la Repubblica, 6 aprile 2023
Ritratto di Giuda
Per capire qualcosa di Giuda Iscariota, ci serve Donald Trump. Narra la mitologia che quando gli fu chiesto se fosse amareggiato dalle sei bancarotte da lui collezionate sul volgere del ’900, egli rispose ridendo che erano solo soldi, e come tali non passavano dal suo cuore ma solo dal portafogli. Peccato che in televisione avesse più volte predicato che i soldi farebbero il 90% di un’esistenza. Sintesi: nel catechismo Trump il 90% di un essere umano non transita dal cuore, e fine della storia.
Duemila anni fa, questo costrutto trovava il suo perfetto paradigma prima nel Getsemani, e poi sul Calvario. Perché a ben guardare, neanche fosse scritto da Mamet o da Scott Fitzgerald, l’epilogo dei Vangeli è tutto una schifosissima faccenda di denaro. Sembra di stare in una serie tv, in una Suburra,in una Gomorra palestinese dove i mazzi di banconote scandiscono il plot, benvenuti in questa Gerusalemme/Gotham City dove si fannoaffari perfino dentro il Tempio, e la sarabanda non per nulla comincia proprio quando il profeta di Nazareth infuriato osa cacciare fuori i mercanti (è peraltro lo stesso che i farisei avevano cercato di cogliere in fallo proprio su una moneta romana con l’effige di Cesare). Là, come qui e ora, con il denaro si compravano oggetti e ci si illudeva di aggiudicarsi un accesso h24 alla bellezza, con il denaro si trascendeva il confine della creatura e ci si elevava a creatori, plasmando la realtà intorno a sé a proprio piacimento, ivi compreso il paesaggio umano, di cui si poteva acquistare all’occorrenza la complicità di un alleato, il silenzio di una pornostar, l’oblio di una frode, tutto in un deserto di squallore reciproco che in effetti – ha ragione Trump – non dovrà mai sottostare a implicazioni emotive. È quanto di più simile all’inferno si possa concepire, perché è il massimo grado di distanza fra l’uomo e il suo sentire, l’afelio della nostra rotazione interiore, per cui non sorprende che fra i pagani Pluto dio della ricchezza si sia a lungo confuso e infine sovrapposto a Plutone dio degli inferi.
Ed eccoci a Giuda, il traditore. O meglio dovremmo dire il venditore. Quei famosi 30 denari furono il prezzo con cui il discepolo patteggiò la consegna del maestro, e ancora una volta ci sembra di vedere la scena traslitterata in un film di Scorsese, con il venale Jude che in controluce, dentro qualche nightclub, con la sigaretta in bocca, contando banconote, sussurra «lo riconoscerete perché gli darò un bacio». E il contributo narrativo del personaggio potrebbe anche concludersi qui, sul primo piano diquel bacio che vale un Oscar alla Sceneggiatura.
Invece no. Invece c’è un seguito, fondamentale: Giuda, finora devoto scolaro di Trump, da lui forgiato alla cinica fucina di The Apprentice, commette l’errore madornale di non confinare i soldi nel portafogli, ma li fa evidentemente passare dal cuore, si pone qualche domanda, non riesce ad applicare il supremo dogma del cinismo. E lì il ragazzo crolla, tanto che restituisce i fottuti 30.000 dollari e si impicca a un lampione sull’East River.
Mi ricorda quel piccolo libro prezioso che von Chamisso dedicò a Peter Schlemihl, il poveraccio di cui Satana si aggiudicò l’ombra in cambio di una borsa magica da cui sarebbe uscito oro a fiumi, in un tripudio di ricchezza che non solo non lo rende felice, ma lo precipita nella disperazione. Ed anche Schlemihl, proprio come Giuda (e come il re Mida della leggenda), si deve liberare della borsa che lo sta trascinando a fondo. In questo senso la parabola di Giuda suona potentissima a noi del Terzo Millennio, per cui la classifica degli straricchi di Forbes è un catalogo di modelli esistenziali, siamo pronti a votare in massa per il Rockefeller di turno, e i più giovani crescono ascoltando musica trap la cui triade è soldi-sesso-sballo e le catene d’oro massiccio proliferano al collo dei rapsodi fino dalla copertina di quel famoso LP di Eric B & Rakim, datata 1987. Poi accade di stupirsi se la curva dei suicidi salga, nell’innumerevole mattanza dei Giuda che per 30 denari venderebbero chiunque senza avvedersi che vendono se stessi, ma è il prezzo silente di questo sistema scandito sul plutometro, con le banche che saltano in aria in Borsa come petardi perché perfino per loro il torneo è insostenibile.
Basta, siamo all’epilogo di questo film sull’Iscariota che si avvelenò con l’arsenico del denaro. E mentre il suo corpo penzola impiccato, c’è posto ancora per un paio di fotogrammi spietati sulla tirannia dei soldi: il primo è quello dei soldati che si giocano un poker sugli abiti dei crocifissi, il secondo è nientemeno che il finale prima dei titoli di coda, quando ai piani alti si decide di insabbiare la resurrezione di Gesù con una fake news («pagarono alcuni per dire che i suoi discepoli avevano trafugato loro il corpo»). Nessuna sorpresa, in fondo, la verità è pure lei merce.(questo articolo fa parte della galleria dei personaggi della Via crucis. Prima puntata Barabba, seconda Ponzio Pilato)