la Repubblica, 7 aprile 2023
Sul Satyricon di Petronio
Mentre Francesco Vezzoli prepara a Roma la mostra kolossal sull’antichità che anticipiamo su Robinson, ecco perché rileggere il classico di PetronioQualcuno ha perfino scritto che dalle pagine del Satyricon spira odore di unguenti sfatti e di orina. Può darsi. Ma la bassezza di questa immagine illumina una sola dimensione del romanzo, ammesso poi che ci riesca: quella cruda, di un realismo talora sconcertante. Perché l’altra, quella che lo rende un capolavoro, è costituita invece dallo stile leggero, trasparente, pieno di ironia, con cui l’autore maneggia questa materia. Petronio, chiunque egli fosse, non si è vergognato di mescolarsi con la vita, anche nei suoi aspetti più infimi. Lo ha fatto perché era certo di poterne ridere e, soprattutto, di saperne scrivere. Anche l’eros, così presente nel romanzo da renderlo indigesto ai moralisti, in realtà non è mai preso sul serio dall’autore. Gli innumerevoli amori che costellano la trama corrispondono ad altrettanti tradimenti o fallimenti, i rapporti sessuali sono minati dall’impotenza o dal disgusto. In realtà l’autore ride del sesso allo stesso modo in cui ride della grossolana ricchezza di Trimalcione, dei fasti strampalati della sua cena, dell’ignoranza che traspare dai suoi discorsi. Petronio – forse era davvero colui che Nerone aveva eletto “arbitro d’eleganza” nella sua corte – è uno scettico, la sua cifra è l’ironia,non il fango. E pensare che questo capolavoro della narrativa antica lo conosciamo solo attraverso frammenti, brevi o lunghi, poetici o prosastici, che i filologi hanno raccolto con pazienza e pietà. Sappiamo che le parti più cospicue del racconto superstite provengono dai libri XIV, XV e XVI, il che ci dà subito un’idea di quanto abbiamo perduto. E chissà che il romanzo non giungesse a occupare fino a venti, o addirittura ventiquattro libri, come l’ Odissea : un’opera sempre presente all’orizzonte intertestuale dell’autore, che si diverte a parodiarla o ad alludervi ogni volta che può. Come l’ Odissea, infatti, ilSatyricon si sviluppa sull’impalcatura di un viaggio. I protagonisti della vicenda sono Encolpio, uno studente alquanto debosciato, Gitone, il ragazzo di cui è innamorato – il quale volentieri lo tradisce con Ascilto, amico-rivale di Encolpio. Altri personaggi si aggiungeranno poi, lungo gli snodi della vicenda. I tre li incontriamo in una città greca (Pozzuoli?), dopo che molte cose sono ovviamente già accadute. Sembra che Encolpio sia scampato da un combattimento gladiatorio, abbia ucciso un ospite, abbia rubato monete d’oro… Adesso accade che Quartilla, una sacerdotessa di Priapo, accusi Encolpio ed Ascilto di aver profanato non si sa quale segreta cerimonia, cosa che le ha procurato una grave malattia. L’espiazione esige dunque che i due siano sottoposti a torture erotiche di ogni genere. Finché un provvidenziale invito di Agamennone, un retore amico di Encolpio, li conduce nella casa del liberto Trimalcione, dove si terrà la celebre cena.Non abbiamo lo spazio per descrivere le bizzarre meraviglie che vi si consumano. Possiamo solo dire che questo episodio ci offre un’occasione unica. I dialoghi che si svolgono fra i convitati, tutti liberti, simulano un latino che nessun autore classico avrebbe mai avuto il coraggio di scrivere: quello parlato dalla gente comune, ignorante, un latino di strada. Documento di straordinaria importanza per gli studiosi, ovviamente, ma anche delizia per qualsiasi lettore che ami il latino (nonché tortura per ogni serio traduttore). Questi dialoghi permettono anzi a Petronio di inserire altri racconti in quello principale, fingendoli narrati dai convitati. Sono storie di paura, vicende di streghe e di lupi mannari che corrispondono a molti racconti che ci vengono dal folclore europeo. Dopo che i nostri eroi sono riusciti a fuggire dalla casa di Trimalcione, approfittando dell’ironica confusione creata dall’irrompere in sala dei vigili del fuoco, la trama si fa di nuovo frammentaria. Encolpio visita una pinacoteca, incontra il vecchio poeta Eumolpo, che in perfetti trimetri giambici gli narra la caduta di Troia, finché Encolpio e Gitone, al seguito di Eumolpo, si imbarcano su una nave che porterà loro nuove disavventure. Appartiene infatti a Lica, un nemico di Encolpio che cercherà di vendicarsi, pur se, per merito di Eumolpo, tutto finirà in un amichevole banchetto, in cui viene narrata una novella destinata a un grande avvenire letterario: quella della matrona di Efeso. A questo puntointerviene però un naufragio, che conduce i nostri eroi sulle spiagge di Crotone. Qui Encolpio incontra una matrona che si invaghisce di lui. L’episodio è tutto omerico, anzi odissiaco, ma in certo modo al rovescio.Tanto per cominciare la matrona si chiama Circe ed Encolpio, per l’occasione, assume il nome di Polieno “molto lodato”, epiteto che Omero riserva appunto a Odisseo. Purtroppo, però, Encolpio è perseguitato dalla maledizione di Priapo, il dio che, sul più bello dell’incontro amoroso con Circe, lo rende impotente. Ogni eroe ha le sue maledizioni. Se Odisseo era perseguitato da Posidone, dio del mare, Encolpio lo è dal dio del fallo. Circe però non si rassegna, ricorre alle arti di una vecchia megera, Proseleno, e sembra che costei riesca nell’impresa di restituire a Encolpio la virilità perduta. Ma al momento di una seconda prova il nostro eroe fallisce nuovamente, tanto che viene torturato e picchiato dai servi di Circe. È a questo punto che si colloca uno dei frammenti poetici più geniali e divertenti del romanzo: allorché Encolpio, in eleganti distici elegiaci, se la prende col proprio indisciplinato membro, parodia dell’episodio omerico in cui Odisseo si rivolge pateticamente al proprio cuore. Ed ecco entrare in scena una nuova maga, Enotea, che per rendere a Encolpio la virilità perduta lo sottoporrà a un bizzarro e disgustoso rituale magico. Allontanatasi la maga, Encolpio viene però assalito da tre oche e per difendersi ne uccide una – salvo scoprire che anche l’oca uccisa era sacra a Priapo! Con quest’oca famelica e consacrata che si inframette alle disgustose pratiche magiche di Enotea, siamo tornati all’ironia, alla distanza che l’autore sa tenere nei confronti degli “unguenti sfatti”. Come diceva Nietzsche, Petronio è uno scrittore che ha «i piedi di vento».