la Repubblica, 7 aprile 2023
Capire la Cina basandosi sul romanzo I Tre Regni
Icinesi hanno un’intimità speciale con la storia, dovuta a una concezione ciclica del tempo. Ma a differenza di altri popoli antichi, per essi è come se la civiltà cinese non abbia avuto mai inizio, ci sia stata da sempre. L’Impero di Mezzo insomma esisteab aeterno, privo di un mito sulla creazione: il che vuol dire tra l’altro che i grandi classici della letteratura cinese sono espressione di un passato che non è mai passato del tutto, e che contiene sia profezia, sia premonizione.Tra essi, Il romanzo dei Tre Regni gode da sempre di grande considerazione in tutta l’Asia. La versione giunta fino a noi è quella che Luo Guanzhong scrisse nel XIV secolo, basandosi su scritti più antichi e una lunga tradizione orale. Ai bambini viene letto come una favola, anche perché oltre alla storia c’è anche fiction, e per gli adulti è qualcosa di paragonabile al mito omerico, alla saga di re Artù o alle tragedie shakespeariane, anche per il fatto che certe sue espressioni sono diventate proverbiali nel linguaggio corrente.Al centro del racconto, il periodo successivo la caduta della dinastia Han, nell’anno 220. La Cina, non più unita, diventa teatro di una serie di battaglie tra signori della guerra, ciascuno dei quali aspira a riunire l’impero sotto di sé. Alla fine, a contenderselo, restano tre regni: Shu, Wu e Wei. Il primo governato da Liu Bei, che impersona la saggezza; il secondo da Sun Quan, uomo dalle ambizioni puramente regionali; il terzo da Cao Cao, un tiranno spietato e senza scrupoli che alla fine riesce ad avere la meglio sugli altri.Era un tempo quello, in cui il Celeste Impero bastava a sé stesso, nel senso che non vi erano sulla Terra altre entità al suo stesso livello di grandezza. Ai suoi imperatori il resto del mondo sarebbe interessato poco anche nei secoli futuri, il che spiega tra l’altro la mancanza di avventure coloniali. E chissà se qualcuno di essi avrebbe mai immaginato che un giorno, in questo nostro XXI secolo, un loro discendente chiamato Xi Jinping avrebbe portato la Cina a essere protagonista sulla scena internazionale e a candidarsi alla supremazia planetaria.Per la verità la rincorsa è iniziata con Mao Zedong, che guarda caso era abituato a governare con la letteratura e traeva continuamente spunto dai classici. Kissinger ha sostenuto come vi sia sempre stato poco marxismo-leninismo nell’agire politico del Grande Timoniere, e come le sue mosse fossero dettate soprattutto dalla grande tradizione filosofico-letteraria cinese. Militarmente Sun Tzu, spiritualmente Confucio, geopoliticamente I l romanzo dei Tre Regni.Secondo Lai Sing Lam, il sistema tripolare escogitato da Mao, per cui Cina, Usa e Russia avrebbero dovuto coesistere sulla scena globale, era basato proprio su una trasposizione a livello internazionale della logica dei Tre Regni. Come a quel tempo i due stati più deboli, Shu e Wu, si erano coalizzati contro Wei, lo stato più potente, così, per tenere il sistema internazionale in equilibrio, alla Cina maoista non restava che un’alleanza strategica con l’Urss contro gli Usa.Chissà se Xi Jinping, oggi alleato di Mosca, vede le cose allo stesso modo, dal momento che Il romanzo dei Tre Regni a quanto pare lo conosce bene anche lui; e se stavolta quella con Mosca sarà un’alleanza destinata a durare, diversamente da quella di Mao che poi finì per virare verso gli Usa. Quel che è certo, è che con Xi la Cina ha assunto una postura interventista che non ha eguali nella tradizione, e va ben oltre l’economia: lo dimostrano il sostegno ai paesi del Sud Globale, la mediazione tra iraniani e sauditi e il piano di pace ucraino, probabilmente la vera occasione per il “Dragone”.Finora infatti è piuttosto chiaro che il modello di sviluppo globale cinese, che si professa alternativo a quello occidentale, abbia favorito anzitutto la Cina, che ha fattoovunque incetta di materie prime e spazi strategici. Ma certo che se Xi riuscisse a far rinsavire Putin e ad avviare un negoziato di pace in Ucraina, la percezione cambierebbe. E la Cina risulterebbe più convincente come potenza che decide di profilarsi e assumere le proprie responsabilità internazionali. In realtà l’interventismo di Xi, oltre che con ilbusiness is business, si spiega con quel che resta del pragmatismo cinese, capacedi esaltare il Tao universale e di piegare alle circostanze geopolitiche gli eterni valori confuciani di lealtà, umiltà e determinazione. È un’autocrazia senza libertà quella cinese, lo conferma la gestione del Covid. Dove l’interesse totalitario oltrepassa l’individuo, e dove difatti a far entrare nella leggenda lo “statista” Cao Cao, è bastato il fatto che avesse riunificato i Tre Regni, non importa con quali metodi.Per i cinesi la riunificazione equivale alla ragion di Stato di Richelieu: un’esigenza esistenziale che attraversa tutta la saga dei Tre Regni e che continua oggi più che mai a dominare la politica cinese. «Un impero a lungo unito deve dividersi, uno diviso riunirsi...» si legge nell’incipit del romanzo. Il che spiega come mai Xi debba per forza mantenere Taiwan al centro dell’agenda, e come la One China policy sia il pilastro su cui poggia tutto il resto.A me comunque piacerebbe sapere cosa pensa Xi di sé stesso, intendo rispetto ai protagonisti del romanzo: dato che la globalizzazione ha spazzato via i modelli di governo alla Sun Quan, basati sulle leadership regionali, resta da capire se lui si veda più come un leader morale alla Liu Bei – che prova a incantare il sud dal mondo forte del fatto che la Cina non ha avuto un passato schiavista, colonialista o imperialista di tipo occidentale – oppure come un tiranno spietato alla Cao Cao, pronto a qualsiasi cosa pur di stabilire il proprio dominio.Qualche anno fa, commentando l’opera di Luo Guanzhong, un analista americano scrisse che Xi sarebbe stato un po’ Liu Bei, unpo’ Cao Cao, un po’ Sun Quan. Il che oggi, a parte la riunificazione con Taiwan, vorrebbe dire pugno di ferro contro le opposizioni interne; bastone e carota con i satelliti asiatici; aiuti economici in cambio di materie prime in Africa, Medio Oriente e Sudamerica; un’alleanza di comodo con Putin; e infine investimenti massicci su riarmo e tecnologia in vista della resa dei conti con gli Usa.E l’Europa? Per Xi, finché sarà divisa, non potrà avere una rilevanza disgiunta da quella americana, e le sue nazioni continueranno a essere terra di conquista. Fermo restando che la storia secolare delle missioni europee in Estremo Oriente ci obbliga a ricordare che solo coloro che mostreranno modestia e umiltà saranno trattati con generosità dal Celeste Impero...