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 2023  febbraio 06 Lunedì calendario

Biografia di Patrick McGrath

Patrick McGrath, nato a Londra (Inghilterra, Regno Unito) il 7 febbraio 1950 (73 anni). Scrittore. «Sono convinto da tempo che lo scrittore e lo psichiatra facciano un lavoro molto simile: quello di esplorare le disfunzioni umane. Lo scrittore crea forme di intrattenimento, vuole piacere, lo psichiatra deve trovare la giusta terapia. Ma tutti e due ci occupiamo essenzialmente della natura umana» • Primo dei quattro figli di una coppia di irlandesi stabilitisi in Inghilterra. «“Uno psichiatra mi iniziò alle teorie sulla follia quando avevo otto anni. Era mio padre”. Così comincia Writing Madness, splendido testo autobiografico di Patrick McGrath sull’infanzia passata sui terreni del Broadmoor Lunatic Asylum, nel Berkshire rurale, in Inghilterra. In questa struttura di massima sicurezza, nota in precedenza come Broadmoor Criminal Lunatic Asylum, Pat McGrath, l’insigne padre psichiatra di McGrath, fu il decimo (e ultimo) direttore sanitario di quello che era diventato, dall’epoca vittoriana, un manicomio “obsoleto, sovraffollato” e “decrepito”, che ospitava ottocento uomini e donne infermi di mente (Broadmoor era stato inizialmente progettato per accogliere non più di cinquecento pazienti). L’infanzia di McGrath sembra essere stata tuttavia sorprendentemente idilliaca. […] Fu infatti sui terreni del Broadmoor (che si estendevano per centosettanta acri e comprendevano una fattoria) che il futuro scrittore apprese in giovane età l’esistenza di malattie come la schizofrenia – non una “personalità scissa” (un errore diffuso), ma una “personalità frantumata”. Al pari di Edgar Allan Poe, di cui McGrath fu un avido lettore fin da bambino, fu affascinato dalla “disintegrazione della mente”: “una vena di oro nero”. McGrath senior pare sia stato un padre ammirevole, così come un direttore psichiatrico insolitamente liberale, progressista e magnanimo, che compì ogni sforzo per coinvolgere la propria famiglia nelle attività del manicomio, facendola partecipare ad esempio alle funzioni religiose con i pazienti e incoraggiandola a conoscere gli infermi meno gravi”» (Joyce Carol Oates). «Ho vissuto a Broadmoor dai 5 ai 18 anni, e senza quell’esperienza non sarei stato lo scrittore né, cosa ancora più importante, l’uomo che sono. I pazienti dell’ospedale sono stati i miei primi amici, e li ricordo che lavoravano nel nostro giardino: in apparenza era tutto normale» (ad Antonio Monda). «Mio padre mi parlava spesso del suo lavoro. In modo semplice, come si fa con un bambino, ma soprattutto con tono comprensivo. Sono cresciuto nutrendo un forte fascino per le menti disfunzionali» (a Elisabetta Pagani). «Aggiungete a questo quadretto un padre dalla personalità prorompente, fervente cattolico, che a 13 anni spedì il primogenito […] in un collegio di gesuiti, struttura rigida e repressiva da cui il ragazzo a sedici anni scappò per andare a Londra. Ultima tessera del mosaico: il primo lavoro, dopo una laurea in Letteratura inglese e americana, è stato in un manicomio in Canada. Non c’è da stupirsi che la scrittura di Patrick McGrath ruoti intorno a un tema: la follia» (Caterina Soffici). «Ero ancora molto giovane quando mio padre, psichiatra, mi offrì l’opportunità di trasferirmi in Canada, dove avrei lavorato come aiuto di un assistente sociale in un manicomio. Accettai perché stavo vivendo una fase di confusione e insicurezza in cui, dopo due anni di studi caotici, non sapevo quale strada intraprendere. In Canada naturalmente non trovai la rivoluzione, bensì la possibilità di ricominciare da zero, di ricostruirmi da capo. E così abbandonai l’Inghilterra» (a Marisa Rusconi). «Nel mezzo, una gioventù piena di turbolenze, tra cui annotiamo un viaggio hippy di cinque mesi in un furgone VW dall’Ontario a San Francisco nel 1972. Un periodo a Vancouver, dove fa l’insegnante per cinque anni. Inquieto e insoddisfatto, convinto che le città siano il male, si trasferisce nelle Queen Charlotte Islands, un arcipelago al largo della costa nord-occidentale del Canada (poco sotto l’Alaska), dove cerca la risposta al senso della vita nel comunicare con la natura. Sul modello del selvatico romantico anarchico, costruisce una baita, raccoglie granchi e vongole sulla spiaggia e suona la chitarra nel bar locale per mantenersi. “Ho pensato di vivere lì per sempre”, racconta. Per poi convincersi che la vita è invece in mezzo agli umani, e nella fattispecie a New York, dove arriva nel 1981 e da dove non si sposta più. […] “Volevo fare il musicista, ma non ero abbastanza bravo e non sapevo come migliorare. Quando ho iniziato a scrivere, a circa 27 anni, sapevo che era quello che dovevo fare. Mi veniva facile. Mi sono impegnato a scrivere fiction e non mi sono mai pentito di questo impegno e non sono mai stato a corto di idee. […] Da giovane scrittore, quando sono arrivato a New York, ho scoperto che avrei potuto usare un ambiente gotico tradizionale, in cui inquadrare un’esplorazione della psicologia umana. Per fortuna ho poi trovato a New York, nei primi anni ’80, nell’East Village e nel Lower East Side, tutte le rovine che uno scrittore gotico poteva desiderare. Ho inventato un genere: il Manhattan Gothic. Ho scritto molte storie in quel genere per una rivista chiamata ‘Between C & D’, che si riferiva alle Avenue C e D”» (Soffici). «Quando pubblica la sua prima raccolta, Acqua e sangue, nel 1988, Patrick McGrath viene immediatamente catalogato come autore “neogotico”. Una definizione che “gli mette ansia”, ma che appare corretta» (Giancarlo De Cataldo). Nonostante già tra le fine degli anni Ottanta e la prima metà dei Novanta McGrath avesse pubblicato romanzi che in seguito avrebbero riscosso grande successo come Grottesco (1989), Spider (1990) e Il morbo di Haggard (1993), la fama internazionale gli giunse a partire dal 1996, quando diede alle stampe Follia, «romanzo che con crudeltà lineare, sorprendente nel suo distacco analitico, svelava il tragico amore tra un pazzo uxoricida e la moglie di uno psichiatra» (Leonetta Bentivoglio). Teatro della vicenda un manicomio criminale. «Ho preso la mia infanzia, la cultura e lo scenario del posto in cui ho vissuto e ci ho costruito dentro una storia» (a Maria Pia Fusco). Seguirono, con alterne fortune, i romanzi Martha Peake (2000), Port Mungo (2004), Trauma (2008), L’estranea (2013), La guardarobiera (2017) e La lampada del diavolo (2021), intervallati dalle raccolte di racconti La città fantasma. Manhattan ieri e oggi (2005) e Racconti di follia (2017): tutti, sostanzialmente, «horror psicologici d’impatto sconvolgente» (Bentivoglio). «Nei miei due ultimi romanzi ho introdotto la figura di un fascista e, implicitamente, il fascismo stesso. In questi romanzi, la relazione con la pazzia non riguarda direttamente la follia dell’idea fascista, ma piuttosto quella che il fascismo crea negli altri. In entrambi i libri la vittima di un fascista soccombe alla follia e viene perseguitata. Joan Grice, la protagonista ebrea di The Wardrobe Mistress, pubblicato in Italia nel 2017 con il titolo La guardarobiera, scopre che l’uomo che per molti anni ha avuto accanto come marito, deceduto di recente, in passato era stato membro della British Union of Fascists di Sir Oswald Mosley, un’organizzazione di camicie nere che negli anni Trenta attirava notevoli consensi. La rivelazione del segreto del marito turba Joan fino a farla impazzire, e il suo crollo è segnato da un atto omicida. In Last Days in Cleaver Square, […] pubblicato in Italia con il titolo La lampada del diavolo, il narratore, un vecchio di nome Francis McNulty, veterano della Guerra civile spagnola, comincia ad avere visioni del generale Francisco Franco nel suo giardino londinese. Più tardi lo trova nel suo letto. L’anno è il 1975, e Franco è in realtà a Madrid, in fin di vita. La sua apparente presenza in casa di McNulty risveglia nel vecchio i ricordi dei giorni trascorsi come autista di ambulanze in Spagna, e in particolare di un tradimento da lui commesso, per il quale prova ancora un’intensa vergogna. Quando incontra a Madrid la figlia in luna di miele, è lo spirito di Franco che spinge McNulty a compiere un bizzarro atto di espiazione. […] Qual è dunque, in fin dei conti, il rapporto tra fascismo e follia? Sono indissolubilmente legati l’uno all’altra, dal momento che la follia alimenta l’idea politica e viceversa». Oltre a scrivere, da molti anni McGrath tiene corsi di scrittura creativa. «Insegno ai dottorandi in un programma di scrittura alla New School, un’università nel Greenwich Village. Ogni anno abbiamo lezioni piene di giovani uomini e donne desiderosi di imparare a essere poeti, romanzieri, scrittori di racconti, ecc.» • Alcuni suoi libri hanno avuto trasposizioni cinematografiche, tra cui Spider di David Cronenberg (2002). «Confesso che aspetto sempre con ansia un film tratto da un mio libro: non c’è mai la certezza che le pagine scritte siano rispettate. […] Ed è sempre affascinante vedere una storia, una pura costruzione di parole, esplodere sullo schermo in immagini vive, in caratteri reali» • Sposato dal 1991 con l’attrice teatrale irlandese Maria Aitken (Dublino, 1945). «“È una donna molto saggia, dalla quale imparo quotidianamente. Il suo sguardo pacato sull’esistenza ha formato anche la mia scrittura, così come la curiosità rispetto al mondo: devo a lei per esempio se ho scoperto aspetti di Londra che ignoravo. E parte della sua saggezza si manifesta nella semplicità e concretezza”. La coppia, che si è trasferita ormai da molto tempo a New York, passa parte dell’anno tra Ibiza e il Belize, dove Patrick trova l’isolamento e il piacere necessari per scrivere i suoi libri, prima di tornare a Manhattan. “Molti mi chiedono se mi senta irlandese, inglese o americano: la mia risposta è che mi sento newyorchese”» (Monda) • «Da inglese, cosa pensa dello stato dell’Inghilterra dopo la Brexit? “Una tragedia. […] Viviamo in un mondo fatto di diversità. Perché provare a escludere qualcuno che non è esattamente uguale a te? Questo è lo spirito della Brexit”» (Soffici) • «Scrivo al mattino. Cerco di scrivere mille parole ogni mattina. […] Insegno alla sera. Nel pomeriggio leggo, faccio le ricerche che mi servono per scrivere e tutte quelle altre cose che la vita richiede». «Di cosa ha bisogno per scrivere? “Di una stanza tutta per me, abbastanza calda. Una buona notte di sonno e una buona colazione. Se possibile, qualcuno là fuori che mi ama. Un tavolo e una sedia, una risma di carta e alcune penne. Questo è tutto! Oh, sì: e un’idea”» (Soffici). «Scrivo con cura, usando penne stilografiche e quaderni. Riporto quanto ho scritto sul computer, poi correggo a penna e torno a copiare le correzioni in video. L’operazione si ripete una trentina di volte. […] Poi, concluso il libro, mi ubriaco più o meno per un mese» • «Sempre nei suoi libri […] il flusso narrativo è guidato dall’uso della prima persona: lei sceglie ogni volta un testimone che conduce la vicenda. Perché privilegia questa struttura? “Mi viene naturale. Credo che mi aiuti a costruire il racconto con una gamma più estesa di colori, portandomi a descrivere ciò che immagino con maggiore immediatezza”. […] Cosa rappresenta per lei la voce del narratore? “Il controllo della superficie, che consente di far erompere la passione in profondità. L’equilibrio della scrittura si mette al servizio degli squilibri della mente”» (Bentivoglio) • «Le parole possono descrivere tutto? “Vede, talvolta è molto più efficace lasciare che l’immaginazione del lettore fornisca i dettagli dell’orrore piuttosto che mostrarglielo. Trovo più affascinante creare un contesto oscuro, ombre e subconscio, suggerendo che là fuori c’è qualcosa di terribile”. Perché? “Perché il mio mostro non sarà mai spaventoso come il tuo”» (Francesco Musolino) • «Quali scrittori l’hanno più influenzata? “Wilde, Poe, Stevenson, Melville. Irrinunciabili. Per non parlare di Conrad: Cuore di tenebra è la più alta rappresentazione possibile di un viaggio all’interno dell’orrore. Da bambino adoravo James Bond e i libri horror. E i gialli, soprattutto Agatha Christie. Oggi, quando sono coinvolto in un lavoro, leggo autori che possano guidarmi lungo un certo periodo storico”» (Bentivoglio) • «L’ho definito così: “È un omone dallo sguardo sorridente e i modi gentili, che privilegia l’ironia all’angoscia, che pure abbonda nei suoi romanzi tormentati e romantici”. […] A conoscerlo risulta evidente che il suo percorso esistenziale è stato attraversato dal dolore, ma quello che emerge con forza è la reazione a questa condizione: Patrick è in primo luogo un uomo spiritoso, affettuoso, entusiasta e leale. “Credo nel potere salvifico dell’ironia e dell’autoironia”, mi racconta, […] “e la lealtà è un valore che cerco di celebrare ogni giorno, ma tengo a dire che mi riferisco alle relazioni umane, a cominciare dal matrimonio: mi sento molto meno leale rispetto all’idea di nazione o nei confronti di un’ideologia”. […] La funzione etica dell’arte, specie in rapporto a situazioni corrotte e morbose, è un aspetto centrale di tutto il suo lavoro, ed è da questo anelito che nasce l’ottimismo di fronte al dolore» (Monda) • Ha dichiarato di non essersi mai sottoposto a psicoanalisi. «Come molti uomini sono piuttosto represso da un punto di vista emotivo. Se noto che sto provando un sentimento, considero quell’esperienza come un vero tesoro! Lo metto da parte per il mio lavoro. Comunque piango spesso, perché sono un sentimentale, anche guardando un film» (a Susanna Nirenstein) • «Non amo cucinare. Adoro però tagliare cipolle e carote per mia moglie. Sono il suo assistente chef preferito» (a Michaela K. Bellisario) • «McGrath mette al servizio della sua letteratura sfrenatamente creativa, e spesso spettralmente “gotica”, un talento narrativo che guarda ai nostri grandi predecessori del diciannovesimo secolo (Poe, Mary Shelley, Algernon Blackwood, M.R. James, Robert Louis Stevenson, Bram Stoker, Joseph Sheridan Le Fanu, Charlotte Perkins Gilman e Ambrose Bierce, tra gli altri) pur essendo assolutamente contemporaneo nel suo sardonico umorismo nero. La narrazione di McGrath è magistrale e seducente. È sufficiente la lettura dell’incipit del tipico racconto di McGrath per venirne risucchiati, costretti a divorarlo tutto d’un fiato. […] In quanto legittimo erede dei grandi scrittori gotici del diciannovesimo secolo, e sommo adepto del gotico letterario contemporaneo, McGrath sa cosa significhi essere tormentati da fantasmi, e come trascrivere nel modo più persuasivo gli incubi della “personalità frantumata” che risuonano in ognuno di noi» (Oates) • «Mi definirei uno scrittore del New Gothic. Sono attratto dalle atmosfere gotiche. […] Ma per me il gotico richiede una forte componente psicologica. Questo è ciò che ci ha insegnato Edgar Allan Poe, così come Freud: che la casa più infestata è la mente umana. […] Ho spesso impiegato il gotico per esplorare il lato inconscio della mente. È dalla mente inconscia che sorgono le nostre energie più stranamente distruttive, e anche le nostre energie più creative. Freud è stato importante per me quando imparavo a scrivere. Non mi è mai importato se avesse ragione o torto, perché era sempre estremamente suggestivo, e le sue idee mi hanno ispirato» • «Perché è così affascinato da storie di follia? “Ho letto che Norman Mailer ha dichiarato che ha avuto tutte le sue idee quando aveva vent’anni, e poi per il resto della vita si è limitato ad approfondirle. È successo lo stesso anche nel mio caso: ho cominciato a scrivere di patologie psicologiche quasi per caso, e poi, dopo Spider e Follia, ho capito di esserne intimamente affascinato”» (Monda) • «La pazzia ci terrorizza. È spaventoso guardare l’abisso in cui potrebbe trascinarci. Eppure proprio per questo motivo ci affascina: perché siamo curiosi di vedere cosa succederebbe se ci cadessimo dentro, consapevoli che non sapremmo controllarla» • «Alcuni critici e studiosi di letteratura dicono che il romanzo d’amore è morto: secondo loro saremmo diventati troppo freudiani per credere ancora nell’amore romantico. Ma io non sono affatto d’accordo: trovo che la passione sia un tema irresistibile per uno scrittore, e così cerco di svelarne i meccanismi segreti. Infatti la vita è caos, dolore, talvolta orrore, e compito dello scrittore è dare un senso a questo disordine, tenendolo sotto controllo e organizzandolo in una trama». «In tutti i suoi libri, lei fa dell’amore una condizione patologica. Non vede la possibilità di rapporti sessuali equilibrati? “Non nella prima fase dell’innamoramento, in cui vige un’intossicazione sessuale intensa che determina la connessione passionale, e imparenta l’amore alla follia. Poi ci si può assestare nella normalità, che equivale a una relazione matura ed equilibrata. Importante per vivere bene, ma per nulla interessante dal punto di vista letterario”» (Bentivoglio) • «Lei sostiene che l’arte è nemica della follia perché l’arte richiede abitudine e ordine. Perché? […] “Il terrore della follia che immagino è il vuoto, l’agonia della perdita di significato o il caos assoluto di troppo significato. Lavorare come artista significa controllare, modellare ed esprimere un significato. Quindi è il nemico della follia!”» (Soffici) • «Scrittori e psichiatri condividono un terreno comune, e io ho avuto la fortuna di crescere tra gli psichiatri e i pazzi. È stato il mio interesse per le patologie dei sentimenti a plasmare il mio mondo fantastico» • «È impossibile sapere cosa sarei diventato se fossi cresciuto in un altro ambiente. Uno scrittore, ne sono sicuro. Cos’altro potrei fare con questa immaginazione iperattiva? Ma forse con argomenti diversi, ossessioni diverse» • «Lei teme la morte? Cosa si aspetta, oltre la soglia? “Sarebbe difficile non temere la morte. Ma mi schiero al fianco di Francisco Goya, sono un uomo dell’Illuminismo: non c’è niente oltre! Detto questo, spero che sia veloce, spero che sia indolore. Please”» (Musolino).