Il Messaggero, 6 aprile 2023
Ritratto di Katherine Mansfield
«Rischia! Fai ciò che è più difficile per te». E anche: «Ho sempre avuto una furia isterica di vivere, l’isteria è una grande ispiratrice. Detesto le ore grige, amo i giorni che passano all’orizzonte come nubi di tempesta Voglio portare le cose all’estremo». Queste parole riassumono bene Katherine Mansfield e la sua breve vita.
Colei che alla nascita si chiama Kathleen Mansfield Beauchamp vede la luce in Nuova Zelanda, a Wellington, il 14 ottobre 1888. Appartiene a una famiglia ricca, è legata ai genitori, in particolare alla madre - «un essere squisito e perfetto al massimo grado: qualcosa fra una stella e un fiore» - alle sorelle e al fratello, alla nonna. Sua cugina è la romanziera Elizabeth von Arnin. Vive un’infanzia felice e privilegiata, che tornerà nei suoi scritti come se fosse «un eterno presente». Ha otto anni quando scrive la prima storia. È, inoltre, una eccellente violoncellista. A quindici anni va a studiare a Londra: benché sia doloroso strapparsi alla Nuova Zelanda, la considera una necessità esistenziale. Vuole infatti imporsi «indipendenza, risolutezza, uno scopo deciso, il dono della discriminazione, lucidità mentale». La lucidità non le manca e neppure il carattere. Pur tuttavia è uno spirito contraddittorio, girovago: anelerebbe alla stabilità, a un focolare, ma non sa domare inquietudini, sregolatezze e ansia di vivere.
L’AMICIZIA
A Londra fa amicizia con Ida Baker, che le rimarrà sempre vicina. «L’amicizia - dirà poi - è sacra ed eterna come il matrimonio». Viaggia molto fra il 1903 e il 1906, poi torna in Nuova Zelanda, quindi si precipita nuovamente in Inghilterra. Anticonformista e scandalosa, intreccia relazioni con ambo i sessi, aspetta da uno degli amanti un figlio che poi perde, si sposa con il maestro di canto George Bowden e lo lascia dopo la prima notte di nozze. La madre, furiosa, la manda in Baviera, in una stazione termale, ma Katherine continua a condurre l’esistenza che più le piace e finisce per farsi diseredare. Si appassiona ad Anton Cechov, rientra a Londra e pubblica nel 1911 In a German Pension, "In una pensione tedesca", una serie di racconti. Non scriverà mai romanzi, bensì solo storie brevi - settantatré, antesignane delle moderne short stories - e poesie. Sempre nel 1911 conosce il filosofo John Middleton Murray, che sposerà nel 1918.
IL NOME
A dimostrazione della necessità di cambiare personaggio e forma, sta il suo rapporto con il nome. Lo modificherà spesso, a seconda dell’umore, dei rapporti. Passerà da K.M. Mansfield a Kass, da Lili Heron a Julian Mark, da Matilda Berry a Tig, la tigre. Volutamente enigmatica e imperscrutabile, possiede mille talenti che affascinano socialite e intellettuali del tempo, fra cui la nobildonna Ottoline Morrell, il filosofo Bertrand Russell, lo scrittore D.H. Lawrence, il filosofo Aldous Huxley, il critico letterario Giles Lytton Strachey.
Quest’ultimo, come riporta la biografia Nessuna come lei, scrive a Virginia Woolf, descrivendo un soggiorno da lady Morrell: «Tra gli ospiti c’era "Katherine Mansfield" - sempre che questo sia il suo vero nome - non potrei giurarci. Ne hai mai sentito parlare?... Ha pubblicato delle storielle, in effetti piuttosto brillanti È una creatura decisamente interessante, molto divertente e alquanto misteriosa». La Woolf risponde con una certa sufficienza: «Mi tampina da tre anni - sono sempre sul punto di incontrarla, o di leggere i suoi racconti, ma non sono riuscita a fare nessuna delle due cose».
In seguito, i rapporti si stringeranno. Virginia e il marito pubblicheranno con la loro casa editrice Hogarth Press Prelude della Mansfield, che sospirerà: «Mio Dio, Virginia, adoro pensare a te come un’amica». Le due donne hanno diversi punti in comune: soprattutto il fatto di dare la priorità alla scrittura, alla letteratura. «Sento il mio lavoro come una passione: è la mia religione, il mio mondo, la mia vita», ammette la neozelandese. Scrivere, per lei, è «adempiere a un dovere verso quel tempo felice», l’infanzia. Nonché un modo per superare il dolore e l’umana finitezza. Diverrà una delle maggiori esponenti del modernismo letterario: di lei parleranno Piero Citati in Vita breve di Katherine Mansfield, Nadia Fusini ne La figlia del sole, Grazia Livi e molti altri.
LA MALATTIA
Nel 1917 Katherine si ammala di tubercolosi. Va nel sud della Francia, la situazione non migliora, ma lei lavora sempre. Il marito, editor per la rivista Athenaeum, le chiede molte recensioni. Redige inoltre varie storie fra cui The Garden party, in cui racconta in qualche modo la propria vita. La tubercolosi si aggrava e la Mansfield approda a Fontainebleau all’Istituto per lo sviluppo armonioso dell’uomo. Nonostante il nome è un luogo terribile, ideato da un mistificatore, George Gurdjeff, che la plagia. Priva di assistenza medica, lasciata quasi senza cibo, costretta a trascorrere ore nella stalla delle mucche, a respirare il loro fiato, Katherine peggiora sino a concludere la sua vita in uno sbocco di sangue, il 9 gennaio 1923. Aveva lavorato sino a poco tempo prima, convinta che la scrittura potesse anche allontanare la morte.