Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  febbraio 02 Giovedì calendario

Biografia di Paul Auster (Paul Benjamin A.)

Paul Auster (Paul Benjamin A.), nato a Newark (New Jersey, Stati Uniti) il 3 febbraio 1947 (75 anni). Scrittore • «Voce brillante e originale dell’ultima narrativa americana» (liberal 22/10/1998) • «Il profeta della contingenza, il demiurgo del caso» (Alberto Moreno, Vanity Fair 29/11/2021) • «Un intellettuale elegante, ma accessibile. Uno scrittore d’avanguardia che abbraccia un pubblico mainstream. Insieme a Lou Reed e Woody Allen, è oggi uno dei simboli di New York» (Michele Crescenzo, Minima&moralia 1/6/2021) • Esordì nel 1974 con la raccolta poetica Unearth. Sua prima pièce teatrale: Laurel and Hardy go to Heaven (1977). Suo primo testo in prosa: White Spaces (1980). Capì di aver raggiunto il successo con la Trilogia di New York (trad. it. 1987), composta da Città di vetro (1985), Fantasmi (1986) e La stanza chiusa (1987). Da allora, ha pubblicato diciotto romanzi e svariati saggi, poesie, fumetti, etc. Da ultimo: 4 3 2 1 (2017) e Ragazzo in fiamme. Vita e opere di Stephen Crane (2022) • Ha fatto anche del cinema, lavorando come sceneggiatore, attore, responsabile del casting e regista. Tra i suoi film più famosi: Smoke (1995), Blue in the face (1995), Lulu on the Bridge (1998), La vita interiore di Martin Frost (2007). È stato membro della giuria alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1996 e al Festival di Cannes nel 1997 • «Come sanno i suoi lettori più attenti, le opere di Auster costituiscono un corpus unitario, un chaosmos governato da regole che sfidano il senso comune e che sovvertono tanto le aspettative di chi legge quanto le pianificazioni del romanziere. La musica del caso, titolo di uno dei suoi romanzi più riusciti, riassume il paradosso di un ordine nel disordine che è alla base della poetica di Auster, sempre affascinato dagli arabeschi disegnati dalle coincidenze. È lui stesso a ribadire che “ogni libro nasce da una musica interiore” e che “scrivere romanzi è come cadere in un incantesimo”, trovandosi alla mercé di ispirazioni improvvise e intuizioni misteriose» (Paolo Simonetti, il manifesto 8/9/2019) • Ha detto: «Non si può scegliere di diventare scrittore, come si sceglierebbe di diventare dottore o poliziotto. Non si sceglie, si viene scelti. E una volta accettato il fatto che non si è tagliati per nient’altro, bisogna prepararsi a intraprendere una strada lunga e faticosa, e a non lasciarla più per il resto della vita».
Titoli di testa «Parlare al telefono con Paul Auster è come ritrovarsi dentro una sua storia. Il libro autobiografico del 1982, L’invenzione della solitudine, inizia con la notizia inattesa della morte del padre: “Nessuno ti chiama alle 8 di domenica mattina se non per darti una notizia che non può aspettare” scriveva, “e a non poter aspettare sono sempre le brutte notizie”» (Luca Mastrantonio, 7 10/6/2022).
Vita Nato in una famiglia ebrea, di origine austriaca. Classe media. Il padre è un immobiliarista: possiede, assieme ai fratelli, vari palazzi a Jersey City • Paul cresce a South Orange e Maplewood, una trentina di chilometri a sud-ovest di New York City. Quello tra i suoi genitori non è un matrimonio felice, il clima in casa è difficile, lui si appassiona ai libri • «Da bambino sentivo che qualcosa non quadrava: avevo un nonno e due nonne. mi mancava il nonno paterno. Dicevano che era mancato quando mio padre era piccolo, ma non avevamo fotografie sue in casa, nessuno parlava mai di lui... La cosa mi incuriosiva. Percepivo in mio padre disagio se facevo certe domande, ad esempio come fosse morto il nonno. Mi rispose che il nonno, e la cosa era vera, aveva lavorato come impresario edile e un giorno cadde dal tetto di un edificio. Un incidente, plausibile. Mesi dopo gli rifeci la domanda, mi erano sfuggiti dei particolari, e in quell’occasione disse che il nonno era morto in un incidente di caccia. La cosa era strana. Successivamente, mi venne propinata addirittura una terza versione... mi confuse molto. Quindi chiesi nuovamente a mio padre come fosse morto suo padre e la risposta fu che aveva combattuto nella prima guerra mondiale ed era morto da soldato”. Le troppe morti di Harry Auster... “Pur essendo ancora un ragazzino, sapevo che le persone muoiono una sola volta, non più volte, e in modi diversi! Qualcosa non quadrava”» (Luca Mastrantonio, 7 10/6/2022) • «Racconta spesso che ha iniziato a fare lo scrittore il giorno in cui, all’età di otto anni, incontrò il suo eroe del baseball Willie Mays a una partita dei New York Giants e, raccogliendo tutto il suo coraggio, gli chiese un autografo. Ma né suo padre né sua madre avevano una matita, e alla fine il giocatore scrollò le spalle e se ne andò. Auster era disperato e da quel giorno non uscì più di casa senza una matita: “Se hai una matita in tasca, c’è una buona probabilità che un giorno inizierai ad usarla”» (Crescenzo) • «Nel mio caso la passione per la scrittura è nata prestissimo. I miei genitori non avevano studiato. Prendevo i libri alla biblioteca. La prima poesia l’ho scritta che avevo 9 anni […] Ricordo che mi svegliai un sabato mattina, era la prima bellissima giornata di primavera. Devo uscire, pensai. Andai a fare una passeggiata nel parco, c’era erba giovane e vedevo le gemme sugli alberi. Sentii che dovevo scrivere una poesia perché era tutto troppo bello. Continuai a camminare fino a un piccolo negozio dove comprai un taccuino e una matita. Poi tornai al parco, mi sedetti su una panchina e comincia a scrivere sulla primavera. Non ho più la poesia, ma ti posso garantire che era bruttissima. Ero così stupido, naif e ignorante di tutto. Ma quando iniziai a scrivere ciò che stavo vedendo mi sentii connesso con tutto ciò che mi circondava come non mi era mai accaduto e ricordo il senso di felicitа assoluta. Credo che tutto vada riportato a quel giorno, a quel senso di connessione» (Caterina Soffici, Tuttolibri 5/11/2022) • Altro momento chiave della sua giovinezza: quando ha quattordici anni, un suo amico muore colpito da un fulmine. «È qualcosa che non ho mai superato, eravamo al campo estivo colti da una tempesta elettrica nel bosco. Qualcuno ha detto che dovevamo raggiungere una radura e dovevamo strisciare, in fila indiana, sotto una recinzione di filo spinato. Un fulmine colpì la recinzione mentre il ragazzo immediatamente avanti a me la stava oltrepassando. La mia testa era proprio vicino ai suoi piedi. Non mi resi conto che il ragazzo era morto sul colpo così l’ho trascinato nella radura». Se il fulmine fosse caduto solo pochi secondi dopo, sarebbe stato lui a morire. «Sono sempre stato ossessionato da quello che è successo, dalla sua totale casualità. Penso che sia stato il giorno più importante della mia vita» • «Ritiene che l’esistenza sia governata dal caso? “Anche. Non si tratta ovviamente dell’unico elemento, ma non lo si può ignorare. Abbiamo la nostra ambizione, la capacità di determinare il nostro destino, ma poi, basta trovarsi per pochi centimetri nel posto sbagliato e tutto finisce”» (Antonio Monda, Rep 10/2/2017) • «Il primo evento storico cui lei ha preso parte furono i funerali di Kennedy nel 1963. Era un adolescente. Ho letto che lì fumò la sua prima sigaretta. Che sapore aveva? “In realtà ho provato le sigarette prima. Mia madre era una fumatrice, c’erano sigarette sparse per la casa. Ricordo di aver acceso una sigaretta a 8 anni. Orribile: ho tossito, mi sono sentito male e l’ho spenta. Quello che spinge un adolescente a fumare è l’idea che sia una cosa che conferisce un certo fascino, ti dai un’aria da bandito, un tono da ribelle, quasi sprezzante, che incarna un po’ l’ethos dell’adolescente. Al funerale di Kennedy mi sono riproposto di fumare una sigaretta fino in fondo, per la prima volta. Mi è piaciuto, sono diventato un fumatore”» (Mastrantonio) • Già a quindici anni, Paul è sicuro che avrebbe fatto lo scrittore. Compone decine di racconti e poesie. Il suo sogno è scrivere un bel romanzo. «Ho sempre pensato che non avrei potuto fare nient’altro» • Auster frequenta la High School a Maplewood. Quando lui è all’ultimo anno, i suoi genitori divorziano: lui, sua madre e sua sorella vanno a vivere per conto loro. Alla fine dell’anno, Auster salta la cerimonia dei diplomi e va in Europa. Visita l’Italia, la Spagna, Parigi e, naturalmente, la Dublino di James Joyce • Sono anni eroici. Nel 1965 si iscrive alla Columbia University. Deciso a diventare uno scrittore, sceglie un corso di letteratura comparata. Nel 1966 conosce Lydia Davis, anche lei con velleità letterarie, e ci si fidanza. Nel 1967, quando deve scegliere dove fare l’anno all’estero, si ricorda del suo viaggio di un paio d’anni prima, è va a Parigi. Paul gironzola per la Ville Lumière senza un soldo, cerca di dare un senso al desiderio di diventare scrittore. Durante quell’anno, pubblicandolo sotto lo pseudonimo di Paul Benjamin, compone il suo primo vero libro: Gioco suicida, omaggio alla tradizione dell’hard boiled americano. Anni dopo dirà: «L’ho fatto per denaro, è un libro illegittimo» • «Nella primavera del 1968, alla Columbia University – io frequentavo il terzo anno – si sviluppò un grande movimento di sinistra, guidato da una delle organizzazioni studentesche, gli Students for a Democratic Society ( Sds). L’Sds contestava l’establishment dell’università su svariate questioni. Una delle più importanti era la partecipazione delle università alla ricerca per il ministero della Difesa. La protesta era in realtà contro la guerra in Vietnam e il razzismo, ma la Columbia era un’istituzione privata, non pubblica come le università europee, per cui le nostre proteste erano inevitabilmente, come dire, un po’ periferiche. La contestazione dei rapporti fra la Columbia University e il ministero della Difesa rappresentava una protesta simbolica, che innescò comunque un’enorme esplosione nell’aprile del 1968, quando gli studenti occuparono cinque edifici della Columbia e l’università chiuse. Io stesso, che non ero un militante dell’Sds ed ero impegnato soprattutto a leggere filosofia, letteratura e a scrivere le mie poesie e le mie prose, rimasi talmente coinvolto da quanto succedeva da diventare uno degli occupanti. […] Rimanemmo in quell’edificio per cinque- sei giorni, dopodiché, visto che il braccio di ferro tra gli studenti e l’amministrazione continuava, il rettore della Columbia chiamò la polizia antisommossa di New York. E così la notte del 30 aprile fui arrestato insieme ad altri settecento studenti e passai la notte in cella. Alla fine ritirarono le accuse, anche perché era complicatissimo procedere legalmente contro ogni singolo studente, e non subii nessuna condanna. Di quella notte ricordo che eravamo tantissimi tutti insieme, ci avevano stipati nelle celle. L’unica cosa che mi torna in mente con precisione è un poliziotto che ghignava e si fregava le mani, era molto contento che tutti quegli studenti capelloni fossero finiti in prigione. Scherzava sul fatto che era la notte del 30 aprile e disse: “Domani è il primo maggio, mi sa che non potrete partecipare alla vostra bella manifestazione di sinistra perché, ah- ah, siete in prigione”» • «Intorno ai 20 anni, avevo un sacco di idee per un romanzo. Avevo l’ambizione, pensavo di essere un wonder boy, ma non ci sono riuscito. Ho iniziato quattro romanzi che mollavo e riprendevo e poi ho lasciato tutto. Così mi sono dato alla poesia, scrivevo articoli e recensioni, traducevo, ma facevo la fame. Intorno ai 30 anni ho smesso anche con la poesia. Ho avuto un blocco. Per sopravvivere ho continuato con le traduzioni. Ero davvero disperato e per un anno non ho piщ scritto un rigo. Il mio unico problema era trovare i soldi per mangiare”. Il punto di svolta? “Dicembre ’78. Avevo 31 anni. Pensavo che la mia carriera di scrittore fosse morta prima ancora di iniziare. Tutte le mie speranze erano finite in nulla. Il mio amico pittore David Reed al tempo aveva una fidanzata che voleva fare la coreografa e l’accompagnai alle prove di un balletto. Invitò alcuni amici e andammo a vedere uno spettacolo – ne ho scritto in Diario d’inverno. I ballerini danzarono in maniera magnifica per una dozzina di minuti e lei poi spiegт cosa significava quel balletto. Le sue parole erano così inadeguate a quello che avevo visto, non che lei fosse stupida, ma la scissione tra la realtа e la sua rappresentazione era così profonda che piщ lei parlava piщ mi sentivo felice. Una sensazione stranissima, ma quella sera tornai a casa con una sorta di entusiasmo elettrico e inizia a scrivere una piccola poesia in prosa, per cercare di riportare con le parole l’esperienza che avevo avuto. Ho scritto questa cosa – White Spaces - in maniera piuttosto selvaggia, molto piщ liberamente di qualsiasi cosa avessi fatto prima. Ho finito una notte del gennaio del 1979, alle 2 di notte di un sabato sera. Fuori nevicava. Andai a dormire. Alle sette di mattina squilla il telefono”. Sembra un romanzo. “Quando ti chiamano il sabato mattina a quell’ora non è un buon segno. Era mio zio per dirmi che mio padre era morto di un attacco di cuore. Aveva 66 anni ed era in buona salute, quindi non ero pronto a quella notizia. Arrivт come uno shock assoluto. Lui moriva mentre io finivo il mio poema. Iniziai a scrivere di lui e nacque così L’invenzione della solitudine. Mio padre non aveva mai capito come uno volesse fare lo scrittore, non aveva alcun senso per lui, voleva che trovassi un lavoro, che guadagnassi dei soldi, diventassi ricco, il sogno della maggior parte degli americani. L’ironia ha voluto che iniziassi a guadagnare con questo libro i miei primi soldi dalla scrittura. Non erano tanti, ma ero così povero, che almeno potevo respirare, vivere senza dovermi preoccupare per la bolletta della luce e mettere del cibo nel piatto. Così ho ricominciato a scrivere fiction. A quel punto ho capito che ero pronto. E i romanzi che avevo iniziato e ripreso e mollato nei miei vent’anni sono diventati La trilogia di New York e Moon Palace. Questa è la mia strana storia, quindi conosco la lotta e il desiderio bruciante di scrivere. Perché non ho mollato? Non lo so» (Soffici).
Libri «Gli scrittori sono i meno qualificati a parlare dei propri libri. Io, per esempio, non capisco mai davvero quello che faccio».
Parole «Per me la più piccola parola è circondata da acri ed acri di silenzio, e perfino quando riesco a fissare quella parola sulla pagina mi sembra della stessa natura di un miraggio, un granello di dubbio che scintilla nella sabbia».
Lettori «Naturalmente tutti vogliamo essere letti, ma io presto attenzione solo alla cosa che controllo, cioè alla stesura del testo. Una volta scritto il libro che volevo, sono soddisfatto: il resto non dipende da me. A quel punto può succedere di tutto: capita di non interessare il pubblico, o magari di attirare persone che fraintendono il tuo lavoro».
Amori Visse gli anni più difficili con Lydia Davis, senza un soldo, arrabattandosi con lavoretti qua e là (Paul si inventò persino un gioco chiamato Action baseball, presentato alla Fiera del Giocattolo di New York, un fiasco). Un figlio, Daniel, nato nel 1977. Nel 1978, il divorzio.
Amori/2 Si risposò nel 1982 con la scrittrice Siri Hustvedt. «Ho incontrato Siri nel 1981, nel febbraio del 1981, quindi 41 anni fa. Quarantuno anni che stiamo insieme e il legame con lei ha fatto la differenza nella mia vita. Siri è assolutamente geniale, non ha pari, e i suoi romanzi sono meravigliosi. In più, ha una seconda vita da studiosa in ambito psicoanalitico, psichiatrico e nelle neuroscienze». Una figlia, Sophie, nata nel 1987, cantautrice, molto popolare in Francia.
Figli Daniel Auster, cresciuto senza figura paterna. Un’infanzia difficile. Da adolescente scoprì la cocaina e non la lasciò più. Nel 1995 recitò nel film Smoke, con Harvey Keitel, tratto da un racconto del padre, faceva la parte di un ladro di libri. Entrò nel giro dei party newyorkesi a base di stupefacenti. Nel 1996 fu testimone dell’omicidio di uno spacciatore di eroina.
Dolori/1 Nel novembre 2021 la piccola Ruby Auster, figlia di Daniel, nipotina di Paul, 10 mesi, fu trovata morta per aver ingerito fentanyl ed eroina. Lui era strafatto e se la trovò cianotica al suo fianco.
Dolori/2 Daniel Auster fu trovato privo di sensi alle 9.48 del 20 aprile 2022 sul binario della metropolitana G, a Brooklyn. Un’overdose. Morì martedì 26 aprile, in un letto di ospedale.
Politica Molto anti-Bush, molto anti-Trump. A un certo punto lui e la moglie si unirono all’associazione Writers against Trump, ora ribattezzata Writers for Democratic Action.
Curiosità Alto 1,75 m • Vive in un bell’edificio in pietra calcarea di inizio secolo, il tipo di casa a schiera che rende Park Slope uno dei migliori quartieri di Brooklyn. Appartamento al terzo piano, finiture in legno e soffitti alti. Ama sedersi in poltrona a raccontare storie agli amici o parenti • Usa ancora una vecchia macchina da scrivere. «Da un po’ di tempo gli editori vogliono un file, così mi faccio aiutare a trascrivere tutto al computer» • Non ha il cellulare («Non voglio essere tanto raggiungibile») • «Capisco che per altre professioni Internet è essenziale. Stiamo però esagerando, abbiamo perso l’abitudine a toccarci, odorarci, guardarci negli occhi. Ero a Parigi anni fa, la città dove gli innamorati si baciano per strada. Camminavo quando sono stato attratto da un ragazzo e una ragazza meravigliosi che invece di baciarsi, come avrei sperato, si ignoravano. Ognuno concentrato a guardare il proprio telefonino» • Ha una pagina Facebook, ma pubblica un post ogni morte di Papa • Legge più libri di poesia che non di narrativa • Se dovesse lasciare New York andrebbe a Parigi • Negli Stati Uniti sceglierebbe la campagna, mai un’altra città americana • «Ha ancora intenzione di dirigere film? “L’ho fatto quattro volte ed è stata sempre una gioia, ma dubito che lo farò di nuovo. Non è una questione di passione, quella rimane, ma ho settant’anni e non ho troppo tempo da dedicare alla ricerca dei soldi”» (Monda).
Titoli di coda «Altri scrittori simpatici? Che magari non sono ossessionati dal Nobel... “William Styron. Una rivista francese, per uno speciale sulla narrativa americana, gli chiese di scegliere un autore di una nuova generazione con cui dialogare, e lui fece il mio nome. Mi chiamarono, ero lusingato, ma ero messo davvero male con un romanzo e non avevo tempo, declinai. Rimasero a bocca aperta, la signora disse che era un suicidio. ‘Suicidarmi?’, ho pensato: ‘Ma stai tranquilla, goditi la vita e rilassati! Non è poi la fine del mondo!’. Chiamai Styron, per ringraziarlo e scusarmi. Lui mi rispose che mi aveva scelto proprio perché sapeva che ero molto preso e avrei rifiutato: nemmeno lui voleva fare l’intervista!”» (Mastrantonio)