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 2023  febbraio 17 Venerdì calendario

Biografia di Roberto Baggio

Roberto Baggio, nato a Caldogno (Vicenza) il 18 febbraio 1967 (56 anni). Ex calciatore, di ruolo attaccante (Vicenza, Fiorentina, Juventus, Milan, Bologna, Inter, Brescia; Nazionale italiana). Insignito del Pallone d’oro e del titolo di Miglior giocatore del mondo Fifa nel 1993. Vincitore, con la Juventus, del campionato 1994/1995, della Coppa Italia 1994/1995 e della Coppa Uefa 1992/1993 e, col Milan, del campionato 1995/1996. «Io volevo solo giocare a pallone» • «“Caldogno è un paese di ottomila anime, a dieci chilometri da Vicenza, sulla strada di Thiene e Schio. Sono il sesto di otto fratelli: Gianna, Walter, Carla, Giorgio, Anna Maria, io, Nadia, Eddy”. Una famiglia sportiva. Dopo un inizio da calciatore, tuo padre Florindo è stato un buon ciclista. […] “Mio fratello si chiama Eddy in onore di Merckx. […] Walter si chiama così perché quello era il nome di Speggiorin, un’ala del Vicenza, Giorgio è un tributo a Chinaglia”. E il tuo nome? “In onore di Boninsegna e Bettega. Erano due idoli, per mio padre”. […] La tua era una famiglia ricca, o almeno benestante? “No, al contrario. Spesso i miei non avevano neppure i soldi per farci i regali a Natale”» (Enrico Mattesini). I fratelli Baggio «tutti insieme vivevano nella casa sopra la carpenteria di papà, dove ogni tanto passavano per qualche ora di lavoro» (Luca Bianchin). «“Ero ammalato di calcio. Già a sei anni giocavo con la pallina da tennis o una palla di carta bagnata e indurita sul termosifone: insomma, giocavo con tutto ciò che aveva qualche forma sferica. Il campo da calcio era il nostro corridoio di casa, in via Marconi 3. Misurava due metri per sette, era perfetto per giocarci in due contro due. In quel corridoio c’era tutto: le gradinate, la curva, le urla dei tifosi. Il bagno era la porta. Mi facevo la radiocronaca da solo, i goal li segnavo tutti io. Era fantastico. Solo quando andavo a letto, e l’emozione svaniva, mi rattristavo, e mi dicevo che sarei dovuto crescere in fretta, per trovare una squadra e uscire da quel corridoio”. […] Volevi sempre giocare con quelli più grandi di te. “Ero testardo: se non mi facevano giocare a calcio, piantavo delle grane incredibili. Quando Walter giocava contro i professori, volevo essere della partita. Una volta – fu l’iniziazione regolare – si vide costretto a portarmi perché mancavano alcuni giocatori titolari. Da allora non ho più smesso”. […] Dedicando tutto il tempo al calcio, come “facevi” a scuola?“Facevo male. Infatti in seconda media mi hanno bocciato. Ero sveglio, ma non mi applicavo: si dice così, no? Per me, studiare voleva dire sottrarre tempo all’allenamento. […] Una volta, il professor Todescato ha detto a mio padre: ‘Se i libri fossero rotondi, insegnerebbe anche a noi’”» (Mattesini). «Il calcio di Baggio da ragazzino è semplice in modo disarmante. […] “Avevo solo un pensiero – ricorderà, evocando questo periodo –: prendere la palla e andare dritto in porta”» (Stefano Piri). «Già a dieci anni, eri per tutti un fenomeno. Gli amici ti chiamavano “Guglielmo Tell”, perché ti allenavi a tirare le punizioni mirando i lampioni. E li centravi sempre. “Già, e dopo averli colpiti il maresciallo Rizzi ci inseguiva! Ero un diavolo, altroché. Mi piaceva sfidare gli amici. Li facevo mettere in barriera, poi dicevo: ‘Adesso colpisco il palo’. Mi andava bene dieci volte su quindici (poi la media è migliorata…). La storia arrivò anche al parroco: una volta mi fece i complimenti. Sicuramente mi ha dato una benedizione. Una sua, speciale”. Dicono che la formazione Giovanissimi del Caldogno, nel ’79, fosse straordinaria. “Ho avuto la fortuna di militare in squadre giovanili piene di talenti. È successo anche con gli allievi del Vicenza: molti giocatori erano gli stessi. Ci seguivano anche in trasferta. Dicevano che io ero la ‘promessa delle promesse’. Nel ’79 ho fatto 42 gol e 20 assist in una sola stagione. Senza rivali”. […] Per quanto giovane, le tue doti avevano attirato un procuratore dalla vista lunga come Caliendo.“Ero appena un ragazzino, ma lui disse ai miei genitori che avevo bisogno di un procuratore. […] Loro provarono a resistere per sei mesi, poi si fecero convincere. Nell’80, a 13 anni, mi acquistò il Vicenza – il presidente era ancora Farina – per cinquecentomila lire”» (Mattesini). «Nel 1985 Baggio riceve il primo riconoscimento della carriera, il Guerin d’oro come miglior giocatore della Serie C, e la chiamata della Fiorentina» (Piri). «Pare che Roberto abbia saputo del trasferimento alla Fiorentina in officina, mentre papà gli diceva di pensare agli stampi, ché della Serie A si poteva anche parlare a cena. In quei giorni Baggio […] diventò il diciottenne più pagato d’Italia e commentò: “Continuerò la mia vita, calcio e fabbrica. Spero solo che mio padre mi conceda qualche ora di riposo in più”» (Bianchin). «Già da ragazzino è un fenomeno, tanto da venir comprato a 18 anni da Pontello nell’85 per una cifra record: 2 miliardi e 700 milioni. Due giorni dopo l’accordo, gioca ancora nel Vicenza e affronta il Rimini di Sacchi. Entra in scivolata: saltano il crociato anteriore, la capsula, il menisco e il collaterale del ginocchio destro. Pontello è un signore: non denuncia il contratto» (Giorgio Tosatti). «I professori che guardavano il mio ginocchio scuotevano la testa e dicevano che era molto difficile che io tornassi a giocare al calcio» (a Walter Veltroni). «È alla madre Matilde che lo assiste in ospedale che Roberto, devastato dal dolore, dice: “Se mi vuoi bene, ammazzami”. E lei, in risposta: “Tu sei matto”. […] “Mi operò il professor Bousquet a Saint-Étienne: 220 punti interni, bucò la testa della tibia con il trapano, tagliò il tendine, lo fece passare dentro”» (Emanuela Audisio). «Torna in campo all’inizio del campionato ’86/’87 contro la Sampdoria, in una partita che la Fiorentina vince facilmente per 2 a 0. […] Pochi giorni dopo, in allenamento, il menisco salta di nuovo. Forse è questo il momento in cui una zona di oscurità entra nella vita di Baggio per non uscirne mai più. […] Uno dei pochi amici che frequenta in quel periodo è Maurizio Boldrini, membro della Soka Gakkai, la scuola italiana del buddhismo giapponese. Dopo un breve apprendistato, Baggio si aggrappa alla nuova filosofia come un naufrago a una tavola di legno, e attraversa un periodo di vero e proprio fervore spirituale. […] “Senza il buddhismo non avrei mai superato i miei problemi fisici”, dirà tanti anni dopo. […] Roberto Baggio riesce a rientrare in campo alla penultima di campionato, giusto in tempo per partecipare da avversario alla festa del primo scudetto del Napoli di Maradona al San Paolo. Una manciata di minuti dopo che Carnevale ha portato in vantaggio gli azzurri, il nuovo (di fatto) fantasista viola va sul pallone per calciare una punizione poco fuori dall’area di rigore. Il primo gol in Serie A di Roberto Baggio è carico di suggestioni simboliche: la nascita di un nuovo immenso 10 (anche se quel giorno indossa l’11) nel giorno della grande festa del più grande numero 10 di sempre, con una parabola lenta, tagliata e paradossale, proprio come quelle che spesso nascevano dal piede di Maradona. È facile vederci un’investitura» (Piri). «Il Mondiale del ’90 sarebbe stato il loro mezzogiorno di fuoco. Maradona lo finì in lacrime, Baggio in dribbling, tra difensori inglesi. Aveva ragione il vecchio Valcareggi, che alla prima occhiata aveva sentenziato, in riva all’Arno: “Questo ragazzino ci regalerà spettacolo e gol bellissimi”. A forza di spettacolo e gol bellissimi, Baggio si ritrovò in pugno i cuori di Firenze, come era capitato ad Antognoni. E quei cuori sanguinarono, quando arrivò la Juve a portarselo via» (Luigi Garlando). «Firenze […] nel ’90 scese in piazza per non separarsi dal suo capolavoro Baggio. Anche le nonne protestarono dalle terrazze gettando vasi di fiori contro gli agenti. Tanto che uno stupito questore, dopo aver disposto il coprifuoco, parlò della rivolta come di “una psicosi di folla”. […] Nei suoi occhi quella Firenze c’è ancora. “Si chiama riconoscenza, e l’ho provata per una città che mi ha aspettato per due anni, anzi tre. […] Io non volevo lasciare la Fiorentina, […] ma ho scoperto che i proprietari uscenti, i Pontello, mentivano: mi avevano già ceduto agli Agnelli”» (Audisio). «Vicini lo porta ai Mondiali: lui e Schillaci sembrano chiusi da Vialli e Carnevale. Ma sono più freschi e veloci, il ct punta su di loro e l’Italia infila vittorie su vittorie. La vigilia della gara con l’Argentina di Maradona porta Vicini sulla cattiva strada: preferisce un Vialli svuotato a Baggio (entrerà solo nel finale come regista). Il primo dei tradimenti azzurri. Si va ai rigori. Sbagliano Donadoni e Serena, Roberto segna il suo. Si consola contribuendo al successo sull’Inghilterra e al terzo posto. Nella Juve, andato via Maifredi, si trova in difficoltà con Trapattoni. Il quale considera Baggio un centrocampista, non un attaccante. […] In suo soccorso arriva Sacchi. Quando diventa ct, lo porta in Nazionale come punta. Roberto segna, e Trap deve adeguarsi. Poi insieme faranno bene, tanto da far diventare la Juve un po’ baggio-dipendente. Il rapporto fra Sacchi e Roberto è idilliaco. Ma il giocatore ha una valutazione eccessiva di sé. Così, quando nella seconda partita del Mondiale ’94 viene espulso Pagliuca (al 21’), s’imbizzarrisce, vedendosi sostituito. Dà del matto ad Arrigo, la cui scelta è vincente. Tutto cancellato dalla doppietta sulla Nigeria, riacciuffata negli ultimi secondi e battuta nei supplementari. Poi tocca alla Spagna, poi alla Bulgaria. Roberto è l’eroe non solo italiano dei Mondiali Usa. Arriva esausto e lievemente infortunato alla finale col Brasile. Ci sono Signori e Zola freschissimi. Sacchi è combattuto fra la gratitudine e le magie di Roberto e la paura che non regga. Gli domanda se ce la fa. Può dire di no, uno che sogna questo giorno da quando ha dato il primo calcio al pallone? Ma è spento. Sacchi sbaglia a non rimpiazzarlo. Lui fallisce il rigore conclusivo, dopo quelli già sbagliati da Baresi e Massaro. Ancora si domanda come il pallone sia andato sopra la traversa: non gli era mai accaduto di tirare alto» (Tosatti). «Da piccolo avevo un sogno ricorrente. Immaginavo di giocare la finale di un mondiale con il Brasile. Io sono uno di quegli esseri umani fortunati che può dire di aver realizzato un sogno. […] Poi si arriva ai rigori, e sbaglio. Mi sono sentito morire. […] È stato difficile. Ancora adesso non l’ho accettato. Sono stato io a mandare in tribuna l’happy end del mio sogno, che in quel momento era quello di tutti gli italiani. Mi dispiace ancora oggi». Ciononostante «Pallone d’oro, secondo ai Mondiali, giocatore più famoso del pianeta. Basta un anno nella Juve di Lippi per trovarsi emarginato. Galliani lo porta al Milan, dove Capello riesce a far coesistere lui e Savićević vincendo anche lo scudetto: eppure nessuno dei due gli è grato. Si divertirà assai meno con Tabárez e Sacchi l’anno dopo. Ulivieri gli farà la guerra a Bologna, poi troveranno un’intesa e Roberto si presenterà brillante come un ragazzino al suo terzo Mondiale. Lui e Vieri formano un tandem irresistibile, ma Cesare Maldini non crede fino in fondo a Roberto, punta su un Del Piero fresco d’infortunio, cui fa giocare gran parte della gara decisiva con la Francia. Ancora fuori ai rigori, Baggio fa il suo dovere» (Tosatti). «Ha trentatré anni Baggio quando sta all’Inter: dovrà ancora tagliarsi i capelli […] e chiudere la carriera a Brescia» (Paolo Brusorio). Vi visse quattro splendide stagioni, intervallate tuttavia dalla più cocente delusione. «Baggio meritava il quarto Mondiale, Corea-Giappone 2002, ma Trapattoni cambiò idea e decise di no. […] “Mi aveva ceduto il legamento crociato anteriore del ginocchio sinistro. Sono tornato in campo a 70 giorni dall’operazione: 3 gol nelle ultime tre partite. Per recuperare la forma mi sono spinto negli esercizi al di là del limite. Tutto inutile”» (Audisio). «Il viaggio finisce […] a San Siro. […] Sedici maggio 2004, lui ha la maglia del Brescia. Un’altra sostituzione, ma stavolta esce per sempre: “Vieni a vedere come sto giocando – dice al cameraman nello spogliatoio di San Siro –. Guarda qua, eh? Bisogna vedere il liquido che c’è dentro”, schiacciandosi la rotula» (Brusorio). «Può sembrare paradossale, ma in quel momento mi sentivo felice e realizzato. Di più non potevo fare. Ma ero felice di quello che avevo realizzato, e l’affetto del pubblico di San Siro, quando smisi in campionato, e di Genova, quando finii con la Nazionale, mi ripagò di tutto». «Baggio […] tornerà più volte sul momento del suo addio definendolo “una liberazione”. Una liberazione dal dolore fisico, certo, perché […] nelle ultime stagioni al ritorno a casa dopo le partite col Brescia Baggio non riusciva nemmeno a scendere dalla macchina. Ma anche una liberazione spirituale: lo dimostra negli anni successivi la decisione di allontanarsi dal mondo del calcio, e di rientrarci solo dopo molto tempo per presentare alla Federazione un gigantesco progetto di riforma radicale, che sarà naturalmente ignorato» (Piri). Oggi Baggio conduce «una nuova vita bucolica, lontana dal calcio e a contatto con la natura nella sua abitazione di Altavilla Vicentina» (Giovanni Pisano). «Ei fu. Come Mina, si è sottratto. La vita è altro, è splendida normalità, da uomo non illustre. È fare manutenzione, prendersi cura, vivere, non sopravviversi. “Spacco la legna, uso il trattore, l’escavatore, la sera sono così stanco che mi gira la testa”» (Audisio). «Tornerebbe mai nel mondo del calcio? “Non lo so. Sto tanto bene fuori. Il tempo passa veloce e la vita è fatta per fare le cose che ci piacciono”» (Leonard Berberi) • «“Divino Codino” (tradizione popolare); “Budhino” (detrattore anonimo); “Coniglio bagnato” (avvocato Agnelli); “Nove e mezzo” (Michel Platini). […] Se la fama di un personaggio si vede anche dai soprannomi che colleziona, Roberto Baggio detto Robi (appunto) non è secondo a nessuno» (Roberto De Ponti) • Tre figli (Valentina, Mattia e Leonardo) da Andreina Fabbi, sposata nel 1989. La conobbe a scuola, «a 15 anni e mezzo. E due settimane dopo avevamo deciso che avremmo avuto una femmina e un maschio, come primi due figli, e li avremmo chiamati Valentina e Mattia» • Suo storico manager e amico Valentino Petrone, «l’ispiratore della seconda vita di Baggio. Pure lui buddista, Petrone è l’uomo che ha lavorato per fare di Roby un’icona: l’ambasciatore dell’Onu, l’interlocutore di grandi personaggi come Aung San Suu Kyi, la birmana premio Nobel per la Pace cui scrive lettere. Non si muove foglia che Petrone non voglia» (Marco Ansaldo) • «Sua figlia dice che la notte lei pensa agli scherzi da fare agli amici. “Cerco di tenerli vivi così”. […] Colleziona finte paperelle. “Ne ho migliaia”» (Berberi) • Buddista. «Baggio medita mattina e sera, in tutto un’ora al giorno. Anche Andreina è buddista, mentre Valentina, la figlia grande, e gli altri due, Mattia e Leonardo, non sono estranei a questa filosofia, ma non praticano» (Audisio) • Dal padre ha ereditato la passione per la caccia, che pratica soprattutto in Argentina, «dove anni fa ha comprato una fazenda da 10 mila ettari che ha trasformato in zona di caccia privata» (Salvatore Garzillo). «Riuscire a pensare come l’animale che stai inseguendo, anticiparne le mosse è un gioco alla pari: istinto contro istinto, esperienza contro esperienza. […] Soltanto chi la vive con il mio stesso entusiasmo e rispetto può capire» • «A quale delle sette squadre in cui ha militato è rimasto più legato? “A tutte, davvero. Io tifo per tutte quelle in cui ho giocato. Anche se la mia squadra del cuore resta il Boca Juniors”» (Veltroni) • «Non guardo le partite, non mi divertono quasi mai. […] Io ora preferisco il basket, tifo Lakers, mi era simpatico Shaquille O’Neal, tifavo per Kobe, adoro LeBron, e andavo pazzo per Bolt, per la sua leggerezza caraibica e per la musicalità che hanno quei popoli. Mi piace il calcio femminile perché le donne hanno passione e carattere. […] Non parlatemi del golf: non lo capisco, mi annoia, l’ho provato e non cambio idea» • «Un caso unico nella storia del calcio: una sproporzione enorme tra la classe e i risultati. Non c’è mai stato un giocatore così amato, pur avendo vinto, tutto sommato, così poco (e non da protagonista)» (Tommaso Pellizzari). «Una carriera parcellizzata che ha trovato un tutto nella maglia azzurra» (Brusorio). «Artista del dribbling, attore e mai clown, gatto e puma, elegante e silenzioso, capace della carezza, pronto al graffio. […] Gigante e bambino, balocco prezioso per chi ama il gioco vero del pallone» (Tony Damascelli). «Roberto è stato uno dei più grandi calciatori italiani di sempre, ma per carattere non è mai riuscito a diventare un leader» (Gianni Rivera) • «Ah, da quando Baggio non gioca più/ […] Non è più domenica» (Cesare Cremonini, Marmellata #25) • «I tifosi le scrivono ancora. Cosa l’ha colpita di più? “Quando è scoppiata la pandemia in Italia un gruppo di fan cinesi ha contattato mia figlia sui social per mandare 60 mila mascherine, che ho dato all’ospedale di Vicenza e in giro. È una cosa che mi ha toccato profondamente”» (Berberi) • «Non ce l’ho con gli allenatori, credo che una certa gelosia da parte loro ci sarà sempre: noi abbiamo i piedi, loro la lavagna. L’unico con cui mi sono trovato bene è stato Carletto Mazzone, perché era un uomo libero e realizzato, e non si metteva in competizione con i giocatori» • «Mi piacerebbe giocare oggi. Con le nuove regole e tanta tv, certo avrei preso meno calci e avrei avuto meno infortuni» • «Avete bisogno di me? Ricordatemi con YouTube, le vecchie videocassette, un ritornello di Cesare Cremonini. Non aspettatevi che io vada in giro ad autocelebrarmi come una specie di Buffalo Bill col codino grigio» • «Quel rigore, l’ho tirato ancora, tante volte. In sogno, nel corridoio di casa, perfino in televisione. Ho sempre segnato. […] Terminato il sogno, mi sorprendo sorridente, come se avessi segnato sul serio».