27 marzo 2023
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Biografia di Lester R. Brown (Lester Russel Brown)
Lester R. Brown (Lester Russel Brown), nato a Bridgeton (New Jersey, Stati Uniti) il 28 marzo 1934 (89 anni). Agronomo. Analista ambientale. Saggista. Fondatore del Worldwatch Institute (1974; da lui abbandonato nel 2001, poi chiuso nel 2017) e dell’Earth Policy Institute (2001; da lui chiuso nel 2015). «Meno automobili, più mulini a vento» • «Lester Russell Brown è nato nel marzo 1934 a Bridgeton, una cittadina rurale nel Sud del New Jersey fondata dai quaccheri nel XVII secolo. I suoi genitori erano contadini laboriosi con solo 40 acri di terra a loro nome» (Barbara Crossette). «Brown si commuove quando nomina i suoi genitori: mezzadri che non hanno mai finito le elementari e, dice, non hanno mai letto un libro. È cresciuto in una serie di fattorie del New Jersey senza acqua corrente o impianti idraulici interni, coltivando asparagi per alcuni anni e successivamente pomodori. Ma era abbastanza brillante da imparare a leggere all’età di quattro anni» (Suzanne Goldberg). «Iniziò a lavorare duramente a contatto con la terra in tenera età. All’età di 14 anni lui e suo fratello minore, Carl, avviarono la loro impresa agricola di pomodori, producendo alla fine 1,5 milioni di libbre di pomodori all’anno. Brown, il primo membro della famiglia a finire il liceo e ad andare al college, ha sempre pensato che sarebbe diventato anch’egli un contadino. Ha studiato Agricoltura alla Rutgers University; seguì poi un master in Economia agraria presso l’Università del Maryland, quindi un master in Amministrazione pubblica presso l’Università di Harvard. […] Il coltivatore di pomodori del New Jersey incontrò il resto del mondo nel 1956 nell’India rurale, dove trascorse sei mesi in un programma internazionale di scambio di agricoltori. La crisi che si stava per verificare tra persone, terra e acqua “mi sembrò abbastanza chiara allora”, afferma Brown. Era l’argomento del suo primo libro, Man, Land and Food, che avvertiva il mondo in via di sviluppo, allora nei giorni inebrianti dell’anticolonialismo, che senza politiche lungimiranti la fame incombeva. Brown trascorse la fine degli anni ’50 e i ’60 presso il dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti, dove divenne capo del servizio per lo sviluppo agricolo internazionale» (Crossette). «Nel 1965 Lester Brown è in India, giovane funzionario del dipartimento dell’Agricoltura del governo statunitense, spedito a Delhi con il compito di contribuire al rapporto sulla parte riguardante l’agricoltura del piano di sviluppo quinquennale di quel Paese. Ma, come egli stesso racconta, sceglie di allargare il suo sguardo. Legge, si confronta, e si rende conto di un’imminente e gravissima carestia che sarebbe stata prodotta dalla siccità che stava affliggendo tutti gli Stati del subcontinente. La stagione dei monsoni da qualche tempo non si comportava come al solito e non c’era alcun motivo per credere che il fabbisogno di cibo stimato nel rapporto avrebbe potuto essere soddisfatto. Brown riesce […] a raggiungere il livello più alto dell’amministrazione Usa e a far mettere in moto in tempo utile la macchina degli aiuti» (Marco Moro). «Inviò un cablogramma urgente sulla situazione, che giunse al presidente Lyndon B. Johnson. “Sapevo cosa doveva fare l’India”, ricorda Brown. Apparentemente, anche LBJ la pensava così. Il presidente chiese a Brown di redigere un accordo diplomatico che legasse le spedizioni di grano dagli Stati Uniti all’impegno del governo indiano di migliorare le politiche agricole nel Paese. “Per gli Stati Uniti, quello fu uno dei nostri momenti migliori”, scrive Brown. “E non solo perché milioni di vite furono salvate, ma perché LBJ scorse una rara opportunità di ristrutturare l’agricoltura indiana”» (Teresa Odendahl). «Brown scrisse quei punti in una bozza di tre pagine per il presidente, che Johnson adottò immediatamente. […] Le riforme presero piede, e la “rivoluzione verde” nella produzione alimentare indiana era in corso. “L’India raddoppiò il suo raccolto di grano in sette anni”, ha detto Brown» (Eric Roston). «Tutto il suo lavoro successivo sarà caratterizzato proprio da una visione capace di evidenziare le connessioni tra fenomeni e processi riguardanti ambiti diversi: energia, popolazione, ambiente, clima, istruzione, consumi, risorse, politica, agricoltura, ricerca, ecc. Il suo è un apporto fondamentale alla costruzione del pensiero e delle scienze della sostenibilità» (Moro). «All’inizio del 1969 lascia le stanze della pubblica amministrazione per collaborare con James Grant, ex responsabile Unicef, alla creazione dell’Overseas Development Council. Le sue idee e le autorevoli analisi sui problemi ambientali, sociali, energetici e alimentari di enorme portata che assillano l’umanità suscitano grande interesse negli ambienti politici, scientifici ed economici internazionali. Nel 1974, grazie a un finanziamento del Rockefeller Brothers Fund, fonda il Worldwatch Institute, […] un ente privato di ricerca senza fini di lucro per l’analisi dei trend ambientali sempre più estesi e preoccupanti che modellano il futuro di una umanità votata all’autodistruzione: economia globale, crescita demografica e contrazione delle risorse pro capite, effetto serra, emarginazione economica e ambientale, riduzione delle aree coltivate, deforestazione, estinzione degli ecosistemi» (Maurizio Torretti). «“La questione critica oggi è se l’umanità riuscirà a effettuare i cambiamenti necessari, pena una catastrofe, nel poco tempo disponibile”. Lester R. Brown si congeda così dal lettore nel suo saggio di maggior successo, tradotto in Italia con il suggestivo titolo I limiti alla popolazione mondiale. Libro del 1974, In the Human Interest, secondo il non certo modesto titolo originale, arriva in tutte le librerie allorché i tassi di fecondità cominciano a mostrare segni evidenti di flessione in molte aree del mondo, segnatamente in quelle occidentali. […] Quello demografico – la “bomba demografica” – è stato il primo grande problema che la comunità degli “scienziati sociali” ha sollevato con una mai venuta meno insistenza catastrofista. […] L’altro problema, a esso strettamente connesso, quello del consumo delle risorse, […] dette invece la stura a una ancora più copiosa, se possibile, pubblicistica, tutta orientata nella stessa direzione, che non si è più fermata» (Roberto Volpi). «Nel 1984 L. Brown pubblica il suo primo rapporto annuale State of the World, ricco di dati e informazioni, di interpretazioni e analisi particolarmente innovative, che […] diventa un punto di riferimento per chiunque voglia comprendere le interconnessioni delle problematiche ambientali, economiche e sociali presenti sul nostro pianeta» (Torretti). «Le relazioni di Brown con la Cina sono state occasionalmente difficili. Il suo libro del 1995 Who Will Feed China? Wake-up Call for a Small Planet lo ha reso persona non grata per più di un anno. Il South China Morning Post ha affermato che il libro causò “quasi il panico nel Partito comunista” per aver previsto che i cinesi sarebbero dipesi fortemente dalle importazioni di cibo per nutrire una popolazione con maggiori esigenze. “Dubito che la leadership politica in qualsiasi altro Paese sia così sensibile alle conseguenze politiche di dover importare così tanto cibo”, dice Brown. “E dover acquistare cibo esportato dagli Stati Uniti!?”. […] Eppure, sebbene il libro fosse stato inizialmente rifiutato dall’editoria commerciale in Cina, alla fine lo stampò l’ufficio stampa del governo. “Molti cinesi sono venuti da me e mi hanno detto ‘Grazie per questo campanello d’allarme’. Tra loro c’era il primo ministro Wen Jiabao, che ha definito il libro ‘utile’ e si è detto sorpreso che uno straniero potesse averlo scritto”. Oggi Brown è accolto nel Paese da alti funzionari. […] Irrequieto dopo essersi ritirato da presidente di Worldwatch nel 2001, Brown passò dal monitorare la Terra al pensare a come salvarla, dice. […] Così diede vita all’Earth Policy Institute e ai suoi libri Piano B. Spaziano dalla politica energetica al cambiamento climatico e alle minacce alle risorse naturali. Esaminano i pericoli e le possibilità della proliferazione delle società urbane e come la vita cittadina può essere resa più vivibile, da un aumento del giardinaggio urbano a un miglioramento del trasporto di massa (con tanto di stime di spesa)» (Crossette). «Il Piano B è l’alternativa al Piano A, che sarebbe il modello economico occidentale basato sui combustibili fossili, centrato sull’automobile e sull’usa-e-getta. Il fatto è che, se continuiamo a comportarci secondo questo approccio business as usual, non solo perpetuiamo la distruzione degli ecosistemi di supporto della stessa economia, ma rischiamo seriamente di fare la stessa fine delle prime civiltà (i Maya o i Sumeri, per fare un esempio): ovvero incorrere in un processo di declino e poi di estinzione totale della nostra civiltà. Il Piano B è invece l’alternativa a tutto ciò, una strategia che assume – prima di tutto – quattro obiettivi prioritari: stabilizzare il clima, stabilizzare la popolazione, estirpare la povertà e ripristinare gli ecosistemi terrestri. […] Il Piano B è un chiaro impegno verso un cambiamento complessivo e strutturale, che richiede una ristrutturazione totale della economia globale, con il passaggio dalle fonti fossili alle energie rinnovabili, un sistema dei trasporti diversificato e un approccio al riuso e riciclo di tutto» (ad Anna Satolli). Del 2012 è 9 miliardi di posti a tavola. La nuova geopolitica della scarsità di cibo (Ambiente). «Professor Brown, qual è la causa della scarsità alimentare che lei denuncia? “L’aumento dei prezzi del cibo. L’origine si può datare tra il 2007 e il 2008. Una crescita dovuta al fatto che sono diminuite le esportazioni, creando panico nei paesi importatori, che hanno iniziato ad acquistare terreni o affittarli. In questa situazione il cibo è diventato il nuovo petrolio, i terreni il nuovo oro. Le cause? La popolazione mondiale aumenta ogni anno, aumenta il consumo dei cereali, che vengono sempre più utilizzati per produrre carburante per automobili. Dal punto di vista dell’offerta ci sono tre vincoli. In primis la carenza d’acqua per produrre cibo. Nelle pianure cinesi, per esempio, l’irrigazione estensiva è molto diffusa, cosicché le falde acquifere si stanno esaurendo e i pozzi seccando. Gli altri due vincoli sono il cambiamento climatico e l’erosione dei terreni, effetto del fatto che abbiamo arato territori che non avremmo mai dovuto arare. Tutto questo ha un prezzo: ogni anno è difficile tenere il passo con la produzione”» (Francesca Fradelloni). «Un quadro assai poco rassicurante, da cui però si può uscire, secondo Brown, se si lavora su due fronti contemporaneamente: quello culturale, importantissimo, ma anche quello economico. […] Diminuire la produzione di biodiesel a favore di quella di cibo, incentivando parallelamente le energie pulite, servirebbe anche per intervenire sul più importante di tutti i problemi legati al cibo: quello del cambiamento climatico» (Agnese Codignola). «“Stava ponendo domande che erano costantemente un decennio o più in anticipo sui tempi”, ha detto Ken Cook, fondatore dell’Environmental Working Group, che conosce Brown dagli anni ’70. In un momento in cui l’agricoltura era incentrata sull’espansione, Brown ha sollevato preoccupazioni sui limiti e sulla possibilità che il suolo e l’acqua potessero tenere il passo con le richieste e su ciò che i fertilizzanti e i pesticidi stavano facendo alla terra. “Nessun serio economista agricolo ora può lavorare senza pensare a queste questioni, ma non erano da nessuna parte sullo schermo radar fino a quando Lester non ha posto tali problemi”, ha detto Cook» (Goldberg). Nel 2013 pubblicò la sua autobiografia, Breaking New Ground: A Personal History, «un’affascinante testimonianza sia di una vita ben vissuta sia di un programma che rimane tristemente incompiuto. L’obiettivo della carriera di Brown è stato quello di offrire a opinion leader e responsabili politici di alto livello una ricerca accurata e soluzioni concrete ai problemi del mondo. È essenzialmente un approccio dall’alto verso il basso. […] “A metà degli anni ’90, […] nulla di ciò che pubblicavamo veniva ignorato. Ecco perché Worldwatch è diventato l’istituto di ricerca più citato al mondo”, scrive. […] Nel corso della sua vita, Brown ha operato principalmente come analista esperto, non come attivista» (Odendahl). Nel 2015, «dopo aver perso un’importante fonte di finanziamento, Brown ha affermato di non poter sopportare la prospettiva di un nuovo giro di raccolta fondi. E, dopo aver richiamato l’attenzione di presidenti e primi ministri, […] Brown ha detto di far più fatica a farsi ascoltare. “Non sento di avere la stessa sicurezza di poter raggiungere i decisori chiave su un determinato problema come facevo 30 anni fa”, ha detto. […] È la fine di una prolifica carriera: 53 libri in 630 edizioni, tra cui il basco e l’esperanto, che hanno contribuito a plasmare il pensiero di due generazioni di accademici e attivisti» (Goldberg). Nell’ultimo saggio (The Great Transition: Shifting from Fossil Fuels to Solar and Wind Energy, 2015) Brown ha mostrato di riporre le sue maggiori speranze, piuttosto che nella politica, nel mercato e nei suoi crescenti investimenti nelle fonti di energia rinnovabili anziché nei combustibili fossili • Numerosissimi riconoscimenti d’alto livello ricevuti in tutto il mondo, incluse svariate lauree honoris causa • Divorziato, tre figli • «Il lavoro ha quasi sempre avuto la precedenza. Nella sua autobiografia scrive di aver dormito nel suo ufficio per notti intere e di aver ridotto il suo guardaroba a una serie di camicie blu Oxford – per le occasioni formali, papillon a clip – da indossare con i suoi abiti e le scarpe da corsa» (Goldberg) • Podista amatoriale sin da quando era adolescente • Privo di automobile • «Brown è a malapena esperto di computer. Non ha computer nel suo ufficio, che ha pile di rapporti ammucchiati su ogni superficie e sulla maggior parte delle sedie. Non ha mai imparato a digitare correttamente, confessa. Detta i suoi libri e poi corregge le bozze cartacee» (Goldberg) • «Brown, un’enciclopedia ambulante dalla voce pacata delle risorse naturali globali» (Roston), «dall’aspetto semplice e dai modi cortesi» (Silvia Pochettino), «con il suo passo elegante, i capelli bianchi candidi e lo sguardo veloce» (Fradelloni) • «Uno dei pensatori più influenti del mondo» (The Washington Post). «Brown è un’icona di diversi movimenti: la rivoluzione verde, il controllo della popolazione, lo sviluppo sostenibile e la conservazione dell’ambiente» (Odendahl). «Sebbene per i sostenitori Brown sia diventato una sorta di icona o pietra di paragone, i suoi critici più accaniti lo hanno accusato per decenni di aver lanciato allarmi clamorosi (e abilmente pubblicizzati) su tali minacce, almeno alcune delle quali non si sono realizzate nei tempi che aveva immaginato, costandogli credibilità. […] Poiché Brown non è un accademico e non è stato soggetto a revisione paritaria nei libri che, sebbene pubblicati commercialmente, sono stati prodotti all’interno di organizzazioni da lui fondate e ampiamente controllate, non di rado è stato attaccato da ricercatori e giornalisti, che lo hanno ridotto a un perenne Geremia, il profeta di sventura. Eppure non è molto turbato da coloro che gli chiedono perché alcune delle sue previsioni non si siano avverate. La sua risposta tende ad essere: “Da’ loro tempo”» (Crossette). «Qualunque cosa dica Lester Brown, fate il contrario» (Matt Ridley) • «È […] quella dell’acqua la battaglia decisiva: ognuno di noi ogni giorno assorbe quattro litri d’acqua, mentre per produrre gli alimenti con i quali ci nutriamo questi quattro litri vanno moltiplicati per 500. È chiaro che, se non affrontiamo il problema, il futuro ci riserverà non solo problemi di forniture idriche, ma anche una crisi alimentare». «Se tutti mangiassimo come gli americani, che ingurgitano tra gli 800 e i 1.000 chili di cereali a testa l’anno, soprattutto attraverso le carni prodotte con quei cereali, il raccolto mondiale di cereali potrebbe nutrire 2,5 miliardi di persone. Se tutti mangiassimo come gli italiani, che consumano due volte meno carne, si potrebbero nutrire 5 miliardi di persone. Se tutti seguissimo la dieta vegetariana degli indiani, potremmo nutrire 10 miliardi di persone» • «Come possiamo cambiare i nostri comportamenti per cambiare il mondo? “Molte persone si aspettano che io dica ‘riciclate i giornali’ o ‘cambiate le lampadine’, e queste cose sono molto importanti. Ma siamo in una situazione, adesso, in cui è necessario ristrutturare l’economia: dobbiamo cambiare il sistema. Dobbiamo rimpiazzare una vecchia economia basata sul petrolio con una nuova. Dobbiamo puntare sulle energie rinnovabili, diversificare il sistema dei trasporti, e riusare e riciclare tutto quello che possiamo. Questa è la sfida che stiamo affrontando. Significa diventare politicamente attivi, […] e non solo esprimendo un voto alle elezioni, scegliendo un candidato, ma anche organizzandosi in associazioni per opporsi agli impianti a fonti fossili, ad esempio, o per sviluppare programmi di riciclo, entrando nello specifico e cercando di capire cosa serve realmente per cambiare il sistema”» (Stefano Carnazzi e Simone Molteni) • «Se guardiamo retrospettivamente alle precedenti civiltà, ci rendiamo conto dei problemi ambientali che non sono stati in grado di gestire. Per i Sumeri si è trattato della concentrazione salina nel terreno. Tentarono di gestirla passando dalle colture di frumento a quelle d’orzo. Ma il livello di salinità continuò ad aumentare, portando alla scomparsa delle colture di orzo e della civiltà stessa. Con i Maya si trattò di erosione del suolo, a causa del disboscamento e dell’eccessivo sfruttamento agricolo. Con il declino del sistema di produzione di cibo, scomparve anche la civiltà Maya. Ora tutto è giungla. E le terre dove vivevano i Sumeri sono desertificate».