La Stampa, 6 aprile 2023
Ritratto di Sanna Marin
Sanna Marin, una delle stelle più luminose della sinistra europea, ha fatto un passo indietro e ha annunciato che lascerà la guida dei Socialdemocratici dopo la sconfitta elettorale nelle elezioni di domenica scorsa, vinte dai conservatori e dai sovranisti di destra. Tornerà a sedere tra i banchi dei deputati, tornerà «nei ranghi», per aprire una «nuova pagina della vita», ha detto.
Marin, che continua ad essere la premier finlandese più popolare del secolo – lodata in patria e all’estero per la sua gestione di un Paese attraverso pandemia, guerra e adesione Nato -, con il breve discorso in cui ha annunciato le sue dimissioni ha dimostrato tre cose: di non avere paura dell’ombra, di non essere ossessionata dal potere e di sapere che mollare, a volte, è la più grande delle prove di forza. «Lascio spazio agli altri. Sono stati anni eccezionalmente faticosi e la mia resistenza e forza d’animo sono state messe a dura prova».
Con la voce chiara e ferma, un sorriso quieto, ha spiegato che oggi presenterà le dimissioni del suo governo e che rimarrà in carica per gli affari correnti fino alla formazione del nuovo esecutivo. Poi tornerà a svolgere attività politica da deputata del Parlamento. Ha anche smentito le voci riguardo le offerte di incarichi in Europa e la possibile candidatura alle Presidenziali previste per l’inizio del 2024, quando scadrà il mandato di Sauli Niinistö.
Sanna Marin, la star della politica finlandese, la più giovane premier donna europea, la speranza della socialdemocrazia e la donna su cui i riflettori si sono spesso accaniti, ha spento la luce. Non ha avuto paura di ammettere di essere stanca, di essere stata sconfitta, nonostante il suo Sdp abbia ottenuto grazie a lei il 19,9% dei voti, meglio del 2019 (17,7%) e meglio del 2015 e del 2011. Alla fine Sanna Marin ha vinto ancora, ha solo perso il governo. E le va bene così.
Prima di lei, e assieme a lei, altre due donne hanno scelto la strada – impensabile a certe latitudini e consuetudini – di dire le cose come stanno, in virtù di un principio di coerenza legato non tanto all’esserci quanto all’essere. L’aveva fatto a febbraio la first minister del governo locale della Scozia e leader del partito indipendentista dell’Snp, Nicola Sturgeon, in carica dal 2014: «Ho preso la decisione di dimettermi, bisogna capire quando è il momento di lasciare il posto a qualcun altro». L’ha spiegato ieri, in un discorso emozionante, la premier neozelandese Jacinda Ardern, che a gennaio aveva annunciato le dimissioni spiegando di non avere «più energia» per continuare a governare dopo cinque anni e mezzo di mandato. «Sono umana». Ieri ha detto al Parlamento: «Si può essere ansiosi, sensibili, gentili, essere una madre oppure no, un nerd, uno che piange, uno che abbraccia, si può essere tutte queste cose e allo stesso tempo comandare», prima di parlare delle preoccupazioni che la facevano sudare freddo, di come non riuscisse a mangiare quando doveva rispondere alle interrogazioni. Durante il suo mandato Ardern ha ricevuto 50 volte più odio online di qualsiasi altro personaggio pubblico in Nuova Zelanda.
Fuori dalla Finlandia Sanna Marin continua ad essere un’aliena, almeno secondo gli stereotipi di una certa fetta d’europei, italiani in testa, che non sono mai riusciti a parlare di lei senza accostare il suo nome ad aggettivi come «bella», «incantevole», o a registrare i centimetri dei suoi tacchi e la sfumatura del suo eyeliner. La «bella» Sanna Marin ha dovuto portare sulle spalle, oltre al peso di quatto anni difficilissimi, anche quello di essere una donna, giovane e libera.
Un governo competente ed efficace, sopratutto di un piccolo Paese come la Finlandia, non riceve attenzioni particolari sulla scena mondiale, in particolare durante una pandemia o una guerra. Ma quando Sanna Marin è entrata in carica, nel 2019, improvvisamente le luci si sono accese sul fatto che aveva solo 34 anni, il primo ministro finlandese più giovane di sempre e il quarto leader più giovane al mondo. La sua biografia di ex commessa di un negozio di abbigliamento contava più della sua laurea, il padre alcolista e la madre separata che l’ha cresciuta con la compagna la rendeva più interessante per i progressisti, il nemico perfetto per i conservatori. Fino al capolavoro della misoginia, che l’ha messa alla gogna quando, l’estate scorsa, sono spuntati due video nei quale la si vedeva ballare a un party privato a casa di amici e poi in una discoteca. La premier, nel mirino per le accuse che in quelle occasioni fosse circolata droga, si era anche sottoposta a un test, risultato negativo. Fino ad allora il suo mandato era passato per lo più inosservato: la sua risposta al Covid, il suo annuncio che la Finlandia avrebbe chiesto di aderire alla Nato, le sue politiche sociali e fiscali, la sua battaglia per il welfare e per un’istruzione più inclusiva non interessavano a nessuno (nessuno a parte i finlandesi). È bastata una festa, accuse sparse ad arte perché partisse la caccia alla strega Marin, colpevole, anche lei, di essere «umana» e, in particolare, di essere donna.
Interessante è stato notare che gli attacchi dopo i video – una volta tranquillizzati i finlandesi che la premier non facesse uso di droga – arrivavano tutti dall’estero. Tabloid, social, programmi televisivi puntavano il dito contro una donna che danzava, in una recrudescenza di sessismo e bigottismo, forse consumati dall’invidia e dalla frustrazione, forse indirizzati da chi voleva far cadere Marin. Italiani e inglesi erano in testa. Anche ieri, dopo l’annuncio delle dimissioni, le critiche dall’estero alla premier sconfitta abusavano di una parola, «puttana». Fortuna che i finlandesi – il popolo più felice del mondo e quindi forse il meno frustrato -, sanno benissimo che per mandare a casa una premier basta mettere un segno su una scheda elettorale. —