mi piace vivere e mi piace spiare la vita degli altri» • «Il primo (raramente il secondo) aspetto che colpisce di Alessandro Piperno è il suo abbigliamento ricercato. Viene definito gagà, dandy, english style, damerino» (Ferrucci). Pacifico parla di «completi da Sherlock Holmes», ognuno dei quali «comprende sempre una pipa, una giacca comoda, degli occhiali, e colori da cucina inglese» • «Sono un impenitente vizioso collezionista di epifanie di felicità. […] Le scovo nei libri, nei film, ovunque tranne che nella mia vita» • «La verità è che io detesto la vita borghese: preferirei uno stile bohémien, ma mi do confini estremamente borghesi e svolgo un lavoro borghese. Non sono sposato, non ho figli, non ho desiderio di possedere alcunché, se fosse economicamente sensato io vivrei in albergo: il mio ideale di felicità è quello, ma non arrivo mai a fare il tipo di vita che vorrei. Se fosse per me, mollerei l’università domani mattina, ma non lo faccio perché ho bisogno di un aspetto borghese che mi rassicuri: ho paura di finire un giorno sotto i ponti. Non mi piace insegnare, se non dovessi farlo non lo farei, non ho fatto mai l’abilitazione, non voglio fare carriera, rimarrò ricercatore a vita, professore di terza fascia. La mia è una vita di rimessa». «Ho sempre convissuto con una forte sensazione di mediocrità» • «“Per me l’ebraismo è un’ossessione, ma è l’ossessione di uno che ha solo un piede dentro il mondo ebraico. […] Non ho nessun desiderio reale di mettere in scena il mondo ebraico, ma è un mondo con il quale mi identifico. Però è la mia ennesima impostura”. Perché dici “impostura”? Non sei un impostore, sei uno scrittore. “Lo dico perché non sono ebreo, quindi sono un impostore. Molto spesso mi vergogno di parlare di ebraismo perché non mi sento completamente autorizzato a farlo. […] È sempre stato il mio cruccio: sentire di non avere un centro, vivere sempre con la sensazione di un’impostura”» (Benini). «Non c’è nessun ambiente dove io mi senta accolto» • «“Da un punto di vista del gusto letterario mi ritengo un omosessuale gerontofilo. Nel senso che a me piacciono, salvo alcune splendide eccezioni, solo scrittori maschi che hanno superato abbondantemente i cinquant’anni”. E a cosa lega questa predilezione? “Alla convinzione che il romanzo, più di altre discipline, è un genere sporco, legato al disfacimento dell’esistenza. Un poeta, un rockettaro, un matematico sono più creativi a vent’anni; un narratore per diventare grande deve avviarsi ai sessant’anni; deve aver perso i genitori, e vissuto una vita per cui ogni qual volta si gira indietro scorge desolazione e macerie”» (Gnoli). «Credo che la voce di uno scrittore sia una voce roca» • «A parte pochissimi geni, siamo tutti epigoni, lavoriamo sul già fatto. La letteratura è un po’ estenuata» • «Credo di essere uno dei pochi che si commuovono leggendo Bret Easton Ellis. Ed è forse lo scrittore più intelligente di questi anni. Forse è lui il grande. Non è Franzen. Con tutto il rispetto» • «Se potesse scegliere solo tre libri da consigliare, quali sarebbero? “Restando alla narrativa, direi senza indugio David Copperfield, Anna Karenina e la Recherche”» (Borio) • «È raro incontrare uno scrittore che sappia rendere la propria vita un canovaccio pronto per trasformarsi in letteratura. Sia essa sotto forma di romanzo che nella veste saggistica» (Gnoli) • «Non sta a me pronunciarmi sulla qualità letteraria dei miei romanzi ma so di possedere una voce, so che le mie pagine mi somigliano, so che qualsiasi lettore in buona fede è in grado di riconoscere i miei stilemi». «Del posto del mio lavoro nel mondo, nella storia, nella letteratura italiana e contemporanea, dire che me ne sbatto è dire poco» • «Nel corso degli anni si è modificato soprattutto il mio approccio alla scrittura: all’inizio scrivere era un tormento, sempre lì a scervellarsi alla ricerca dell’effetto spettacolare. Pian piano ho imparato a lasciarmi andare e a divertirmi, tutto a vantaggio di fluidità e naturalezza, senza per questo tradire i miei stilemi: l’alternanza tra forbitezza e tono colloquiale, l’ipotassi, il ricorso continuo all’interlocuzione, il gusto per la divagazione». «Sono un lettore esigente e schizzinoso, sensibile alle grazie dello stile e al senso del ridicolo. Ecco il solo lettore che amo compiacere». «Sogno il giorno in cui non avrò più la necessità di pubblicare i libri che scrivo (per inciso, temo che lo sognino anche parecchi lettori)» (ad Andrea Cirolla) • «Credo nei libri, ma non nel marketing letterario». «Non amo fare comunella con altri scrittori, e detesto qualsiasi manifesto estetico o rivendicazione generazionale» • «Nutro avversione per qualsiasi scrittore che si dia arie da educatore o, Dio non voglia, da profeta. Coltivo un’idea edonista e gratuita della letteratura. […] Trovo che oggigiorno ci siano parecchi scrittori (non solo italiani) che prendono troppo sul serio sé stessi e non abbastanza ciò che scrivono. Altrimenti in circolazione non ci sarebbero tanti impostori» • «Dormo pochissimo, mi alzo tutte le mattine alle cinque e un quarto, mi lavo, mi vesto. Prendo la metropolitana e vado nel mio studio per scrivere solo di narrativa. Passo così le mie mattinate. […] Ci sono alti e bassi. Certi giorni sento crescere la voglia di fare, in altri si affaccia un po’ di depressione creativa. Ma anche nelle condizioni sfavorevoli questa specie di disciplina dell’anima mi aiuta. So che è importante. Perché solo così il nuovo giorno ha senso per me come il precedente».