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 2023  febbraio 13 Lunedì calendario

Biografia di Enza Sampò

Enza Sampò, nata a Torino il 14 febbraio 1939 (84 anni). Conduttrice. Autore televisivo. Giornalista pubblicista. «Quel che con il tempo abbiamo perduto non è la cultura, o la morale: è il gusto. Per questo la tv generalista non può che peggiorare» (ad Aldo Cazzullo). «Era un altro gusto. Era una tv forse meno democratica, nel senso che agli stupidi non si dava voce. […] Alla presenza negativa non bisogna dare voce perché, una volta che li porti in tv, li hai legittimati. Hai legittimato ignoranza e stupidità» (a Walter Veltroni) • «“Sono nata nel ’39 a febbraio, abitavamo a Torino ma mio padre era già stato richiamato in marina ed era a Taranto, sotto le armi. Lui era un funzionario della Nebbiolo, una azienda che costruiva macchine tipografiche. Mia mamma era impiegata, ma con una grande passione per la lirica. Aveva già cominciato a fare piccoli concerti, era proprio brava. Poi, scoppiata la guerra, ha dovuto occuparsi di me e tirare avanti. E per questo faceva la sarta. Si è inventata un metodo di taglio molto moderno, qualcosa di sconosciuto in quei tempi. Siamo sfollati nelle Langhe, il posto che amo di più al mondo. […] Eravamo una comunità, in quel tempo terribile. Ho vissuto un’infanzia meravigliosa. Meravigliosa e privilegiata: i bambini lì ancora avevano gli zoccoli con la paglia dentro per andare a scuola, io invece già avevo gli scarponcini, perché mamma aveva inventato questa scuola di taglio con tantissime allieve. […] Mio padre […] è venuto pochissime volte in licenza, praticamente l’ho rivisto quando avevo otto anni, e mi scocciò molto questo ritorno, perché io stavo tanto bene con mia mamma nel letto grande. Arrivò questo qui che prese il mio posto, e poi nacque pure mia sorella: un dopoguerra tremendo”. […] La guerra, come te la ricordi? “Ricordo i partigiani: vivevamo vicino ad Alba, era la zona calda, quella raccontata […] da Fenoglio. Uno mi pare si chiamasse Lulù: era un mito, nella zona. Noi bambine andavamo a scuola, e non ci facevano mai mettere golfini o sciarpe rosse perché avevano paura che ci potessero scambiare per garibaldini e ci sparassero. Quando andavamo a scuola ci abbassavamo istintivamente perché su due colline diverse c’erano i partigiani e i tedeschi che si sparavano”. […] Poi torni a Torino, bambina… “Fu un periodo infelice per me: tornai a scuola in quarta elementare e feci la corsa del gambero. Infatti a Monforte ero proprio brava, a Torino invece ero molto indietro rispetto agli altri. Noi eravamo rimasti ai problemi con la mamma che comprava le uova, qui invece erano tutti dei geni. Ero mortificata: da lì ho detestato sempre la scuola, perché mi sentivo inadeguata. Avevo nostalgia di Monforte”» (Veltroni). In seguito, «frequentavo senza convinzione un istituto di lingue. Mia mamma aveva una scuola di taglio e pretese che io prendessi il diploma di maestra di taglio» (ad Alessandra Comazzi). «Mamma […] voleva far di me una mannequin, dato il mio – dicevano un tempo – bel personalino…» (a Francesco Specchia). «Ero graziosa, molto moderna, un po’ androgina, rispetto alle bellezze poppute di allora. Ero alta, portavo dei tacchi robusti, facendo l’indossatrice, oppure le ballerine, proprio come le ragazze di oggi. La modella, ho cominciato a farla in un salone che credo fosse il primo di prêt-à-porter. Mi divertiva, ma mi sembrava un po’ vuoto, quel mondo». «A casa Sampò la tv è legata al sapore della maionese. “Non avevamo il televisore: andavamo a vedere i programmi a casa di un signore del nostro palazzo. Per noi bambini era una festa, perché era un rappresentante di commercio e ci regalava i campioncini di maionese in tubo. All’epoca c’era solo il dentifricio in tubetti: quella novità ci piaceva da matti”» (Silvia Fumarola). «E in televisione come sei arrivata? “Il provino televisivo, l’ho fatto con la persona a cui sarò sempre grata, perché è stata sempre presente nella mia vita. Mentore e pigmalione, Maurizio Corgnati, poi marito di Milva, era un uomo raffinatissimo, coltissimo, abitava nel mio palazzo ed era lo zio di una mia compagna di scuola. Ci portava a teatro, ci faceva leggere libri, mi ha proprio aperto la mente. Era un intellettuale puro. Tanto era colto quanto era incapace di ogni attività concreta. Allora i provini televisivi per una ragazza erano solo per il ruolo di annunciatrice. Dissero alla fine una cosa tipo: ‘Giovane tutto pepe adatta solo a programmi per ragazzi’. Così cominciai a fare programmi per ragazzi”. In che anni siamo? “Nel ’57: in quell’anno ho cominciato”. E come iniziasti? “Facendo un programma che si chiamava Anni verdi. Partiva con l’inquadratura di un mazzo di rose, sfumava sulle nostre teste e poi finalmente parlavamo, ed era un incontro di giovani che discutevano dei loro problemi. Ma se mi ricordo bene era tutto scritto, cioè non c’era veramente la libertà di esprimere le proprie opinioni. Poi feci Il circolo dei castori. Ancora adesso trovo dei vecchietti che lo vedevano. Lo presentava Febo Conti e io facevo la spalla. Però già come conduttrice, non come valletta”» (Veltroni). In quel periodo «“incontro un giovane giornalista siciliano, bello, galante, capelli neri, occhi scuri: Emilio Fede. Teneva una rubrica di motori sulla Gazzetta del Popolo e arrivava sgommando su una spider. Fu il mio primo fidanzato. Durò fino a quando mi accorsi di non essere la sola. Salgo sulla spider e lui mi dice: ‘Tieni, Enza, hai dimenticato i tuoi occhiali da sole’. Non erano i miei. Sono scesa sbattendo la porta e non l’ho mai più voluto vedere. […] Cambiai città, da Torino a Milano. In corso Sempione mi presentai all’usciere: cosa potrei fare? Lui mi introdusse alla signora Marta, la segretaria della direzione varietà. Lei mi disse che non ero adatta e mi smistò ai programmi culturali: il mio si chiamava Lei e gli altri. Alle prove veniva a vedermi un ragazzo con gli occhiali spessi, non bello ma molto simpatico”. Umberto Eco aveva chiesto di lei ma avevano sbagliato il nome, così l’approccio diventa una gaffe: “Signorina, io la conosco, lei si chiama Elena…”. “Nacque un rapporto tenero, sognante. Sembravamo i fidanzatini di Peynet. […] Io di politica non sapevo nulla, lui me ne parlava sempre”. […] La famiglia Sampò non è entusiasta dell’intellettuale gauchiste che frequenta la figlia. “Mi faceva leggere Moravia e Nabokov. Ma quando mia madre mi trovò in camera La noia e Lolita si infuriò e insistette perché lo lasciassi. Allora lui le scrisse una lettera molto bella, per dirle che era importante per me leggere tutti i libri, anche quelli”. Nell’estate del 1960 la Sampò è in Sicilia per una serata con Enzo Tortora. Piero Turchetti, il regista di Campanile sera, la nota e la scrittura: Bongiorno conduce in studio, lei e Tortora dalle due città che si sfidano» (Cazzullo). «Sembrava incredibile che una donna potesse fare l’inviata. Quando l’annunciai a mia madre, il commento fu: “Cosa dirà la zia?”. Ricordo che mi scortava un funzionario, e nei paesi dove arrivavo mi gridavano: “Vai a fare la calzetta”. Oggi è un altro mondo». «La mia prima piazza fu Senigallia, dove non mi accolsero con grande entusiasmo. Quello che pensavano, si leggeva sui volti di tutti: era chiaro, qualcuno considerava Senigallia una cittadina di serie B, se la Rai aveva mandato a condurre la serata quella ragazzetta così giovane e sconosciuta… Quella sera Senigallia perse. Ma, mentre il paese piangeva la propria sconfitta, io ero all’apice della felicità: Senigallia aveva perso, ma io, la mia prova, l’avevo superata». «Fu un incontro bellissimo con Mike e con Enzo. Io ero intimidita da questi due mostri sacri, avevo vent’anni. Loro mi spingevano molto a venir fuori. Allora mi inventai di dare le ricette, essendo una donna, dal luogo dove ero. […] Mi arrivavano tanti pizzicotti sul sedere, durante i collegamenti. Ero sempre scortata dai carabinieri. Devo dire, di Campanile sera, che era tutto bellissimo. Era il programma simbolo di quel tempo, in cui l’Italia cresceva e si unificava. Viaggiare allora era difficile, e quei collegamenti facevano scoprire il Paese. E parlavo degli italiani veri, quelli dei quali nessuno si occupava. L’ignoto bibliotecario diventava eroe, protagonista. […] Umberto aveva scritto la Fenomenologia di Mike Bongiorno molti anni prima, su Il Verri, una rivista letteraria. Però sulla stampa popolare uscì molti anni dopo, e quando ci lasciammo – lui non capiva bene ancora il perché e temeva avessi un altro – mi disse: “Guarda, per favore non con Mike, sennò diranno che ho scritto la Fenomenologia per gelosia”». «È vero che Mike ci provò, ma lo facevano un po’ tutti, perché ero l’unica donna del gruppo che non fosse maggiorata e con piglio maschile. Andavano di moda la Allasio e la Campagnoli: io ero – consenta – un po’ Audrey Hepburn…». Con Eco, però, «finì perché non è facile essere la donna di un genio. E Umberto già allora era geniale: anche troppo, per me. Mi sentivo inadeguata, non abbastanza colta, non alla sua altezza. […] Eco leggeva, pensava, scriveva di continuo e si attendeva che tenessi il suo passo. Era un esame perpetuo. A volte mi rimproverava aspramente. Una sera sbagliai il nome di un pittore, dissi “Mignaco” per “Migneco”, e lui mi fece una scenata. Alla fine del ’60 progettavamo di sposarci. In effetti ci siamo sposati poco tempo dopo, ma con un’altra persona». «Nel 1962 mi sono sposata con l’uomo della mia vita, Ottavio Jemma, un altro maestro, sceneggiatore colto, raffinato, schivo, un gentiluomo del Sud che mi accettava per quello che ero. Con lui abbiamo avuto tre figli. Umberto, pochi mesi dopo il mio matrimonio, s’è sposato con Renate e ha avuto due figli» (a Tiziana Sabbadini). Nel frattempo, all’inizio del 1960, le era giunta, «“inaspettata, una chiamata per il Festival di Sanremo. Visto che eravamo sotto la data della manifestazione, ho sempre pensato che qualcuna doveva aver rinunciato…”. C’era Paolo Ferrari… “C’era Paolo Ferrari, adorabile. Fatto Sanremo, hai fatto la televisione. Lì ebbi la contestazione dei discografici. Del regolamento poteva parlare Ferrari, perché maschio. Io facevo il riassunto delle canzoni e l’annuncio delle canzoni, ma smorzavo gli applausi. Lì c’era la claque: io invece annunciavo, uscivo e via. I discografici impazzivano. Vinsero Dallara e Rascel con Romantica”. […] “Dopo Campanile sera io ho fatto una sosta di due anni perché ho avuto il mio primo figlio Umberto. Poi andai in Rai dicendo: ‘Guardate, io potrei tornare a lavorare’. E mi chiamarono per Cordialmente. Facevo in studio le interviste a persone semplici, a gente comune”» (Veltroni). «Cordialmente, a metà degli anni ’60, la incoronò intervistatrice di buone maniere e buona grazia, con quel pizzico di ironia indispensabile per non esser melensi» (Simonetta Robiony). «Diventa speaker e intervistatrice nella redazione del Tg delle 17, alternandosi in video con Bianca Maria Piccinino. Insomma, nella sua lunga carriera ha modo di sperimentare tutte le esperienze, dalle più “frivole” […] alle più impegnate e serie. Dopo una lunga, inspiegabile dimenticanza, viene recuperata dalla Rai nell’autunno del 1983 per un nutrito numero di puntate sulla celebrazione dei trent’anni della Rai. Nel 1984 occupa la fascia meridiana di Rai 2 con Che fai, mangi?, e poi Cordialmente e ancora Prima edizione con Mario Pastore (rassegna stampa in onda alle 7 del mattino), fino alla sconcertante formula di Io confesso. Parole segrete in tv, nel 1989. […] Tunnel e cabine di plastica sono lo scenario surrealistico di questo programma, che, secondo le parole del suo autore Sandro Parenzo, “predilige l’immaginario all’immagine”. Ombre e voci caratterizzano le confessioni degli anonimi ospiti, che, obbedendo a impulsi di esibizionismo o di automortificazione, compiono a ogni puntata un percorso quasi rituale teso al disvelamento del proprio segreto. La Sampò è una convincente suora laica del primo confessionale laico della storia italiana. […] Seguono Sta arrivando la bufera (rievocazione degli ultimi dieci giorni di pace prima della Seconda guerra mondiale), La mia guerra (1990), Bambirichinate e […] Scrupoli per Rai 2» (Aldo Grasso). Dopo quasi un decennio trascorso dietro le quinte quale autore televisivo, tornò davanti alle telecamere dal 2004 al 2008, dapprima come co-conduttrice di Unomattina, insieme a Franco Di Mare, su Rai 1 e poi – in seguito a dissidi con l’allora direttore di rete Fabrizio Del Noce – come titolare di una rubrica all’interno di Cominciamo bene su Rai 3. «Nel 2008 conclude tre anni alla conduzione di Cominciamo bene, e da quel momento le apparizioni in tv si fanno più rare. La conclusione di quell’esperienza coincide con il traguardo del mezzo secolo davanti alla telecamera. Mezzo secolo di impegno devoto, garbato, ironico, senza urla, senza scandali, e senza un contratto d’assunzione. Il volto storico della Rai non ha mai avuto nulla di più di un contratto da collaboratrice» (Massimiliano Jattoni Dall’Asén). «Una sola volta tentai una causa per farmi assumere. Mi avrebbero mandata a Campobasso come programmista: i miei tre figli erano piccoli e quel lavoro non mi interessava. Sono una nonna iscritta all’albo dei pubblicisti» • Vedova, tre figli. «Uno insegna Meccanica all’Università, uno è avvocato, il terzo campione di deltaplano. Per fortuna nessuno ha voluto lavorare in tv: non avrei saputo come aiutarlo» • «Cucire mi piace sempre, e, tutte le volte che mi compero qualcosa, poi lo modifico» • «Gianni Minoli dice che lei è un po’ gatta morta. Gli altri lo pensano. “Certo, mai stata una santerellina, ma per far carriera non sono mai passata, come era uso, per le lenzuola”» (Specchia) • «Facevo Tandem, una trasmissione per ragazzi. Due cameramen mi regalarono il libro di Maria Bellonci che si intitolava Tu vipera gentile. Mi riconosco in questa definizione? Un po’ sì. Senza un pizzico di veleno, questo lavoro non si può fare» (a Francesco Faranda) • «È la “signora” della tv italiana. Non più solo annunciatrici o vallette, le donne, grazie a Enza Sampò, al suo volto sereno e rassicurante, alla sua immagine di donna sobria ed efficiente, capace di pensare e parlare, trovano in video nuove strade televisive. […] Disinvolta e vagamente austera, Enza Sampò non scatena le rituali e facili passioni da teleschermo ma gode di grande credibilità per la professionalità, l’intelligenza e una indubbia classe. Ha un solo difetto: la voce un po’ misteriosamente lamentosa, che le è valsa svariati nomignoli, quali “la voce nella tempesta”, “l’oboe sommerso” e “la sampògna”, e ha permesso a Campanile di coniare l’ironica locuzione “parlar sampese”» (Grasso). «Imperturbabile, elegante, cortese. Un miracolo paragonabile solo a Elsa Martinelli: ossa messe bene, sguardo vivace, classe» (Robiony). «È stata una protagonista di rilievo della storia della televisione italiana. Sapeva far tutto: essere colta e lieve, sofisticata e popolare. È stata tra le prime “donne parlanti”, in una Rai tutta al maschile. Oggi è una bellissima signora di più di ottanta anni, con la stessa magnetica dolcezza e la stessa intensità di quando presentava programmi o raccontava storie a milioni di italiani» (Veltroni) • «Lei ha fatto di tutto, dal tg alla cronaca nera alla tv dei ragazzi. Com’è possibile? “Guardi, potessi, io farei anche il cameraman: per la tv ho una passione viscerale. Ho sempre avuto la sensazione di saperla fare, non so come spiegarle: forse come Berlusconi”» (Specchia) • «Sei mai stata censurata? “Una volta, per la pubblicità. Avevo fatto gli spot della Bassetti, abbigliata come vestivo allora, con i pantaloni. Al marketing, severissimi, era risultato che ero fallocratica, per cui mi misero i vestiti con la gonna…”» (Veltroni) • «Il tuo stile era lieve, mai aggressivo, quasi confidenziale. “C’era un grande rispetto e un senso di responsabilità nei confronti del pubblico, ma anche della persona che intervistavi. Mi veniva naturale, perché io sono così. Lieve era quella televisione, che insegnava agli italiani a leggere, a conoscere i classici, a divertirsi con il varietà. Era informazione, educazione, divertimento. Assomigliava a quel Paese adolescente”» (Veltroni). «La tv è diventata barbara perché rispecchia i tempi che viviamo. […] Non voglio sembrare una vecchia signora, ma basterebbe usare un po’ di educazione. In tv è sparito il pudore dei sentimenti». «Una speranza? “Fazio, che presenta libri e fa ascolti”» (Sabbadini) • «Adesso quali programmi segue in televisione? “Io sono onnivora, vedo di tutto. Se un programma non mi piace, cambio canale. La sera poi guardo poco la tv, perché vado a letto presto”» (Gianfranco Gramola) • «Com’è cambiato il ruolo delle donne in Rai, in televisione? “Secondo me, moltissimo. Per esempio La7 ha una politica al femminile ricchissima, che offre tante sfumature dell’impegno delle conduttrici. Osservo che lì, come su Rai 3, prevale la dimensione politica: è come se le donne avessero voluto raggiungere la tv con argomenti considerati tradizionalmente maschili”» (Veltroni). «Diciamo che noi eravamo le donne della tenacia, loro quelle della grinta» • «Non ho nostalgia del video. Anzi, è capitato che sbattessi la porta alla tv […] perché non condividevo il progetto. Posso avere nostalgia della redazione, questo sì. E, infatti, la notte me la sogno: quasi tutte le notti, pensi che stupida…» (a Lavinia Capritti) • «Forse, potendo tornare indietro, sarei meno rigida: sarà l’educazione piemontese che mi ha condizionata, chissà. Mi concederei un po’ più di leggerezza» • «Se dovessi rivivere un istante della tua vita, quale sceglieresti? “Professionalmente, quando mi chiamarono per Campanile sera, una trasmissione che è rimasta nella storia della tv. Personalmente, non so. Ho avuto una vita bella, piena, ma anche sempre combattuta. Non ho mai avuto tutto facile. Mi verrebbe da dire la nascita dei figli, ma quello è persino ovvio. La verità è che dentro di me abita un fondo di malinconia…”» (Veltroni).