9 febbraio 2023
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Biografia di Paolo Fresu
Paolo Fresu, nato a Berchidda (Sassari) il 10 febbraio 1961 (62 anni). Trombettista. Flicornista. Jazzista • «Musicista globetrotter» (Vittorio Zincone, 7 2/8/2018) • «Un gentile folletto» (Paolo Russo) • «Volerlo definire, inscatolare in una categoria è la cosa più difficile. Che in partenza sia un trombettista jazz è l’unica sicurezza. Ma da anni la sua attività ha un raggio d’azione talmente ampio che è persino complicato tenergli dietro» (Aldo Lastella) • Stakanovista della musica, incapace di stare fermo. È in tournée oltre duecento giorni l’anno. Si è esibito oltre tremila volte in cinque continenti. Ha suonato nei luoghi più insoliti (una volta tenne un concerto su un albero). Ha inciso 450 dischi, 90 da solista. Ha un’etichetta discografica sua, ha scritto libri, composto colonne sonore per film e opere teatrali. Insegna in master e seminari. «Il suo stile intriso di atmosfere malinconiche e notturne deve molto a grandi maestri del jazz quali C. Baker, G. Evans e M. Davis; tuttavia nel corso degli anni si è emancipato da questi modelli che in qualche modo contribuivano alla limitazione delle sue possibilità espressive» (Treccani) • Quando non si esibisce, vive tra Parigi, Bologna e la Sardegna. Visceralmente innamorato della sua terra, è impegnato nella valorizzazione della musica tradizionale sarda e si è inventato Time in Jazz, rassegna internazionale di jazz organizzata nella sua natia Berchidda. Ha detto: «Il jazz è libertà espressiva, improvvisazione, sperimentazione, ricerca. Forse la musica più sfuggente del Novecento e quella che si schiude a tutte le contaminazioni».
Titoli di testa «Com’è che un figlio di pastori diventa un musicista jazz celeberrimo? “Non mi piace raccontare la mia storia come quella di un eroe che esce dai canoni della normalità. La mia è la storia di un bimbo che amava la campagna e la terra e amava tanto la musica e, con passione e testardaggine, è riuscito a farne la sua ragione di vita. Non dovrebbe esserci nulla di anormale. Avevo una tromba in casa, vedevo passare la banda del paese e sognavo”» (Candida Morvillo, CdS 4/3/2021).
Vita Famiglia modesta, profondamente religiosa. La madre di Paolo si chiama Maria, figlia di una famiglia di dieci figli, rimasta orfana di madre da bambina • Il padre di Paolo si chiama Angiolino, detto Lillino. Contadino e pastore, molto benvoluto in paese. «Quando potevo lo accompagnavo nei campi. Tra le soddisfazioni c’era che, dopo aver munto le pecore, andavamo con la Fiat 500 familiare piena di balle di fieno alla cooperativa a portare il latte utile per il formaggio». Lillino Fresu ha anche una vena poetica. «Era un uomo saggio, un filosofo. Scriveva poesie, racconti, ha annotato migliaia di modi di dire, un archiviatore. Tra le sue massime di vita “nel cammino si aggiusta il carico” (in sardo “in caminu s’accontzat barriu”). Lui avrebbe voluto studiare: comunque era colto, nonostante avesse fatto la terza elementare». «Andava in campagna, annotava su scontrini e piccoli pezzi di carta parole desuete, poi metteva tutto in un sacchetto di plastica. Ho portato questo materiale in seno a un vocabolario che sto preparando. Un giorno mi ha confessato che nella vigna se non aveva carta su cui scrivere, con un pezzo di vite annotava per terra le parole, che il giorno dopo tornava a ricopiare» (Luca Pavane, Giornale 5/2/2019) • Una vita organizzata attorno a tre cose: la campagna, la chiesa e la banda del paese. «Andavo anche in chiesa dove ho fatto l’apprendistato da chierichetto. Il prete si chiamava don Era, un prete rigoroso, poi c’era un parroco che si chiamava Delogu. Personaggi di un paese molto festoso». «Quella di Berchidda una campagna tipica del Logudoro. Dietro c’è la Gallura, con le sue rocce di granito dalle forme fantastiche che erano i miei libri di pietra: ognuna era un viso o un animale con una storia che mi raccontavo mentre aiutavo mio padre con le pecore. Il tempo scorreva come in quel saggio di Platone del 360 a. C., con i riti della raccolta delle olive e della vendemmia» (Morvillo). «Il regalo più bello che ci potesse arrivare a Natale, era un agnello da parte del vicino. Gli mettevo un fiocco rosso al collo e diventava il mio compagno di giochi fino all’Epifania». L’agnello faceva una brutta fine. «Quando mio padre doveva sgozzare le nostre venti pecorelle, lo faceva davanti a me. Noi campavamo di quello. E l’uccisione del maiale era un momento atteso, crudo, ma unificante per la famiglia. In campagna non si muore per caso» • Fin da subito, Paolo è appassionato di musica. Suona l’armonica a bocca. Strimpella la chitarra. Ma in casa non hanno nemmeno un giradischi. «La festa patronale di San Sebastiano, che si svolgeva ai primi di settembre, era una occasione ghiotta per sentire qualcosa. Le note si confondevano con il rumore degli spari dei fucili giocattolo, delle voci dei torronai di Tonara e delle risate provenienti dai bar. Ho davanti agli occhi l’immagine dei paesani che si incamminavano in piazza con la sedietta impagliata di casa. Era un altro sentire…» • «La musica era in me da sempre. In casa c’era una tromba che non potevo toccare: i nostri genitori, con molti sacrifici, l’avevano comprata per mio fratello Antonello, che si era iscritto al corso della banda per poi abbandonarlo. A 8 o 9 anni ebbi dal mio padrino di cresima, un missionario colombiano, il permesso di suonare l’organo in chiesa». «“Quando ero piccolo non c’erano Internet o YouTube. Per me la musica era la banda del paese. La vedevo passare e sognavo di farne parte. Ci sono entrato dopo aver iniziato a maneggiare una tromba abbandonata da mio fratello. Era custodita in una scatola nera di legno, avvolta nel velluto rosso. Aveva un fortissimo odore di olio lubrificante. Per me quello è ancora l’odore della musica. Ripassavo i movimenti delle dita nel tragitto da casa alla chiesa dove ero chierichetto. E appena potevo andavo a suonare da solo in campagna”. È autodidatta? “No. Ma sono molto appassionato. Un giorno il maestro della banda mi diede la partitura della marcia Topolino e mi chiese di studiarla. Beh, io già la sapevo benissimo”. La banda… “Dopo le cerimonie i più bravi si riunivano in un bar del centro e attaccavano a suonare i ballabili”. Lei era tra i più bravi? “Ci finii dopo un po’. E formammo due gruppi Le Nuove Onde e Carnaval con cui suonavamo nelle feste di piazza e durante i matrimoni berchiddesi, che durano anche una settimana. Ero anche il tuttofare della band: facevo le pulizie in sala prove e chiamavo i comitati organizzatori delle kermesse per trovare serate”. Il repertorio? “Il mambo di Pérez Prado, il liscio di Raoul Casadei, un po’ di Lucio Battisti…”. Fin qui il jazz non compare. “E come avrebbe potuto? Io avevo un mangiadischi portatile verde pisello dentro cui infilavo i 45 giri usati del jukebox del bar. Ho cominciato ad ascoltare il jazz tardi, grazie a un amico pianista di un paesino vicino che aveva il padre dentista e in casa custodiva una collezione importante di dischi e un impianto stereo decoroso. Con lui provammo a mettere in repertorio i pezzi dei Nucleus, un gruppo jazz rock inglese, ma appena cominciavamo la gente smetteva di ballare e ci toccava riprendere col liscio”» (Zincone) • «Quando lasciò casa dove andò? “Prima destinazione Sassari, dove mi sono iscritto e diplomato col massimo dei voti in una scuola per diventare perito elettrotecnico. Non avevo mai pensato alla musica come a un lavoro, suonavano per i matrimoni e le feste di piazza, le feste patronali, andavamo in giro con un furgone”. E che tipo di lavoro cercava? “Dopo il diploma alla fine degli anni Settanta, periodo in cui le grandi aziende ancora chiamavano e offrivano un posto, sono stato contatto per un colloquio alla Sip, l’attuale Telecom. Ho rifiutato l’assunzione. Perché l’ho fatto? Mi sono detto ma a me questa cosa non mi interessa”. I suoi genitori sono rimasti delusi? “Quando sono tornato in paese dissi ai miei quel che era successo, mi risposero che se questa era la mia decisione, andava bene così. Mio padre diceva nella vita fai quello che vuoi ma non il pastore. L’ho accontentato”. Insomma, tutto di testa sua... “L’ultimo anno delle industriali mi sono pure iscritto al Conservatorio e dopo aver preso la licenza di Teoria e solfeggio sono stato chiamato a fare supplenze nelle scuole, allora si poteva. Poi ho iniziato a prendere contatti con dei jazzisti di Cagliari, in seguito le frequentazioni a Siena. Nell’82 ho conosciuto il pianista che è ancora nel mio quintetto, Roberto Cipelli, con lui abbiamo formato il primo gruppo, a mio nome”. Com’è stato lo sbarco nel Continente? “L’arrivo è stato un po’ timido. Mi ha colpito una sorta di solitudine metropolitana, ricordo Roma. C’è un suono a proposito. Ripenso al trenino da Civitavecchia che entrava nelle periferie della capitale, allora decisamente desolate. In città vedevo tante persone isolate, venivo da un paesino e a questo non ero abituato”. Le partenze dall’isola saranno state dolorose... “La Sardegna non mi mancava. Credevo di non essere andato via davvero. Ma quando rientravo a Berchidda venivo subissato dalle domande. A un certo punto hanno cominciato a chiedermi quando sarei ripartito. Allora ho capito che per loro ero andato veramente altrove”» (Pavane).
Amori Sposato con Sonia Peana, violista e insegnante di musica, anche lei sarda. Si sono conosciuti nell’anno 2000 a Faenza, durante una messa jazz. «È stato un colpo di fulmine, ci siamo sposati nel mio paese. C’erano duemila invitati. Per le nozze ho deciso di non lavorare due mesi».
Figli Uno, Andrea, nato nel 2008. «Studia batteria ma vorrebbe fare pure lo scienziato, gli piace scoprire. È appassionato a tutto quello che è intorno allo spettacolo, viene a teatro e sta dietro ai tecnici, per guardare le consolle, le luci di scena».
Politica Nel 2007 coordinatore del Pd in Sardegna per la Lista Veltroni: «Non sono un seguace del veltronismo e se mi avesse chiesto il favore il padre eterno avrei detto no. Ma no non potevo dirlo a uno che ha scritto un libro travolgente su Luca Flores, un jazzista sfortunato e sconosciuto a tutti. Non potevo dire no a uno che confisca una villa alla banda della Magliana e la trasforma in un paradiso per la musica. La “Casa del jazz” ce la invidia tutto il mondo. Inverosimile, persino i francesi».
Politica/2 «Lei ha digiunato per lo Ius Soli; è salito sull’Aquarius ferma a Marsiglia; ha firmato sul Corriere un appello per la scuola. L’impegno politico e sociale che pezzo di vita è? “Fondamentale: mi sentirei in colpa se vedessi accadere certe cose e facessi finta di nulla. E più vai avanti, più hai bisogno di trovare motivazioni per vivere che non possono essere solo partire per un concerto. Sarebbe più facile non esprimermi, così sui social non scriverebbero “perché non suoni solo la tromba?’, ma non riesco. Sullo ius soli risposi: se non vi stanno bene le mie idee, non comprate i miei dischi e se li avete già comprati, vi ridò i soldi”. Qualcuno le ha chiesto i soldi indietro? “Nessuno. Dietro alla tastiera, sono tutti bravi a criticare. Invece bisogna fare, e lavorare per le cose in cui si crede”» (Morvillo).
Proposte Ha proposto di adottare anche in Italia la legge francese a tutela degli artisti intermittenti «bravi professionisti che si accendono e si spengono secondo il lavoro che c’è». «Le star nel mondo della musica sono il 3 per cento, il resto è senza protezione. Bisogna risolvere oggi, altrimenti non si risolverà mai. L’artista non deve sempre soffrire. Siamo privilegiati perché amiamo il nostro lavoro, ma se non sei famoso non hai né aiuto né protezione. Einstein diceva: “è nei momenti di vuoto che nascono le cose nuove”. In Francia ci sono les intermittent du spectacle, hanno una legge secondo la quale, con più di 42 prestazioni l’anno, c’è una sorta di indennità».
Religione Adora suonare nelle chiese, pensa che la musica sia il linguaggio di Dio. «A volte fai un gesto che pensavi di non saper fare, un gesto che secondo me arriva da un’ispirazione quasi divina. L’artista è il collegamento tra la terra e il cielo».
Strizzacervelli «Duecento concerti l’anno, forse ha l’horror vacui? “Chissà, forse sì. Ho soprattutto paura della noia. C’è un sogno ricorrente che faccio, quello di essere chiuso come in una sorta di gabbia, di piccolo spazio in cui non mi posso muovere. Questo mi fa pensare proprio alla noia, che non mi appartiene. Non dormo mai di giorno, anche se ho passato una notte in bianco. La giornata si usa per fare”. Ha un rapporto un po’ compulsivo con il “lavoro”. “Direi che mi piace creare dal nulla. Creare una casa, l’idea di costruire mi appaga. Una cosa straordinaria è avere una parete bianca libera dove inventare, mettere un quadro, disegnare. Poi realizzare una partitura da zero”. Mai andato da uno strizzacervelli? “Freud diceva che l’artista è uno dei pochi che non si possono psicanalizzare. L’idea della creazione è di per sé una operazione di psicanalisi. Anche se non si può generalizzare, l’artista è uno che trova l’equilibrio con se stesso attraverso lo strumento creativo che possiede”» (Pavane).
Curiosità Ha una quindicina di trombe • Un artigiano olandese ha costruito un flicorno chiamato «modello Fresu» • Dice che con gli strumenti vuole mantenere «un rapporto di distacco», «sono oggetti che restano un mistero, come del resto la musica» • Parla sempre a bassa voce • Quando non suona, gli piace passeggiare e occuparsi della casa • Possiede cavalli e asini • Legge moltissimo: ama la letteratura latinoamericana, Marquez, Allende, Neruda e Saramago • Piatto preferito: minestra bollente in brodo di carne, sua madre gliela prepara anche in agosto • Non sa nuotare • «Non sono un sommelier ma quando viaggio amo sempre assaggiare il vino locale, trovo sia un modo per conoscere realmente il luogo in cui vai e un bel modo conviviale per rapportarsi agli altri» • ««Quando sono in viaggio scrivo, compongo musica, penso a nuovi progetti» • «Su un muro della Feltrinelli della stazione di Firenze Santa Maria Novella c’è una mia frase, estratta dal libro in cui, per spiegare lo swing, racconto di avere scritto il brano Fellini sul tratto Firenze-Bologna, quando il treno vi impiegava un’ora e 40 minuti, mentre oggi che l’alta velocità ha tagliato i tempi non avrei potuto scrivere quella melodia di 16 battute» • «Una volta a Bombay in India sono uscito dall’area-concerto e per rientrare e salire sul palco, non sapendo la lingua, ho dovuto pagare il biglietto» • «È vero che ai suoi esordi ha lavorato anche con Pippo Baudo? “Sì, mi volle a Domenica In. Durai poco”» (Zincone) • Memore dell’amore per la lingua di suo padre, sta lavorando a un «dizionario emotivo» per salvare le parole sarde in via di estinzione • «Il sardo è la mia prima lingua. Io penso in sardo» • «Se pensa in sardo, suona anche in sardo? “So che, alla fine di un concerto, arriva sempre uno che dice: si sentiva un pezzo di Sardegna. Forse è vero, non saprei. L’attore può interpretare altri da sé, il musicista, sul palco, è solo con se stesso”. Perché suona seduto, in precaria posizione fetale? “So che in quella posizione la musica funziona bene. Infatti, due volte, a New York e a Firenze, la musica non stava funzionando e sono cascato per terra. Per fortuna, la gente ha pensato che fosse una specie di performance”» (Morvillo) • «Grazie a lei, Berchidda, una volta all’anno, diventa l’ombelico del mondo del jazz. “Per il “Time in Jazz”, c’è gente che arriva da tutti i Paesi e lì nascono collaborazioni, amori, c’è chi s’incontra e si sposa. Quando arriva uno da New York e vede questo paesino abbarbicato sulla collina e gli dicono “quello è il posto dove suonerai” ed è un posto che puoi circoscrivere con un dito, so che si sta chiedendo perché mai è venuto. Poi arriva e trova un laboratorio umano straordinario. Al bar vedi il pastore che parla col jazzista australiano, non si capisce in che lingua, forse quella della birra”» (ibid) • Durante la pandemia non ha mai avuto paura. «Fortunatamente, non conosco la paura. Chi ha vissuto in campagna per tanto tempo, ha l’abitudine di rispettare gli avvenimenti che il tempo ci offre, e di accettarli» • Dice che per lui il silenzio è un bene fondamentale. «Amo la musica silenziosa e la gente silenziosa. Forse perché vengo da una terra, la Sardegna, forgiata dai silenzi» • Mario Luzzatto Fegiz scrisse il necrologio di Andrea Parodi dei Tazenda: peccato che i dettagli biografici si riferissero alla vita di del jazzista Paolo Fresu (poi si scusò, con un messaggio postato sul sito di Fresu) • Più invecchia, più ama riflettere sul tempo. Dice: «In fondo, il tempo è eterno. Peccato che non lo siamo anche noi».
Titoli di coda «Quando molti mi scrivono di essersi svegliati con il malumore, ma di essersi poi rallegrati dopo aver sentito una certa musica, mi commuovo. L’idea che tu, con le tue povere note, possa cambiare lo stato d’animo di una persona, è una cosa straordinaria. Ti fa sentire parte di questo mondo, ti rendi conto di quanto la tua scelta di vita sia importantissima».