24 febbraio 2023
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Biografia di Emilio Giannelli
Emilio Giannelli, nato a Siena il 25 febbraio 1936 (87 anni). Disegnatore. Vignettista. Avvocato. Già dirigente del Monte dei Paschi di Siena. «“Io parto dalla critica al fatto, non al personaggio. Senza pregiudizi”. Distingue il peccato dal peccatore, come Giovanni XXIII. “Sono per la puntura di spillo. L’offesa non rende servizio alla tua idea e ti fa passare dalla parte del torto”» (Stefano Lorenzetto) • Senese da generazioni, della contrada del Drago. Secondo figlio – dopo Enrico «Ghigo» (1934-2018) – di Fernando Giannelli, segretario generale del Comune di Siena nonché commediografo dialettale (con lo pseudonimo Gianferli), ed Elena Falaschi, «figlia dell’avvocato Enrico Falaschi, presidente dello stesso Monte dei Paschi, deputato liberale, sindaco di Siena nei primi anni del Novecento, “un massone di centro, ma questo non lo scriva”» (Lorenzetto). «Mia nonna si chiamava Ernesta: avevano deciso che sarei stato Ernesta. Io lo seppi in anticipo e nacqui maschio» (a Valeria Parboni). «La sua prima caricatura a pastello, disegnata all’età di 6 anni, raffigurava Vittorio Emanuele III in alta uniforme, con la scritta “W il Re”. […] La maestra Fatini ce la mise tutta, per correggerlo. Bacchettate sulle mani fin dalla prima elementare. “Ero mancino, rovesciavo le immagini. Sarei dovuto nascere arabo”. Divenne ben presto ambidestro. […] Scommetto che da studente faceva le caricature degli insegnanti. “Ha vinto. […] Agli esami di maturità la presidente era bruttissima, una scimmia. Mentre cercavo spunti per il tema d’italiano, mi venne spontaneo disegnarla. Alla fine scoprii con sgomento che bisognava consegnare anche le minute. Stetti male per una settimana. All’orale la mia insegnante di lettere mi rimproverò: ‘Perché ha fatto il pupazzetto tanto brutto della presidente?’. Risposi: ‘Mi spiace, non ho avuto il tempo di metterlo in bella’. La battuta mi salvò dalla bocciatura”» (Lorenzetto). «C’era la vocazione, eccome. Ma l’ha soffocata per obbedienza. Al “babbo”, che lo voleva avvocato come il nonno e che bloccò subito le sue deboli resistenze facendolo iscrivere al ginnasio, poi al liceo e infine, approdato all’università, a Legge. “Aveva ragione, devo riconoscere. A mei tempi l’istituto d’arte si iniziava a 11 anni. Beh, in effetti è un po’ troppo presto per prendere decisioni. Gli dissi di sì, come la Monaca di Monza. Una, due, tre, quattro volte… e alla fine mi son ritrovato monaco senza neppure sapere se era vocazione vera”» (Parboni). «Durante gli studi universitari è stato un goliardo e nel 1960 è stato Principe delle Feriae Matricularum» (Giuseppe Rudisi). «A Roma, per il servizio militare, incontra gli umoristi del Travaso delle Idee e con loro comincia a farsi conoscere. […] “Disegnare è stata sempre la mia passione – ricorda –, soprattutto la caricatura: ho cominciato da lì. Ma non si vive solo di passioni. Al Travaso mi proponevano di fare il cartellonista. Il cartellonista per i film. Ci pensai per un po’, ma poi lasciai perdere. Ma come? Uno studia per tutti quegli anni, si laurea in Legge, ha già pronto un buon impiego in banca e butta a mare quel patrimonio per le facce degli attori? Suvvia, siamo seri: optai per il posto fisso. Però…”. Però ha l’accortezza di non lasciarsi catturare completamente dall’ingranaggio, e tenendo un piede in due staffe sale i gradini della carriera bancaria senza dimenticare nel cassetto la matita» (Parboni). «“Nel 1980 mandai una vignetta al Satyricon, l’inserto di Repubblica diretto da Giorgio Forattini. Nel primo quadretto si vedeva l’arrivo in Italia del presidente americano Jimmy Carter con moglie e figlia, ricevuto da Sandro Pertini e Amintore Fanfani. La bambina teneva in mano un orsacchiotto. Nel secondo quadretto, alla partenza la figlia lasciava il peluche a Pertini e si portava via Fanfani. Tornavo da Taranto, dov’ero andato per una causa. Mia moglie mi fa: ‘Ha telefonato un tizio che si chiama Forattini, come quello di Repubblica’. Perplesso, composi il numero: era proprio lui. Mi offrì di collaborare. Dopo un anno, complice Samaritana Rattazzi, figlia di Susanna Agnelli, Forattini traslocò alla Stampa. Pensai: fine del divertimento”. Invece era appena cominciato. “Giorgio fu molto gentile: ‘Ho suggerito a Eugenio Scalfari di prenderti al posto mio’. Andai a Roma a presentarmi, 31 marzo 1982: m’è rimasta impressa la data. Ero talmente emozionato che feci il viaggio in treno, non me la sentivo di guidare l’auto. Alle 12.30 fui ammesso al cospetto del Fondatore, che mi gelò: ‘Lei è il padre di Giannelli?’. S’aspettava di vedere un fumettista fricchettone, non un funzionario di banca”» (Lorenzetto). «Dura dieci anni la collaborazione con Repubblica, poi è la volta del più grande giornale italiano. Conobbe Stille a un convegno economico a Siena. La proposta d’ingaggio arrivò poco dopo. E stavolta la faccenda si fa seria. Intanto l’impegno richiesto dalla mitica sede di via Solferino è pressante e di grande prestigio: tutti i giorni, in prima pagina. Una novità assoluta per il Corsera, così compassato nello stile, che sceglie proprio lui per “alleggerire” gli argomenti più “pesanti”» (Parboni). «Due anni ci ho messo, a decidermi. Avevo un debito di riconoscenza con Scalfari. Ma […] nel frattempo Forattini era tornato a Repubblica e Scalfari poteva offrirmi la vetrina soltanto il lunedì, per di più in coabitazione con Massimo Bucchi. Non mi andava di fare il “tappabucchi”». Nel frattempo, in realtà, Giannelli aveva ricevuto offerte anche da Agnelli per La Stampa («Rifiutai perché a quel tempo il Monte dei Paschi di Siena aveva rapporti finanziari con la Fiat») e da Montanelli per il Giornale. «Nel 1989 Indro mi voleva al Giornale. Mi avrebbe pagato 400 milioni (di lire) per fare vignette un giorno sì e uno no. Gli risposi che era troppo per il mio valore e troppo per essere davvero libero» (a Paolo Baldini). «E alla fine ha vinto Stille. […] Come l’hanno presa gli altri? “Scalfari mi scrisse un biglietto in cui diceva ‘Lo immaginavo, ma mi dispiace lo stesso’. Montanelli, quando rifiutai l’elevato compenso che mi aveva offerto, mi disse: ‘Giannelli, lei non è un bischero, è un trischero’”» (Giangiacomo Schiavi). Il 12 dicembre 1991 iniziava così il suo sodalizio col Corriere della Sera, tuttora in corso. Giannelli ha tuttavia continuato a lungo a esercitare anche la propria attività professionale, fino a quando, alle soglie della pensione, per volere dell’allora presidente della Fondazione Monte dei Paschi di Siena Giovanni Grottanelli de’ Santi, «fu primo provveditore della Fondazione Mps dal 1997 al 2000, dopo essere stato per 35 anni in banca, responsabile dell’ufficio legale, direttore centrale e segretario del consiglio d’amministrazione. […] Tre sono le missioni affidate al nostro: la definizione del patrimonio della Fondazione, l’elaborazione dello statuto e la quotazione in Borsa. […] Sul primo punto, l’accortezza dei vertici di allora fu di diversificare l’ingente dote conferita a Palazzo Sansedoni. […] Fu questa avvedutezza che consentì di arrivare alla quotazione in Borsa. […] L’idea dei vertici della Rocca era di offrire le azioni al prezzo unitario di 3,60 euro. Fu Emilio Giannelli, supportato dagli advisor di Credit Suisse, che impose 3,84 euro. La quotazione fu un successo. […] L’ultimo atto di Giannelli provveditore fu l’elaborazione dello statuto della Fondazione. Come Grottanelli, anche lui voleva allargare la platea di enti nominanti, non restringerla a Comune e Provincia, dominati allora dal Pds. […] L’accordo non ci fu: inviarono al Tesoro lo statuto con spazi bianchi. Ci pensò poi la direttiva Visco, a fermare l’ascesa di Piccini [Pierluigi Piccini, l’allora sindaco di Siena – ndr] alla presidenza della Fondazione. Ma Giannelli aveva già finito il suo mandato» (Pino Di Blasio). Da allora Giannelli si dedica esclusivamente alle vignette. «Gestire queste due vite parallele ha creato imbarazzi, problemi? “No, non direi. E, in fondo, in questo Siena mi ha dato una mano. Sono sempre stato trattato con benevolenza, e i momenti di difficoltà veramente non si possono considerare significativi. Forse, anzi, è stato un bene. In fondo, quando ho ricevuto attacchi ho sempre pensato di essere fortunato ad avere due lavori, ad avere una possibilità di scelta”» (Guido Vitale). «“Quando venne proclamato il lockdown mandai al Corriere un foglio bianco con la scritta ‘CHIUSO’. Mi sembrava senza senso l’ironia in un tempo così infelice, così pauroso. Il direttore mi convinse a continuare: era giusto che tutto quel che poteva aiutare a vivere in modo normale dovesse essere fatto, e normale era un giornale con la sua vignetta d’ordinanza”. Non è stanco della sua matita? “Non so far altro che questo. Non ho mai avuto altra passione che questa. Scrivo vignette ovunque posso, anche sulla carta igienica”» (Antonello Caporale) • Nel novembre 2022 ha dato alle stampe con Paolo Conti Un’Italia da vignetta (Solferino), testo autobiografico corredato di una selezione delle vignette pubblicate in oltre trent’anni sul Corriere della Sera • «Di premi, ne ha vinti a iosa. “Già, ma che gusto c’è? Li danno ogni anno, così nessuno è escluso”» (Parboni) • Sposato, un figlio (avvocato anch’egli). «Della sua famiglia, la moglie Laura e il figlio Nando, […] parla con tenerezza. Ma subito ha il sopravvento la verve ironica. “La prole, l’ho limitata. Nonostante il mio babbo continuasse a ripetermi ‘Con un figliolo solo, fai tre strulli (tre scemi): padre, madre e figlio’”» (Parboni) • «È uno facile all’arrabbiatura. Anche se poi gli passa velocemente. […] È un iperattivo cronico, non può stare fermo. […] È caparbio in modo mostruoso, non sa cosa voglia dire arrendersi. Discutere con lui è un esercizio pericoloso, ci devi pensare molto bene: mette k.o. tutti con la sua arma prediletta, la freddura. […] Si diverte principalmente con le sue battute. […] Al massimo gli scappa un sorrisetto piccolo per le vignette altrui. Poi lo diverte molto la sua esegesi che fanno nel gruppo Facebook “Capire Giannelli”. È la satira della sua satira. Essendo molto egocentrico, apprezza… […] Se c’è da fare una battuta che può recargli danno o creare imbarazzo, lui la fa: non può resistere. Può sembrare sottilmente crudele ma la battuta viene prima di tutto, anche delle conseguenze» (il figlio, Fernando Giannelli, a Edoardo Semmola) • «Giannelli abita a Canonica. Ma non dentro una casa, bensì nella canonica, appunto, di quello che fu il priorato di Trecciano. Arrivandoci, non puoi sbagliare: annessa c’è la chiesa romanica di San Michele, risalente al 1200, con tanto di campanile. Il tutto trasformato in residenza privata» (Lorenzetto) • «Ex giocatore di basket (“Diamine, non si vede?”), amante delle serate al ristorante con gli amici compagni di contrada e innamorato del cinema. Non tutto, però. Nostalgico degli anni ’50 e ’60, della commedia all’italiana rimpiange Tina Pica e l’Alberto Sordi dello Scapolo» (Parboni) • «Lei rispetta la par condicio? “Faccio in modo che non traspaia la mia idea, non mi sento politicamente orientato”. Però pende a sinistra, lo ammetta. “Da giovane votavo Pri. Stimavo molto Ugo La Malfa. Adesso sono più che altro anarchico”. Per chi vota? “Molte volte scheda bianca. A volte per la sinistra. Una sola volta per Antonio Di Pietro. […] La politica mi ha deluso”» (Lorenzetto) • Tifoso del Siena • Forte il legame col Palio di Siena. «Contradaiolo da generazioni del Drago, fratello di un Priore sempre del Drago, ha avuto l’onore di disegnare il Drappellone del 2018, che poi è stato conquistato proprio dalla sua contrada e da allora può essere ammirato nel Museo del Drago stesso» (Rudisi). «Una cosa che mi dispiace è che nel Palio si è accentuata la competitività e la drammaticità e si è perso molto quello che era il divertimento e l’ironia» (a Fabio Barni) • «Se gli chiedi quali siano i suoi autori, Emilio fa subito i nomi di due marsigliesi: Honoré Daumier e Albert Dubout. Subito segue il mitico Benito Jacovitti, che da ragazzo ammirava incantato sul Vittorioso» (Roberto Barzanti) • «Orecchie ben orientate […] ai dialoghetti salaci rubati al bar o per strada, facendo tesoro del sentimento comune: tutta materia prima per i suoi bozzetti» (Parboni) • «I personaggi sono studiati a partire da quello che dicono e da quello che fanno. A me non piace partire dalle caricature basate solo sul fisico: secondo me la persona più caricaturabile è quella che si mette in un atteggiamento ridicolo anche se non ha la foggia di ridicolo» (a Pippo Baudo) • «C’è qualche personaggio da lei raffigurato che l’ha presa male? “Vivo a Siena. Sono defilato, non ho mai frequentato la politica. Questo mi ha salvato dalle pressioni. È vero, qualcuno s’è offeso. Nessuno ha mai querelato”» (Baldini). «Solo Vincenzo Scotti, quand’era ministro dell’Interno, minacciò di trascinarmi in tribunale per una vignetta in cui lui e il capo della polizia, Vincenzo Parisi, ammettevano che un falso pentito li aveva turlupinati. Riconosco che il titolo era da querela: “Reo con fesso”. Un’offesa gratuita». «All’epoca della “vacca pazza” […] ha sofferto le pene dell’inferno: l’ambasciata inglese scatenata reclamava scuse alla Corona d’Inghilterra per un Major che annunciava “Dobbiamo abbattere undici milioni di mucche”, e il principe d’Edimburgo, di risposta, “Dio salvi la Regina”. Sospira al ricordo del putiferio suscitato: “Non sono stato capito…”» (Parboni). «Con Elisabetta ha rimediato, mandandola in cielo con un “Salve, Regina”… “Spero di sì”. […] Dicono che la sua penna sia diventata più morbida. “Non so se sia vero. Credo che in questi ultimi anni la satira debba sempre più fare i conti con un osso duro: il politicamente corretto”» (Schiavi) • «Ha disegnato più Andreotti, Craxi, De Mita o D’Alema? “Tra questi il più disegnato credo sia stato Andreotti. Quando gli inviai un libro in cui erano molte le vignette che lo riguardavano, mi rispose con un biglietto in cui diceva: ‘La ringrazio per il libro e le auguro tutto ciò che si merita’”» (Schiavi). «Ricordo che nel ’94, al momento della discesa in campo, disegnai un sole che si alzava con la faccia di Berlusconi. Il titolo era “Sola che sorge”. […] Berlusconi è il soggetto ideale per un vignettista. Lui ha superato il muro del suono della satira. Pensi a quando ha detto: “Fonderò un partito che si chiama Forza gnocca”» • Tra i suoi estimatori annoverava anche papa Benedetto XVI • «Avere una vignetta quotidiana in prima pagina, dal 1991 a oggi, ha […] un significato preciso. Affida a Giannelli il commento, a modo suo e con il linguaggio della satira, di quello che è il fatto del giorno. Completa gli editoriali delle firme più importanti del Corriere. Il suo è uno sguardo ironico ma preciso, puntuale, che svela il lato nascosto di una notizia, ne esalta un’interpretazione, la offre al lettore senza tanti giri di parole, in un modo diretto. […] Emilio Giannelli conosce la politica e i suoi caratteri come pochi altri, ma soprattutto sa esaltare i dettagli: dei fatti, dei comportamenti, dei pregiudizi. Non è mai cattivo, ma ha il gusto toscano della battuta, che spesso lascia spaesati nei faccia a faccia privati e pubblici con tanti personaggi. Un gusto irresistibile che nessuno può frenare. Il risultato finale è qualche arrabbiatura, qualche incidente raro, come con i reali d’Inghilterra. Ma sono tantissimi quelli che lo adorano e chiamano il giornale per chiedere l’originale della vignetta per poterla incorniciare nel loro studio. […] Una prima pagina senza Giannelli è inconcepibile: è come se il giornale uscisse senza il titolo d’apertura» (Luciano Fontana). «Sempre elegante, signorile, mai una volgarità. “Tanto al Corriere non me la passerebbero mai. E poi gli impermeabili che si aprono non mi piacciono”» (Parboni). «Una vignetta di Giannelli odora sempre di Novecento. I suoi personaggi, li veste e li fa viaggiare come se si fosse al tempo del Boom economico» (Caporale) • «Non è angosciante dover escogitare una battuta tutti i giorni che Dio manda in terra? “No, però mi capita di andare in ansia quando devo uscire a cena. Mia moglie, poveretta, non sa mai se accettare gli inviti”. […] È un lavoro lungo? “Da meno di mezz’ora fino a due ore quando la vignetta contiene una successione di piccole immagini. Fra le 18 e le 20 devo concordare l’argomento col giornale, documentarmi e farmi venire un’idea”» (Lorenzetto). «Emilio riempie ordinatamente un foglio, da sinistra a destra con veloce mano di mancino geniale, poi con la destra ripassa tutto a penna, e con particolare cura le poche zone che ha lasciato indefinite» (Barzanti). «Quando asciuga, cancello il lapis. Quindi invio per fax, sempre entro le 21.30, massimo le 22. In redazione ricevono, riducono e pubblicano» (a Diletta Grella). «Quando una vignetta può dirsi riuscita? “Quando qualcuno si lamenta”» (Alessandro Bottelli) • «Il senso dello spirito, la battuta, la satira: devono far sorridere o devono dissacrare, devono ferire? “Credo che debbano far sorridere, con garbo. Ma non è escluso che anche un sorriso possa ferire qualcuno”» (Vitale). «“La libertà di satira non è senza confini. Viene delimitata dall’editore e dalle scelte che fa la direzione del giornale. Io non ho un mandato assoluto: ogni sera mi chiamano e mi indicano la titolazione nella quale vado a impegnare la matita. Quel fatto è la griglia, e di quel fatto la mia illustrazione deve avere una qualche coerenza con lo spirito del giornale sul quale lavoro”. Il Corriere è prudente. “Mi capita a volte di inviare due vignette e di segnalare quella che mi pare più bella. Ritrovo l’altra, che io avrei scartato”» (Caporale). «C’è qualcosa di sacro davanti a cui la sua matita si ferma? “La dignità delle persone. Il rispetto dei sentimenti. La religione”» (Lorenzetto) • «Qualche nostalgia? “La nostalgia è sicuramente per la gioventù, ma oggi più che nostalgia provo molto dispiacere per come si trova ora il Monte dei Paschi: quando lo lasciai nel 2000 era una potenza”» (Schiavi).